Dopo il chiasso famelico e irrispettoso dei mass-media e prima che cominci il progressivo distaccamento del messaggio, umano e concreto del papa, dalla figura mitica e agiografica che creeranno (la sua salma è davanti ai nostri occhi e già si parla di Giovanni il Grande…Speriamo solo non si generino fenomeni laterali come per Padre Pio, sarebbe il più grande tradimento del suo operato), voglio spendere due parole per Karol Woytila. Lo farò sottovoce e in punta di piedi, perché è di altri il compito di commentare, spiegare, raccontare quest’uomo straordinario.
Per me lui è sempre stato il Papa: avevo tre anni quando fu eletto e non potevo certo ricordarmi dei suo predecessori. Ricordo benissimo però quel giorno di maggio, avevo solo sei anni ma quell’immagine di una pistola che sbuca dalla folla puntata verso un uomo sorridente mi rimase impressa.
Ma ancora più impressa nella mia memoria è l’immagine di sei anni dopo, 1987, gita scolastica a Roma. La piazza è la stessa, e quell’uomo trafitto da un proiettile non ha paura di continuare a girare e a salutare i presenti. Allungo la mano insieme agli altri, lui me la stringe, e penso che se la base del nostro credere è la convinzione che Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, allora il suo vicario non può che stare qui, in mezzo ai ragazzini che lo salutano, in mezzo agli africani che lo vedono per la prima volta, in mezzo ai contadini dei villaggi rurali più sperduti dell’Asia, in mezzo ai parlamentari, in mezzo ai giovani che raduna.
Il terzo incontro fu altrettanto bello: stavolta non fui io ad andare a Roma (ci ero tornato nel 1988 con l’Azione Cattolica, un diluvio che ha segnato l’esordio nella mia esistenza dei reumatismi) ma lui a venire a Taranto. Un papa a Taranto! Davvero Giovanni Paolo II merita di passare alla storia, almeno a quella della mia città d’origine. Due giorni di bagno di folla conclusasi nello stadio, con un altro spezzone da tenere custodito nel cassetto dei ricordi: i ragazzi fanno la ola, si alzano al ritmo della musica, la curva, poi le tribune, poi la gradinata…Giovanni Paolo saluta contento, decide di partecipare, e comincia a fare la ola anche lui, quando il movimento arriva dalle sue parti.
Un papa che fa olè con le mani al cielo.
Tralasciando altre visite a Roma passo a Parigi 1997, un milione e più di ragazzi con 40 gradi e un tasso di umidità da palude, una notte all’aperto con lui e per lui, una settimana di festa; e Bologna 1997, è ancora lui ma stavolta a dividere il palco con Karol è Bob Dylan, alla faccia di tutti quei clerici blateranti che dicono che il rock è di Satana e la vera musica è quella dell’organo. Si può lodare il Signore anche con il rock, anche con i balli africani, anche con il ritmo latino, che sono pure più – diciamocelo – divertenti dei canti gregoriani.
E ancora Roma, 1998, 9 maggio (oddio se sbaglio data sono un uomo morto), incontro della Gioventù Francescana con il Papa, giorno per me importante perché proprio in quell’occasione mi sono messo insieme alla mia fidanzata, per cui la mia piccola storia si interseca con quella grandissima di Giovanni Paolo. E poi, e poi…
Basta chiacchiere. Arrivederci, Karol, è stato bello conoscerti e vedere come si può rendere testimonianza con la vita prima che con le parole. Ma siccome di parole è fatto un blog, ne cito alcune tue che porto impresse, tra tante:
La guerrà è un’avventura senza ritorno.
Mai più la guerra.
Buon viaggio, goditi questo ingresso in paradiso tra due fila di angeli che fanno la ola gridando olè seguendo il ritmo con le braccia alzate al cielo…