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Il fotoscioppismo

Photoshop è un programma straordinario che permette a grafici, creativi e in generale a tutti gli utilizzatori di computer di modificare e integrare immagini digitali con tecniche evolute che solo quindici anni fa sarebbero costate ore di lavoro e avrebbero richiesto un’attrezzatura costosa. Fin qui tutto bene. Qual è il problema, allora?

Il problema è che il proliferare di versioni economiche, gratuite o comunque di software accessibili con le caratteristiche di Photoshop hanno fatto sì che chiunque, anche persone digiune di competenze specifiche, possa mettersi a realizzare locandine o manifesti. Finché si tratta del solito fotomontaggio zozzone per festeggiare l’amico che si laurea, poco male; così come ognuno è libero di impreziosire le proprie foto delle vacanze con cornici arancioni viola e nere e scritte tridimensionali “Ecco papy” (nel caso qualcuno lo avesse confuso con il paesaggio o con il vicino di ombrellone, non so).

Il vero danno sorge quando questa smania prende anche i realizzatori di locandine pubbliche: laddove una volta c’era il nome dell’associazione, il titolo della conferenza in nero su sfondo giallo, al limite qualche asterisco, oggi è un proliferare di titoli con l’ombra (ma dove lo vedete tutto questo sole, sotto i portici?), scritte ondivaghe che seguono curve immaginarie, immagini trasparenti su immagini trasparenti, volti deformati, immancabili effetti 3d e clip-art (immagini insignificanti dall’inspiegabile successo) ovunque. Ieri ho dovuto avvicinarmi a meno di 30 cm per leggere l’orario di una conferenza scritto in bianco (3d!) su uno sfondo di fiori di bosco viola.

Ho deciso di rinunciare alla conferenza, chi appende un manifesto così non può avere cose interessanti da dire.

Giornalismo interpretativo

Accessibile come un convento di clausura arroccato sul monte, usabile come certe caffettiere chic che ti ustionano le mani, coerente come le prese di posizione di certi politici, graficamente elegante come il volantino di una svendita per chiusura locale, il nuovo sito di Repubblica.it ha rappresentato una pagina mediocre di giornalismo. Si perché di fronte a centinaia, forse migliaia di utenti che protestavano  e giudicavano brutto l’intervento sul sito la redazione ha pubblicato un articolo in cui affermava che l’evoluzione “è stata accolta con umori alterni” e che “sono tanti quelli che hanno manifestato apprezzamento”. Si tratta di un bellissimo esempio di interpretazione della realtà così forzata da poter risultare addirittura mistificazione. Se, faccio un esempio, in 100 (sono tanti) dicono che il sito è bello, e in 2000 dicono che è brutto, è corretto scrivere che in tanti apprezzano? Non è falso, certo, ma non è quello che mi aspetto da un giornale serio. Per chi non ha ancora capito a cosa mi riferisco (sveglia!Meno male che domani non si lavora, eh?) sto parlando della nuova veste grafica di Repubblica.it che ha introdotto il blu per i titoli degli articoli, razionalizzato alcuni spazi in vista – sospetto – di una integrazione con kataweb ma tutto senza grande rispetto delle minoranze, visto che il sito non è visibile dai Macintosh e mette in difficoltà alcuni browser per disabili e gli utenti privi di un computer potente e aggiornatissimo. Forza ragazzi, tutti sbagliano ogni tanto. L’importante è ammetterlo

Di fatto è un’Unione

Il naming è un attività in cui sono spesso coinvolti i professionisti della comunicazione e che consiste appunto nello studio di un prodotto, delle sue caratteristiche, del suo mercato, per attribuirgli un nome adatto. Non pensate quindi a marito e moglie che discutono se chiamare il figlio Guglielmo Federico o Axelmaria: in questo caso i genitori non sanno come sarà il figlio, devono tirare a indovinare, e infatti possono commettere degli errori, se la chiamano Graziella e poi diventa 1,80 non va bene, se lo chiamano Felice e poi cresce malinconico neanche. Invece i professionisti della comunicazione si trovano di fronte ad un prodotto che già c’è, almeno nelle intenzioni, devono studiarlo e analizzarlo bene, prima di dargli il nome. Di esempi divertenti ce ne sono tanti, pensate alla Jetta, un automobile della Wolvkwagen che non vendette mai una vettura a Napoli, o alla Dia, Direzione Investigativa Antimafia che però, fateci caso, è anche un congiuntivo che sembra invitare a pagare senza fare tante storie. Il problema è che i professionisti fanno delle proposte, poi è il committente che sceglie, e spesso sceglie una proposta sua. Perché tutto questo parlare di naming? Perché è la nato finalmente il centro sinistra, e si chiama Unione. Quando i cattolici della Margherita e dell’Udeur lo scopriranno, fuggiranno inorriditi. Perché? Il loro partito di fatto è un unione: quindi, è un unione di fatto. Peccatum est!!!Meglio allora sarebbe stato chiamarla Matrimonio. E cominciare da subito a pensare a che nome dare ai figliocci…

Contro lo sporco si fa presto

Il metro per valutare una pubblicità deve’essere l’efficacia, non la bellezza. Anche perché la prima si può calcolare in soldini per l’azienda, la seconda è soggettiva. Detto questo, ieri, mentre ero in fila in auto, ho guardato la reclame (parola d’altri tempi, ma in questi casi ci vuole) di un detersivo appiccicata su un autobus. Sempre meglio di quelle di biancheria intima che mi fanno sbandare, questo è sicuro. La reclame diceva più o meno “Contro lo sporco si fa presto. Con BIO PRESTO”, o qualcosa del genere. Sulle prime ho avuto un moto di incredulità: essendo la sera del martedì grasso, ho pensato si trattasse di un carro allegorico. Invece no, ho guardato bene, la pubblicità recita proprio così, non è neanche una rima come hai tempi di Calimero, è proprio una tautologia, con Biopresto si fa presto, già allora mi aspetto i prossimi con Svelto fai più svelto e quante coccole con coccolino. Queste pubblicità sono il frutto di investimenti miliardari, non è che a uno viene una idea e si fa, sono il risultato di analisi, studi, ricerche. Evidentemente il produttore ha analizzato, studiato, ricercato, ha caoncluso che il suo cliente è un babbeo, ed ecco la pubblicità come logica conseguenza? Ma io non voglio comprare un prodotto per babbei! PS Mi sono documentato.
La pubblicità è una citazione di uno slogan tradizionale di molti anni fa.
Molto chic, retrò, citazione colta.
Ah. Be’.
Allora….


Non mi piace lo stesso.

Non conta la bandana ma il cervello che c’è sotto!

Gli Articolo 31 in un’immagine tratta da sito www.mtv.it

Di solito per farsi bello uno dovrebbe citare poeti e filosofi, e la citazione è tanto più raffinata quanto più antica è la fonte. Ma io non ho intenzione di farmi bello – e già tanto se mi pettino ogni tanto – e cito nel titolo una frase che ho sentito ieri sera (concerto MTV a Bologna) pronunciata dagli Articolo 31 alla fine della loro esibizione.

Mi sembra adeguata visti i tempi in cui al vuoto pneumatico delle idee si risponde con la presunta cura dell’immagine. Ribadiamo un minimo di buon senso: le bandane stanno bene in testa ai pirati, ai cantanti e ai ragazzi in vacanza. Ai primi ministri in veste ufficiale, no. E il fatto che si stiano trapiantando dei capelli non mi pare una giustificazione solida.

Visto che recentemente è stata approvata una bella legge (e smettiamola di chiamarla cattolica, è cattolica quanto le crociate e l’inquisizione, io sono cattolico ma non mi indentifico in tali comportamenti) che di fatto impedisce la maternità per alcune coppie e aumenta i casi di aborto, ne approfitto anche per ricordare l’articolo 31 della Costituzione, da cui ha preso il nome la band. Per non parlare dei mille euro a chi ha un secondo figlio (così possono comprarsi il decoder del digitale terrestre) negati alle coppie miste e delle riforme scolastiche che se continua così presto sostituiranno l’intervallo con i consigli per gli acquisti ed i Promessi Sposi con Elisa di Rivombrosa…

Riscopriamo l’Articolo 31!

Art. 31 della Costituzione Italiana

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo