L’etimologia della parola "responsabile" ci dice che deriva da "responsus" (risposta) e "abile" (colui che opera): cioè vuol dire che l’essenza della responsabilità è avere risposte. In particolare, essere in grado di rispondere sul proprio operato.
Dopo il momento della tragedia, del dolore, della solidarietà per il terremoto in Abruzzo, credo che verrà il momento della responsabilità. Il momento di dare risposte. Ci sono 290 vittime innocenti che non torneranno più tra noi: ma al rispetto – se non altro – del loro sacrificio credo sia dovuta questa responsabilità, questo dare risposte a domande dolorose. Perché paghiamo tecnici, sismologi, geologi per poi sentirci dire sempre che "tanto un terremoto non è prevedibile? Se è così, non possiamo risparmiare quei soldi? E perché altrove (Giappone, California) i terremoti li prevedono? Perché se un tecnico in Italia in effetti annuncia un evento disastroso come un terremoto viene definito "imbecille" dal capo della protezione civile e denunciato per procurato allarme? Chi ha costruito l’ospedale inaugurato pochi anni fa ed ora inagibile? Vogliamo nomi e cognomi, tecnici, maestraenze, ingegneri. È l’ora della responsabilità, l’ora di dare delle risposte. Perché il presidente del consiglio deve chiedere al ministro degli interni di inviare dei vigili del fuoco in diretta nazionale su Rai Uno? Non ha il suo numero di telefono per chiamarlo in privato? Perché si invitano tutti a non recarsi sul posto dell’incidente per non creare disordine, e dopo un paio d’ore ci sono gli sciacalli delle tivù principali a chiedere ai cittadini "Crede ancora nel futuro?" Perché si parla sempre dell’Aquila come una città medievale, e non si denuncia che a venir giù sono state soprattutto costruzioni di trenta o quarant’anni fa? Perchè?
Non è detto che domani sia un giorno migliore
non sempre c’è un’altra possibilità
non è detto che il tempo si estenda abbastanza
sarà fine, ma non necessariamente lieta
un sorriso negato è un fiore spezzato
il profumo disperso e mai più liberato
non è detto che si raggiunga la cima del colle
ma la strada va percorsa comunque.
Siamo nebbia del primo mattino
che si dissolve all’abbraccio del sole
Ogni volta che una persona anziana se ne va, oltre ai sentimenti più intensi di chi l’ha conosciuta, c’è l’amarezza di tutta quell’esperienza, quel sapere e quelle conoscenze che chi ci lascia si porta con sé e che rende il mondo un po’ più povero di prima. In questi giorni se ne sono andati due personaggi diversi, ma accomunati da un grande senso dell’umorismo e da una signorilità e correttezza d’altri tempi: Niels Liedholm ed Enzo Biagi. Che se ne siano andati dispiace, ma è la vita, ci si dirà, ci si rassegna. Il vero dramma è guardare chi ha preso il loro posto. Allenatori ignoranti che ripetono le stesse tre frasi a memoria e ricorrono spesso all’insulto. Giornalisti talmente preda della macchina produttiva che dimenticano che le idee non si possono vendere come le gomme da masticare.
Dalle mie parti si dice che ‘l trist no l vol manc Crist…
Sarò pure uno zoticone ingnorante che non coglie la modernità della sinistra, sarò pure un qualunquista dell’antipolitica che muove contro la classe dirigente sollecitato dalle destre, sarò pure uno che pensa che il rugby di Che Guevara (ma anche certe partite di calcio con due zaini al posto a segnare le porte nelle periferie cittadine e il fuggi fuggi quando passava un auto) sia più di sinistra della vela. Eppure, vi dirò, a me fanno sognare le parole di Martin Luther King e dei KennedY, il coraggio di Peppino Impastato, la dignità di Falcone e Borsellino, mi fanno sognare le poesie di Neruda e Bella Ciao, la serietà di Emergency e il testardo amore per gli ultimi di Don Milani.
Invece un banchiere che cerca di conquistare il potere comparando una banca con un prezzo elevatissimo alla faccia di azionisti e clienti, senza avere i soldi ma con una rete trasversale di sostegni politici, non mi fa sognare, proprio per niente.