Per anni si è discusso se fosse più opportuno pronunciare il termine latino ma reimportato dall’inglese "media" oppure "midia".
Alla fine ha prevalso quest’ultima versione, rafforzata dal fatto che gli antichi romani quando parlavano di media certo non pensavano ai mezzi di comunicazione di massa (i mass-media, appunto). Però la J ("i lunga", la chiamavamo a scuola) è una lettera che è stata latina millenni prima di diventare inglese.
E che i latini pronunciavano "i": ricordo un compagno di elementari che faceva il tifo per la "Giuventus", ma veniva irriso e preso in giro da tutti quanti.
E con lo stesso malcelato scherno dovremmo irridere quei professionisti, giornalistuocoli o capetti aziendali che hanno cominciato a pronunciare "giunior", all’inglese, il latino junior, o peggio ancora con accento degno di Oxford si definisco "sinior" (pronuncia inglese del latino senior). Anni di corsi serali per cercare di recuperare la loro cronica ignoranza della lingua di Albione li ha portati a imparare questo, un paio di parole pronunciate male.
Che jella. Anzi, che "giella", oh yeah
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Le bollicine
E per questo fine d’anno mi sento di consigliare ai nostri ascoltatori delle bollicine del 2003 prodotte in Toscana…
Cari lettori, l’ultima moda per essere davvero di tendenza e di mostrare di avere buon gusto è quella di parlare di “bollicine” e non di vino frizzante, o spumante. Sono ignorante come una capra in fatto di vini, ma qualcosa della lingua italiana credo ancora di conoscerla, e questa sineddoche delle bollicine non mi convince.
Anche la coca-cola ha le bollicine, come sanno bene i fan di Vasco, e ce le ha anche il chinotto e l’aranciata. Però un sommellier non potrebbe nemmeno lontanamente pensare di associare quelle bollicine a quello di un lambrusco.
Per non parlare di mia figlia quando le facciamo il bagnetto: di tanto in tanto fa delle bollicine anche lei, specie se sta digerendo.
Ma con tutto il bene che le voglio, non sono bollicine che mi sento di consigliare per il cenone…
C’è voglia di trasgressione
Sarà l’imperversare di trasmissioni oscene come Lucifero che riescono ad abbassare sempre di un po’ la linea di demarcazione della tivù deficiente, sarà per il linguaggio dei pubblicitari che non sanno più che inventarsi per conquistare nuove nicchie di mercato tra consumatori depressi e squattrinati, ma sempre di più sento parlare a sproposito di "trasgressione". Trasgredire vol dire violare, non rispettare, oltrepassare i limiti del lecito. L’indipendenza e la capacità di andare contro corrente è tutta un’altra cosa.
Certo un paese che evade sistematicamente le tasse e supera perennemente i limiti di velocità avvinazzato non può essere un buon esempio per i giovani, ma se tutti per divertirsi devono "trasgredire", impasticcandosi, sballandosi, violentando se stessi (e, purtroppo, a volte anche gli altri), ha ancora senso parlare di trasgressione?
Se tutti i tuoi amici vanno in discoteca all’una di notte, ascoltano musica orribile, bevono troppo e si drograno e lo fai anche tu, caro mio, altro che trasgressione: sei vittima delle più terribili delle forme di omologazione.
E, per piacere, cercati altri amici…
Bruciano i soldi
In televisione e sui giornali si sente spesso dire “le borse hanno bruciato duecento miliardi”.
Tale e tanta è l’enfasi con cui gli economisti sottolineano il concetto, che alla fine uno immagina enormi pire di banconote, o, più prosaicamente, disastri paragonabili a incendi, terremoti, guerre. Non è così: i soldi che bruciano le borse sono virtuali (anche se hanno effetti sulla vita reale delle persone).
Se l’azione di una azienda lunedì vale 20 euro e martedì 15, perchè ci sono state previsioni negative sul mercato o perché c’è chi sostiene che l’azienda ha fatto investimenti sbagliati, ecco che le borse “bruciano” 5 euro per azione, e chi aveva investito 20 euro ne rimane con 15. Ma l’azienda, i suoi dipendenti, i suoi edifici sono esattamente gli stessi, nessuna scottatura, ma sicuramente meno quattrini da gestire perché in borsa “si vale” di meno.
Se la mettiamo su questo piano terra terra, anche i saldi di fine stagione “bruciano” miliardi, perché i vestiti venduti a metà prezzo di fatti dimezzano il valore di chi li ha comprati a prezzo pieno. Pensate a chi ha acquistato l’Iphone della Apple alla cifra stratosferica di 599 dollari: dopo pochi mesi, la Apple ammette che, suvvia, abbiamo scherzato, 399 possono bastare. Per l’acquirente sono soldi bruciati, valore perso.
Ma qualcuno che ci guadagna c’è sempre, i soldi non si bruciano, ma semmai passano di mano. Allora perché la stampa parla di soldi “bruciati” ? Perché nell’opinione pubblica arrivi un segnale chiaro: i soldi sono perduti. In realtà sono finiti in qualche cassetto (magari quello dello squalo che compra azioni quando si svalutano), ma lì farebbero gola a chi giustamente vuole riappropriarsene.
La cenere, invece, può volare nel vento…
La colazione
Avevo un compagno d’appartamento d’università che faceva tre colazioni al giorno. La prima colazione, latte e biscotti. La seconda colazione, latte e biscotti. La terza colazione, latter e biscotti. Niente male come dieta, sarà forse un caso che subì un intervento di peritonite acuta (e andò in ospedale in bici… quando la vita supera i romanzi). In effetti, però, le sue erano colazioni.
Ma allora mi volete spiegare perché adesso sui programmi di conferenze, corsi o manifestazioni tra l’una e le due, in orario quindi che non lascia adito a dubbi, mi ritrovo “Colazione”? Offriranno forse a clienti o partecipanti latte e biscotti, o magari te e bacon per fare gli inglesi? Niente di tutto questo, è che il pranzo sa di importante, siccome invece in queste occasioni si offre un buffet di schifezzuole fredde, meglio denigrarlo al grado di “colazione”.
Ma come vi permettete?
Pensate che basti cambiare una parola per cambiare l’oggetto a cui si rivolge? Se la chiamate “colazione” forse non arà più un’accozzaglia di schifezzuole fredde? Io penso proprio di no, a me che non vi basti chiamare bolide la vostra utilitaria per sentirvi Alonso, o magione i vostri 35 metri quadri.
Le cose sono quello che sono, e non è giocando con le parole che le migliorerete. Scrivete “pranzo di lavoro”.
La gente capirà che è meglio non aspettarsi le lasagne, ma nemmeno i Saiwa.
May day may day!
Odio qualunque festa, manifestazione, rassegna o celebrazione – italiana – che contenga la parola “day”.
Il no tax day, l’orribile (per il nome, intendo) Graduation Day, l’MTV Day.
Posso capire le feste d’importazione, come il Linux Day o il Columbus day, ma alle nostre, diamogli un nome che non ricordi un pacchetto di merendine (e con le family day, in omaggio il simpatico fischietto di LeccaLecca!) o una canzone pop anni ottanta.
Chiamatela festa della famiglia, se volete: ai miei tempi c’erano quelle meravigliose sagre paesane chiamate Festa dell’Unità, Festa dell’Amicizia, Festa dell’Avanti. Ammetterete che avevano ben altro tono rispetto ad un eventuale “Friendship Day”.
Come dite? Quelle erano feste politiche, organizzate da sezioni di partito per raccogliere consensi? E perchè, la manifestazione di sabato cos’era?