Hanno cominciato, qualche tempo fa, a pronunciare la sigla dvd “dividì” anzichè “divudi” per fare i fighi e mostrare che sanno l’inglese. Perché in Italia si dice “Vu” e non “Vi”: abbiamo le videocassette “vuaccaesse”, non viaccasse, guardiamo la tivù, non la tivì, e abbiamo anche una simpatica lettera, la w, che si chiama doppiavu, e non doppiavi.
Non stanchi di queste boiate ridicoli, i guru della tecnologia ne hanno inventato un’altra. C’è una tecnologia per la connessione digitale che si chiama HDMI. Acca-di-emme-i. Pronunciarla in inglese sarebbe tostissimo, verrebbe più o meno “eic-di-em-ai”. E allora cosa fanno? Pronunciano acca-di-emme-ai! Almeno la i teniamocela in inglese, “ai”. Ma fatemi il piacere…anzi, “fac iu”…
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Why not
L’inglese, è stato detto tante volte, è una lingua che fa della flessibilità la sua forza. I neologismi inglesi entrano ed escono nel lessico con una velocità impressionante, oggi si parla di “phising” e “toothing” mentre in Italia stiamo ancora digerendo “customizzare” e “cliccare” (qualcuno ancora scrive clickare!). Per cui, chi si occupa di tecnologia spesso è abituato ai termini inglesi, così come chi si occupa di finanza, medicina, e chissà quanti altri campi del sapere. Ma finchè i termini inglesi (o, più in generale stranieri) non hanno corrispondenti italiani, ben vengano. Ma perchè da qualche tempo a questa parte sento spesso dire “why not” quando “perché no” funziona benissimo? Abbiamo fatto una considerazione sul progetto e ci siamo detti why not…Nei confronti di questa iniziativa abbiamo un attegiamento aperto e costruttivo, abbiamo pensato why not…E via andare. Ovviamente non lo digerisco, non lo sopporto, non lo tollero.
La prossima volta che sento dire “why not” risponderò “because you’re a nerd”. Chissà in quanti capiranno.
Fisicamente
“Fisicamente” è un avverbio, e come tutti gli avverbi andrebbe usato con parsimonia; come un suo collega (quell'”assolutamente” che domina le nostre risposte affermative e negative) sta vivendo un momento di gloria in questa stagione della lingua italiana.
“Dobbiamo fisicamente dirgli…” “abbiamo bisogno fisicamente di un supporto” “questo sarà un’occasione per scambiarci fisicamente delle esperienze”. Le battute triviali si sprecano, in un tripudio di doppi sensi che finalmente riporta in auge il corpo, o meglio il fisico, ai danni dell’anima, con buona pace dei seguaci di San Paolo e dei mistici di tutto il mondo. Ma non è questo il punto: interessante è invece notare come in una società dove tutto è immateriale, si discute tramite videocellulare o conference call, si scrive solo con le e-mail e ci si innamora via chat, torna alla ribalta un avverbio che differenzia un’attività dalle altre proprio per il suo aspetto concreto, fisico, materiale. Una volta sarebbe stato pleonastico, adesso suona indispensabile. Come sempre, evitiamo di esagerare. Meglio “vorrei farle una proposta di persona, se ne avrò l’occasione” di “vorrei fisicamente farle una proposta”. A meno che l’interlocutore non sia una bella donna procace e la proposta qualcosa che di cui non si può parlare in un blog per bene come questo…
La Vale e il Giampi
“Vale non c’è, provo a sentire dall’Ale se può venire con la Franci e il Giampi…” scampoli di dialoghi immaginari ma neanche tanto in una qualunque città al nord di Roma. So che danno i brividi solo a riprodurli, trasudano bruttezza e superficialità. Premetto che non sopporto l’usanza dialettale settentrionale di chiamare i nomi femminili anticipati dall’articolo, lo trovo un retaggio maschilista; tuttavia spero che non scompaia perché è un’argomentazione vincente contro tutti i settentrionali che pretendono di vantarsi dell’emancipazione femminile nelle loro zone trascurano questi dettagli importanti (il linguaggio è da sempre un indicatore fondamentale della cultura di un popolo!).
Io non solo non dirò mai “la Vale”, siamo in democrazia, gli altri dicano quel che vogliono, ma non dirò neanche “Vale”: ti chiami Valentina, o Valeria, o Valebalda (?) il tuo nome ha una storia e una tradizione, perché mozzarlo in maniera così truce? Per far prima?
Ma non scherziamo, capisco uno che si chiama Domenico diventi Nico e tollero che Elisabetta diventi Elisa o Betta, ma da Alessia ad Ale risparmiamo una sillaba, suvvia! Temo che in tutto ciò ci sia la solita influenza americana: gli americani si chiamano spesso Al,Joy, Bo o Bob. Ma i loro nomi “non significano un c*zzo”, come ricorda una meravigliosa battuta di Pulp Fiction; i nostri sì, fino a quando a furia di troncarli non ne dimenticheremo l’origine…
Esmeralda: What is your name?
Butch: Butch.
Esmeralda: What does it mean?
Butch: I’m American, honey. Our names don’t mean sh*t
X enorme afflusso…
Un po’ per formazione, un po’ per carattere, credo che la lingua sia una sorta di organismo biologico che vive di vita propria e va dove vuole. Se è vero che ci sono delle regole che ci insegnano ad usarla, è vero che l’uso finisce per diventare regola, in un processo circolare. Tutto questo per dire che la battaglia dei puristi (più insegnanti che linguisti, a dire il vero) contro l’influenza degli sms sulla scrittura ha segnato un’ulteriore sconfitta. Infatti la protezione civile (PROT.CIVILE) mi ha inviato un messaggio che è un inno alla “x” usata al posto del per. L’ha inviato anche a tutti voi. Poco spazio, necessità di dare informazioni contenendo i costi, diranno i responsabili (che hanno fatto bene secondo me ad usare gli sms forzando la privacy, quando si tratta dell’incolumità delle persone si può e si deve, altro che il ricordati di andare a votare del cavaliere mascarato), abbiamo usato la x anziché il per. Giusto. Ma se quest’uso viene da un organo ufficiale, la novità è grossa: pensate se le x, e i + cominciassero ad apparire sui cartelli stradali (serve spazio anche lì) e sui documenti (risparmieremmo carta). Uno scandalo? No, un po’ di sintesi farà solo bene al logorroico italiano, l’importante è evitare ambiguità. Semmai, andrebbe detto alla PROT. CIVILE, che se scrivono X INFO per risparmiare, poi non possono sprecare 27 caratteri per “usa mezzi trasporto collettivo”. Un “usa treni e bus” (12 caratteri) sarebbe stato sufficiente…
Mi vien da dire basta
Odio i tormentoni, quei modi di dire che si insinuano tra le pieghe di una lingua e cominciano a riprodursi spasmodicamente senza che nessuno riesca a capire perchè e quando è partita la loro diffusione. Ho già parlato, in questo blog, del virus dell'”assolutamente sì”, adesso vorrei soffermarmi su un’altra formula virulenta, il “mi vien da dire”, con le varianti “mi vien da pensare”, “mi vien da chiedere”. Cosa c’è dietro questo virus? Il tentativo, che alla nostra lingua riesce molto bene, di deresponsabilizzare il soggetto. Noi italiani spesso il soggetto lo sottointendiamo, oppure lo camuffiamo dietro le forme impersonali (es. “Si dà comunicazione che a partire…per non dire chiaramente che il Comune, o la Provincia, comunica che…). Pensate all’inglese I like you: in italiano il fatto che “io” soggetto “apprezzi” te complemento oggetto, diventa un complicato “tu mi piaci”, dove la responsabilità del gradimento viene scaricato non su chi gradisce, ma su chi, incolpevolmente, è gradito. Il “mi vien da dire” ha origine dal “mi vien da ridere” o “mi vien da piangere”: in quei casi, tuttavia, davvero il soggetto non è responsabile, perché il riso o il pianto sono espressione di sentimenti che possono sorgere incontrollati, irrazionali, attribuibili ad altro. Ma se vuoi dire qualcosa, la dici e basta, sei tu che agisci: non ti viene da dire, non esiste un entità superiore che ti fa parlare: lo dici, e te ne assumi le responsabilità.