Fateci caso: i maghi del marketing sempre più spesso non parlano più di servizi, prodotti, offerte. Loro propongono soluzioni. Che bello. Non compri una casa di 45 metri quadri con giardino di 20 cm sul davanzale, compri una soluzione abitativa.
Non compri software per la gestione del magazzino, compri soluzioni aziendali per la logicistica. Non compri pubblicità, ma soluzioni pubblicitarie. L’idea era buona, per carità, la soluzione ci fa pensare alla terribile equazione di algebra, o all’ultima pagina del giornale di enigmistica da sbirciare per un aiutino con il cruciverba (quelli seri però pubblicano le soluzioni sul numero successivo).
La soluzione ci fa pensare a qualcuno che risolve i nostri problemi, che è l’essenza del marketing dei servizi.
Ma come sempre, il troppo storpia, e se io voglio comprare qualcosa, non è detto che abbia un problema. Bisognerebbe tornare ad un marketing più attivo, che invece di cercare di risolvere le nostre faccende, si limitasse a farci delle proposte chiare…
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Il tesoretto
Hanno trovato “il tesoretto”. Era sull’isoletta, il gruppetto capitanato dal valido ammiragliuccio Padoa Schioppa l’ha trovato tra gridolini di gioia.
Mi riferisco a quei pochi soldini in più che il governo si è trovato in saccoccia, perché dentisti e commercialisti, preoccupati che con il nuovo governo dia alla Guardia di Finanza i soldi per la benzina, hanno dichiarato un po’ di più del solito. Più che di un tesoretto, quindi, dovremmo parlare di refurtiva.
Mi rendo conto che in un’informazione fatta di vallette che fanno di tutto per fare carriera e politici in carriera che si fanno di tutto, per i giornalisti ermergere, lasciare un segno, inventarsi un neologismo o un’espressione che resti impressa diventi sempre più complicato, ma signori miei, questa del tesoretto mi sembra veramente…una Caporetto.
Bypassa l’incidente
Mattina grigia, lunga giornata di lavoro che si dipana in prospettiva, noia, stanchezza. L’autoradio trasemtte le informazioni sul traffico, ogni tanto fa bene ascoltarle e e consolarsi pensando di non essere sulla tangenziale di Mestre o a Corso Malta a Napoli, tutto a un tratto un campanellino riattiva una connessione neurale e mi sveglia. La voce alla radio, atona e piatta, ha consigliato di evitare un incidente sulla tangenziale di Milano “bypassando la zona” tramite un percorso alternativo. Bypassando? Vuol dire passare cantandìo bye bye? Intervenire sul cuore di una zona con un apparecchietto che ne sostiene l’apparato cardiaco?
Ma fatemi il piacere, voi e i vostri consigli sul traffico. Io gli incidenti li evito, li aggiro, li schivo, al massimo, se sono in vena poetica, li eludo.
Ma non li bypasso.
Bye Bye, passo.
E chiudo.
Il carbone pulito
La chiamarono “benzina verde” semplicemente perché conteneva un po’ meno piombo, e certo non perché profumasse di eucalipto.
Poi ci sono state le marmitte ecologiche, così chiamate non perché amassero l’ambiente ma perché puzzavano meno di altre. E gli “eco-incentivi”, per cambiare macchina e produrre nuovi rifiuti.
Adesso siamo al capolavoro nominalista dei chiacchieroni del marketing industriale: il carbone pulito. Un carbone profumato che non sporca e non lascia odori. Dico davvero, si chiama così. Si tratterebbe di una tecnologia che brucia il caro vecchio carbone come ai tempi degli sfruttati di Dickens, ma il fumo non lascia che inquini il cielo: lo infila sotto terra. Che menti, che hanno i nostri industriali ecologici. Intanto, il buco dentro il quale il gas dovrebbe essere infilato non è mai vicino alla centrale, ma a centinaia di chilometri di distanza. Tanto per garantire un po’ di commesse ai tubifici e alle scavatrici che dovranno martoriare il sottosuolo per infilarci i tubi porta gas. Poi, questo gas dovrebbe rimanere bloccato per un paio di secoli, e poi diventare cristalli puzzoni.
Un altro regalo per i nostri nipoti, che già si troveranno un cielo nero radioattivo e un’aria irrespirabile, quando scaverano nel sottosuolo magari per seppellirsi e farla finita, troveranno i nostri ricordini.
Signori miei, non prendeti in giro: il carbone pulito, chiamiamolo per quello che è: una discarica. Morire sì, ma non da fessi…
Lo sfidante e l’imbecille
Avete presente i quiz di Mike Bongiorno?
C’è lui, il giudice imparziale, il campione e lo sfidante. Bene, perché lo sfidante, in italiano, è colui che sfida. Lo sfidante dunque è una persona, al limite un animale che attacca il capobranco per prenderne il posto. Non può essere un progetto, un prodotto o un’idea.
A meno che voi non vi occupiate di marketing e amiate scimmiottare l’inglese (le due cose sono spesso collegate). Allora improvvisamente tutto ciò che occupa lo spazio semantico tra insignificante e irrangiubile diverrà sfidante. Questa è una richiesta sfidante. Questo sì che è un patto sfidante.
Che c’entra l’inglese? In inglese il participio aggettivato challenging (dall’inglese medievale chalengen che a suo volta viene dal normanno chalenger e quindi dal caro latino calumniari) vuol dire sì sfidante, come per gli italiani, ma anche "che pone in una condizione di sfida". In effetti se uno ti calunnia ti sfida a dimostrare il contrario, per difendere la tua dignità: l’etimologia non mente mai. Ma in italiano? In italiano si può usare impegnativo, stimolante, provocatorio, interessante, provocante…Non sfidante.
Anche perché certi esperti di marketing non subiscono una calunnia: se qualcuno li considera degli imbecilli, sta descrivendo un fatto.
La situazione
Una delle parole di maggior successo negli ultimi tempi è senza dubbio “la situazione”.
Secondo il dizionario Garazanti, la situazione è uno stato, una condizione
(trovarsi in una situazione difficile; la situazione economica di un paese; essere all’altezza della situazione); oppure il contesto in cui si opera. C’è anche un significato arcaico, antico, etimologicamente corretto, che indica posto, posizione (dal latino medievale situare, a suo volta derivazione del classico situs).
Il bello è che il successo di questa parola di recente è un miscuglio di tutti questi significati: si dice “dobbiamo organizzare la situazione” “dobbiamo predisporre una situazione luminosa” e si fa fatica a capire se ci riferisce al contesto, alla posizione, o a chissà cosa. Ho sentito dire di recente ad un tipo, di fronte ad una veduta spettacolare: “Qui c’è una bellissima situazione”.
Io ci vedevo solo un bel panorama, ma si sa, gli scrittori sono tutti un po’ miopi.