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Buon Natale, italiani

Il messaggio quell’anno era stato forte e chiaro, per gli allestitori del presepe: prima gli italiani! Difesa della lingua, delle tradizioni, dei costumi italici, ecco cosa ci si aspettava dal presepe e dai suoi partecipanti. Non siamo razzisti, eh, avevano detto gli organizzatori, solo che siamo stanchi di questa invasione subdola da parte di stranieri che se ne stanno negli hotel a cinque stelle, con 35 euro al giorno, mentre gli italiani non arrivano a permettersi l’abbonamento Netflix ad alta definizione.
E sia, si disse, prima gli italiani. Anzi, solo italiani. Mentre ancora si predisponevano le italianissime palme accanto agli abeti innevati, un gruppo di pecorelle cominciò a far confusione. E queste cosa ci fanno qui, così allo sbando? Dove sono i pastori? – gridò il direttore. L’assistente mortificato gli si avvicinò e spiegò che il pastore italiano si era messo in malattia e non sarebbe rientrato prima del 7 gennaio. Pare soffrisse di stati d’ansia. L’avevano visto allo stadio, ma aveva fatto inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno dal suo sindacato in cui si affermava che seguire il calcio serviva per curare la sua patologia, e si minacciava una denuncia per mobbing se solo avessero osato contraddirlo. E va bene, portate via queste pecore, disse il direttore, quest’anno avremo solo il bue e l’asinello come animali. Mi dispiace, direttore, mormorò l’assistente, a dire il vero il bue era seguito da un allevatore indiano. Sono gli unici ormai che stanno dietro ai bovini. L’abbiamo dovuto licenziare, e si è portato anche il bue.

La faccenda si andava ingarbugliando. Il direttore scosse il capo, e chiese che al falegname fosse ordinata una sagoma di bue in legno. In nero, ovviamente, che farsi fare fatturare un lavoro da quell’artigiano era più difficile che appendere la stella cadente alla grotta.
Niente da fare, direttore, sentenziò l’assistente. Il falegname italiano è diventato un interior designer, sostiene che il contatto diretto con la materia mortifica la sua predisposizione artistica. Se vuole potrà farci uno schema 3d del bue di legno e poi ce lo farà spedire da una manifattura che lo realizzerà in Cina. No! Sbraitò il direttore. Prima gli italiani. E sia, niente sagoma e niente falegname, quest’anno.

Almeno le lavandaie ce le abbiamo? No, signore, hanno detto che la figura era sessista e screditava il ruolo essenziale delle donne nella società odierna. Va bene, non faranno le lavandaie, le faremo fare qualcos’altro. Sarte? Sciovinista. Angeli? Sessuofobico. Suonatrici di zampogna? Erotomane. Il direttore era ormai in preda ad una crisi isterica. I re Magi, vogliono fare i re Magi? Le Regine Magi è adeguato per loro? Sarebbe adeguato, direttore, se non fosse che la notte di Natale devono badare ai loro genitori. Sa, abbiamo dovuto licenziare le badanti ucraine.
Il direttore tirò un lungo sospiro. La donna con il bambino alla fontana non c’era, perché non aveva trovato una babysitter. Provò a chiamare un nome che gli fornì un’agenzia per l’impiego, ma gli rispose il padre, che affermò che sì, il figlio era disoccupato, ed era pure italiano, ma non voleva essere disturbato prima delle undici di mattina, per cui il direttore avrebbe dovuto riferire a lui che si sarebbe poi occupato di avvisare il figlio al suo risveglio.

I muratori? Abbiamo i muratori? Nossignore, sono tutti rumeni. Abbiamo proposto un “Prima i comunitari”, per tenerli dentro, ma l’idea è stata bocciata. Però c’è un architetto, se vuole, si è laureato a Urbino con sei anni fuori corso ma possiamo fargli reggere un faretto, volendo. Abbiamo in compenso il pastore che dorme. Si tratta di un impiegato italianissimo assunto come usciere al ministero, a trent’anni, con chiamata diretta dal collocamento perché figlio unico e andato in pensione a quarantanove anni come dirigente, con una pensione triplicata. Dovrebbe vederlo dormire, signore, è veramente uno spettacolo. Solo vuole essere pagato in anticipo e vorrebbe che impiegassimo anche il figlio. Possibile che non ci sono italiani validi per questo presepe, domandò il direttore guardando in cielo. Ce ne sono in Francia e negli Stati Uniti, propose l’assistente, ma si zittì subito.
Basta, rinuncio, sbraitò tristemente il direttore, osservando che i due giocatori di carte al tavolino avevano sostiuito il mazzo con una playstation e due visori 3d. Quest’anno niente presepe. Non c’è neanche la sacra famiglia!
Mi dispiace, direttore. Non abbiamo potuto farli entrare, sono rimasti bloccati nel centro di accoglienza. Non è che possiamo accoglierli tutti: sono profughi, ricorda? Li aiuteremo a casa loro, mandando un biglietto di auguri a Nazareth.
L’assistente guadagnò l’uscita. Prima di allontanarsi e spegnere le luci, il direttore avvertì un tonfo sordo. Cercò di comprenderne l’origine e si accorse che a emetterlo era stato un asino, che picchiava la testa contro la sua ombra.
Si avvicinò alla bestia, cercando di calmarlo. Lo scrutò, cercando di capire perché si comportasse così.
“Prima gli italiani!” gridò il somaro.

Buon Natale.

Il balcone di fronte

Era abituata a far scorrere quasi completamente le tapparelle prima di andare a dormire. Non sopportava le luci che violavano il suo isolamento persino d’estate, quando un po’ d’aria fresca le avrebbe fatto bene, figuriamoci l’inverno. In questo periodo, se solo dimenticava di chiudere la tenda, si ritrovava in camera uno sgradevole effetto discoteca generato dall’anziano dirimpettaio, un signore in cardigan, loquace, che in più di una circostanza aveva rischiato di farla arrivare tardi in ufficio con le sue chiacchiere. Il vecchietto, con cura disarmante, ogni anno infatti addobbava il balcone con lucine natalizie colorate che esplodevano di colori a intermittenza, le uniche in quel quartiere di single e famiglie senza figli.
Per evitare di incrociarlo al mattino, quando lo vedeva uscire con il suo ridicolo cagnolino e il suo guinzaglio elastico, aveva addirittura imparato a parcheggiare una decina di metri più in là e pazienza se muoversi agilmente con il suo tacco 10 non era proprio quello che desiderava di più nelle ore più fredde del mattino.
Ogni sera, rientrata da casa, si era abituata a osservare quelle lucine frenetiche che rimbalzavano sui mobili della sua camera, prima di chiudere le tapparelle trattenendo uno sbuffo. Quella sera, mentre toglieva il tailleur e svuotava il trolley dopo un faticoso viaggio di lavoro, si rese conto che la stanza era più tranquilla del solito. Nessun riflesso, nessun bagliore. Si è arreso anche lui alla logica stringente dell’Enel, pensò mentre metteva a bollire l’acqua per la tisana. Incuriosita, si affacciò in balcone, e si accorse che qualcuno aveva rimosso le lucine. Non solo. Anche le piantine erano scomparse dal mobile di legno sul balconcino. Mise un paio di scarpe da ginnastica e scese di fretta le scale senza nemmeno preoccuparsi del viso mezzo struccato. L’appartamento sembrava deserto.
Che scema che sono, sarà in viaggio, sarà andato a trovare qualcuno per Natale, pensò rientrando in casa di corsa, per spegnere il gas in tempo. La mattina dopo ne ebbe conferma, quando vide il cartello vendesi che un solerte agente immobiliare aveva affisso sulla finestra che dava sul balcone. E si sarebbe avviata tranquillamente ad un’altra intensa giornata di lavoro, preoccupata solo di non smagliare le calze e non rovinarsi le unghie dopo una costosa seduta di manicure, se con la coda dell’occhio non avesse intravisto una signora con gli occhi arrossati e un fazzoletto in mano che allungava ad una coppia mai vista in zona il guinzaglio elastico e il buffo cagnolino, che stavolta, tutto a un tratto, non la faceva ridere più. Se i colpi di coda sono problematici, i colpi di coda dell’occhio a volte ti stendono.

E allora per questo Natale auguro a tutti di trovare qualcuno di fronte che illumini le vostre giornate, che vi metta buon umore, che vi ricordi che esserci è già una festa.
Non ha importanza che questo qualcuno sia un compagno, un figlio, un genitore. Può essere chiunque. Un amico lontano che ci manda un biglietto d’auguri. Un collega che con il suo sorriso ci rende meno pesante il lavoro quotidiano. Il vicino di casa che ci innaffia i fiori quando siamo via.
Perché non importa che sia una terrazza o un attico, una finestrella o una veranda.
Quello che conta è la luce, e il riflesso sul nostro sorriso.
Buon Natale

Babbo Natale non molla mai

babbonataleCome ogni anno con l’approssimarsi delle festività il quartiere si vestiva a festa per celebrare nel migliore dei modi il Natale. Sulle porte apparivano coroncine colorate di fiori e nastri, dalle finestre rilucevano candele e piccoli alberi addobbati, sui balconi apparivano festoni, babbi natale e luci varie.
Il vecchio Babbo Natale di stoffa e plastica ne aveva viste tante, di festività natalizie. A dire il vero da guardare per lui c’era poco, visto che se ne stava puntualmente di spalle a fingere l’arrampicata presso il tubo di scarico dell’acqua pluviale, ma era sempre contento dei bambini che lo indicavano ridacchianti, sempre meno ingenui però e sempre più disattenti. Ormai il suo rosso era diventato un grigio sbilenco a causa della polvere che gli si era accumulata addosso e il sacco sulla schiena era scucito in più punti, ma lui testardamente affrontava quella scalata immaginaria a cui veniva chiamato ogni dicembre.
Quell’anno però l’attenzione dei bambini era contesa da nuove attrazioni. Una nuova spettacolare serie di luci led si avvinghiava al balcone con un set di giochi di luce intermittenti, a ritmo di rock, di salsa cubana e persino di musica italiana (quest’ultima facile da individuare: acceso, spento, acceso, spento). Le lucine lo guardavano dall’alto in basso mormorando a bassa voce che era ora di rimuoverlo, era ormai superato e doveva farsi da parte perché faceva fare loro brutta figura.
Come se non bastasse questa umiliazione, da pochi giorni sulla veranda di fronte era apparsa una nuova figura: un enorme, gigantesco pupazzo di neve, alto più di due metri, che si gonfiava grazie ad una pompa interna che gli permetteva persino di muovere le braccia mentre la sciarpa svolazzava intorno. In poche ore tutti i bambini della zona vennero a osservare l’ultimo increbile ritrovato della tecnologia, fresco, giovane, al passo con i tempi e prodotto dagli indefessi elfi del distretto industriale del Guandong. Il pupazzo non perdeva occasione di dileggiare apertamente il Babbo Natale, che se ne rimaneva immobile mentre l’omone continuava a ripetere “rottamatelo! Rottamatelo, è l’Europa che ce lo chiede”.
Pochi giorni prima del Natale, però, una perturbazione si annunciò con fulmini, tuoni e temporali. Un lampo colpì l’alternatore delle lucette led mandandolo in cortocircuito. Il finto pupazzo di neve sulle prime resse bene il colpo dell’acquazzone, ma poi il suo braccio agitandosi andò a infilzarsi contro il rametto di una pianta rimasta in veranda. In pochi istanti il pupazzo si sgonfiò, e di lui rimase solo una sagoma bianca per terra.
Il vecchio Babbo Natale resse ai fulmini, al vento e addirittura la pioggia portà via un po’ di quella polvere che aveva addosso. Quando il giorno dopo tornò a splendere il sole, le maldicenze delle lucine led finirono nel bidone dei rifiuti speciali, mentre del pallone gonfiato rimase solo la pompa che servì a scaldare la veranda. Il Babbo Natale di stoffa e plastica era ancora lì, tornato rosso, con le sue scuciture e la sua improbabile scalata sullo scarico che l’avrebbe impegnato fino alla festa dell’Epifania almeno.

Cari amici, se intorno a voci ci sono lucine led e palloni gonfiati che vi fanno sentire un vecchio inutile pezzo di stoffa, non dategli retta. Verrà la pioggia e tornerà il sole, e vorrei sarete ancora lì, nella vostra scalata impossibile, alla faccia loro e delle loro chiacchiere.
Perché sarete anche dei babbi natale, ma Babbo Natale non molla mai.

Auguri.

Il puntale grigio

natale_2014Rottamiamola! Rottamiamola! Il grido che veniva da alcuni abitanti dell’albero di Natale si faceva sempre più forte. Ce l’avevano con la stella di Natale, che da tanti anni troneggiava in cima alle loro teste. Era una vecchia privilegiata, gridò una candela di cera, largo ai giovani, strillò una pallina dorata in plastica di Taiwan. In effetti alcune decorazioni borbottavano che era vero, la stella era lassù da tanto tempo, ma era saggia e competente, e li aveva tutto sommato amministrati bene. Non era certo colpa sua se i rami dell’albero perdevano ogni anno qualche ciuffo, se le palline di vetro diventavano sempre meno numerose per gli acciacchi durante i trasporti, se le luci non si spegnevano e riaccendevano con effetto discoteca come negli alberi più recenti.

“Stai serena, stella!” gridò allora una delle ultime decorazioni arrivate. A dire il vero non si capiva bene cosa fosse, non era bella come le palle di vetro, non era autentica come le decorazioni fatte dai bambini, non era nemmeno leggera e resistente come quelle di plastica. Era una specie di candelotto grigio piuttosto rotondo, una specie di salsicciotto che nessuno ricordava da dove fosse venuto. Nonostante fosse grigio, diceva a tutti che si sbagliavano, lui era rosso, e no, non era affatto un candelotto: era un puntale. Avrebbe potuto far ricrescere gli aghi dell’albero in un batter d’occhio, se solo l’avessero messo in cima. Poi avrebbe riportato in vita tutte le palline rotte: non era difficile da fare, bastava avere un po’ di ottimismo e non essere dei vecchi attaccati alla cima come quella stella antiquata.

Nessuno credeva alle panzane di quel salsicciotto grigio, eppure, a furia di promettere, cominciò ad avere un certo credito. Certo sembrava eccessivo pensare che sarebbe stato in grado di far crescere l’abero fino al soffitto, visto che non si era mai visto crescere un albero in alluminio e plastica, e qualcuno borbottò che la sua idea di rendere luminoso direttamente il tronco dell’albero –  con un semplice accorgimento segreto –  non era realizzabile. Ma lasciamolo provare, si borbottava, cosa abbiamo da perdere? Magari non riuscirà davvero a far ballare all’albero il moonnwalker come ripete continuamente, ma qualche passetto di tip tap forse riusciamo a vederlo.

L’agitazione dal basso cresceva, il salsicciotto marrone aveva promesso alla base dell’abero di portarla in cima con sé, e alla fine, ondeggia di quà, ondeggia di là, la stella finì per cadere. Non capite? Questa è la volta buona, grido il budello grigio, e saltò in cima all’albero, proclamandosi nuovo puntale. In realtà nessuno aveva espressamente chiesto che finisse lì, ma intanto c’era. Con le sue mosse azzardate dapprima fece cadere tutte le vecchi palline di vetro, le più antiche ma anche le più lucenti.

Poi fece sostituire la base in legno, che finì bruciata in camino, con una base fatta di cartone a tutele crescenti.  Le luci furono spente perché rappresentavano un inutile spreco, tranne un gruppo che il salsicciotto raccolse intorno a sé perché lo illuminassero perpetuamente.

La porta si aprì, e due figure alte si avvicinarono all’albero.
“Cosa hai combinato, piccolo Silvio? Hai quasi distrutto l’albero! Che disastro”
“E dire che eri in punizione! Ci finirai di nuovo se continui così!”
“D’altronde l’albero era vecchiotto. Sarà l’occasione per cambiarlo. Che peccato, però, Silvietto ha rotto tutte le decorazioni più belle. E quello schifo in cima cos’è? Dove l’hai preso, Silvio?”
“So io, dove l’ha preso. E’ un vecchio pezzo di pongo sporco che avevo buttato via. Silvio, Silvio, quando la smetterai di rovistare tra la spazzatura? Non si fa”.

Il piccolo Silvio si allontanò sbuffando. Un’altra punizione non l’avrebbe davvero digerita. E poi quell’idea del puntale di pongo non era malvagia. Era così malleabile…

In attesa che arrivi il nuovo albero e che sia spazioso per accoglierci tutti, Buon Natale.
E se è vero che Silvio ha rotto le palle, non dimenticate che pure chi non distingue il grigio dal rosso ha le sue colpe.

PS. Cosa successe alla stella di Natale caduta dall’albero? Non poteva certo andare perduta, non un’ autentica stella di Natale. Una magia natalizia la trasformò prima che cadesse al suolo, la trasformò in un magnifico dono. Un dono che spero troviate tutti sotto l’albero. O magari nella calza della Befana, se non avete fatto in tempo. No, non è l’amore. E nemmeno la salute. Certo che ve le auguro, ci mancherebbe, ma era una vecchia stella di Natale, mica la lampada di Aladino. Se volete sapere in cosa si trasformò, guardate qui sotto.
Auguri. Una legione di auguri. Vogliatevi bene.

Che Epifania, quella del 2014…

presepe_2014Me la ricordo ancora, l’Epifania del 2014, eccome se me la ricordo. Certo noi Re Magi di annate difficili ne abbiamo conosciute, tra guerre, carestie e tumulte, ma quella del 2014 resta comunque una Epifania particolare.

Tanto per cominciare quell’anno Baldassare prese una gastroenterite prima di partire che lo tenne bloccato nel letto con il real pappagallo per quasi due settimane. A causa del blocco delle assunzioni però non potemmo sostituirlo, e ci affidammo  ad un’agenzia di lavoro interinale che inviò Peppiniello, un laureato in Filosofia con un master in Economia a Yale che era appena stato licenziato dal call center perché vendeva pochi aspirapolveri.
Spiegammo subito a Peppiniello che il suo sarebbe stato uno stage non retribuito perché così imponeva la normativa e Melchiorre era intransingente, ma un po’ di incenso sotto banco glielo avremmo assicurato comunque.
Sempre Melchiorre stabilì che non avremmo dovuto seguire la stella cometa perché apparteneva al vecchio apparato, e che avremmo usato un navigatore satellitare che facevano dalle sue parti. Non ti è bastata l’esperienza dell’anno scorso, gli risposi? Se funziona come i giocattoli che dalle tue parti fanno con i rifiuti industriali siamo a posto, gli dissi, ma lui fece finta di non sentire.

Il viaggio fu comunque più leggero del previsto; non tanto per la conversazione, visto che Peppiniello era logorroico e cercava continuamente di giustificare i sacrifici che i suoi genitori avevano fatto per farlo studiare con argute argomentazioni che non interessavano a nessuno, quanto perché proprio i bagagli sembravano più leggeri. Quando mi decisi a investigare, feci una amara scoperta: ci avevano derubato dell’oro! Ma quale furto, spiegò Melchiorre, quello se l’è preso l’Unione Europea per finanziare le industrie tedesche. Si chiama spending review. E ora come facciamo, domandai sconcertato? Melchiorre spiegò serafico che aveva pensato a tutto lui: con gli spiccioli aveva comprato dei biscotti. Biscotti? Avremmo portato al Salvatore dei biscotti? Ovvio, mi rassicurò Melchiorre.
Oro Saiwa, incenso e mirra. Nessuno ci farà caso, vedrai.

La batteria del navigatore di Melchiorre, come volevasi dimostrare, smise di funzionare a nemmeno metà viaggio, e non ci fu verso di farlo ripartire. Allora ci fermammo a chiedere indicazioni, o almeno per orientarci a cercare la nostra stella cometa. Passò un imprenditore in elicottero che aveva esternalizzato la fabbrichetta dalle parti di Melchiorre e il suo conto corrente a Monte Carlo, ma non si fermò perché aveva altri impegni, lui, e se andò maledicendo le tasse. Poi passò un lavoratore autonomo in Jaguar con il suo libretto di fatture intonse che non si fermò perché aveva altri impegni, lui, e se ne ando maledicendo le tasse. Alla fine arrivò un dipendente statale che dopo quarant’anni a 1100 euro al mese si era ritrovato senza pensione e senza stipendio perché la ministra tecnica samaritana l’aveva preso in giro con altri milioni di lavoratori. Si fermò, ci accompagnò ad un’edicola dove vendevano care vecchie mappe stradali di carta, e ce ne comprò una. L’edicolante infatti non aveva accettato la nostra proposta di scambio con un po’ di biscotti.

Arrivare arrivammo, alla fine, io e Melchiorre. Peppiniello si fermò per strada dove trovò lavoro come arrotolatore di tappeti, ruolo che lo gratificava e lo convinse a rimanere all’estero.

Per fortuna, la grazia e la serenità del bambino non era stata tagliata, e infondeva speranza come sempre. Solo non capimmo cosa ci facessero tre maiali nella stalla vicino al bue e l’asinello. Giuseppe ci prese da parte e ci spiegò che quella era la Troika che vigilava che fossero davvero poveri e che rimanessero tali. Chissà che un po’ di luce del Signore prima o poi non illumini anche quei porci, chiosò Melchiorre sospirando.

A proposito, non trovammo mai la stella cometa. Scoprimmo poi che si era bruciata nel passaggio vicino al sole, povera stella.

Buon Natale e felice 2015 (il 2014 è stato tagliato dalla Spending Review).

Buon Natale, bue.

Come vedete, il bue non c’è più

Il paese stava attraversando un periodo di profonda crisi. Erode, sulla base dei sondaggi della sua società di marketing, aveva dapprima ordinato di uccidere tutti i primogeniti maschi, poi aveva diramato una smentita accusando gli Esseni di essere i soliti comunisti che travisano la realtà, quindi aveva proclamato di essere disposto a lasciare il posto ad Ananiele. Alla fine aveva fatto uccidere i primogeniti mentre aveva salvato le femmine per garantire il ricambio generazionale alle sue cene eleganti.

Proprio in quei giorni un tweet avvisò Melchiorre: l’ora era arrivata. Un po’ se l’aspettava visto che erano nell’anno zero avanti Cristo. Cercò subito su Linkedin altri due re con i curricula adatti alla spedizione, e alla fine selezionò Gaspare, che si vantava di avere il dono del secolo, la mirra, e Baldassare, dotato invece di un potente navigatore satellitare, il Comet Star 2.0, che avrebbe dovuto condurli dritti alla meta.

Purtroppo il Comet Star aveva calcolato la strada più breve senza passare da pedaggi, che però non sempre è la più agevole, per cui i tre furono costretti ad attraversare il deserto del Gobi, quello del Taklamakan in Cina e il Rub’ al-Khali in Arabia tra gli accidenti di Melchiorre che aveva due piedi piatti e larghi quanto un 32 pollici mentre Gaspare di tanto in tanto tirava fuori un po’ di mirra e riacquistava il buon umore.
Finalmente raggiunsero la terra promessa, la terra del popolo che aveva ricevuto da Dio la legge direttamente su due tablet, anche se aveva dimenticato di regalargli il caricabatteria per cui il popolo dopo un paio d’ore di uao uao se l’era bella e dimenticata.

Qui purtroppo le tasse di Ananiele sulle case avevano costretto gli abitanti a vivere in grotte, ricoveri di fortuna e alberghi, tant’è che non si trovava un solo posto libero, e tutti i luoghi che Melchiorre – che aveva ormai due piedi quanto un 42 pollici – si era appuntato su Trip Advisor erano stati chiusi per fallimento. Per fortuna c’era Gaspare a tirarli su di morale con la sua mirra che condivideva e faceva passare loro serate di spensierata allegria.
Finalmente la voce nasale del Comet Star (Baldassare infatti non aveva scaricato le voci femminili per risparmiare) disse: seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto, fino al mattino. Rincuorati, fecero l’ultimo sforzo, con i piedi di Melchiorre grandi ormai quanto un 50 pollici 3D con dei calli che si vedevano bene anche senza occhialini.

Arrivò il mattino, arrivò l’ora di pranzo, e un pastorello che con il suo cane teneva a bada i suoi maiali in un’aia indicò loro la strada. Raggiunsero la misera capanna dov’era nato il Salvatore. Accanto a lui c’era sua madre, Maria, mentre un angelo cantava “I said, young man, ‘cause you’re in a new town, there’s no need to be unhappy, many ways to have a good time, it’s fun to stay at the Y-e-ru-sa-lem”. Melchiorre gli fece notare che erano a Betlemme e l’angelo, offeso, smise di cantare. Accanto al bambino, nella mangiatoia, c’era un asinello, che gli teneva caldo. Giuseppe offrì braciole di bovino per tutti e invitò tutti a non lesinare, che tanto avrebbero mangiato carne di bue per altri tre o quattro giorni almeno. I tre portarono i loro doni: oro e incenso, perché una guardia doganale alle porte della città aveva sequestrato la mirra a Gaspare, e poco male, visto che ne era rimasta veramente poca, giusto una modica dose per uso personale.
Giuseppe li ringraziò a lungo e volle segnarsi su un bigliettino i loro nomi, perché era importante non dimenticarli.

Di fronte alla bellezza di quel momento persino i piedi di Melchiorre sembrarono tornare alla dimensione di un 14 pollici (erano comunque due belle scialuppe), e i tre, pervasi dalla pace e dalla serenità, decisero di cliccare su “mi piace”. Ma niente, non riuscivano a trovare il profilo del bambino su Facebook. Trovarono quello del pastorello e dei suoi animali (e sì che ormai un profilo Facebook ce l’hanno cani e porci), ma non quello di Gesù. Cercarono qualche foto su Instagram, ma niente, un sacco di foto di Buddha che piaceva molto perché non veniva mai mosso, ma del piccolo nulla, nemmeno Flickr, nemmeno su Twitter. Cercarono persino su Google Plus dove però trovarono solo Mosè, Isaia e altri profeti morti secoli prima perché si sa che su Google Plus non c’è anima viva.
Allora i tre abbracciarono il piccolo, e ripartirono felici, accettando un paio di bistecche che Giuseppe diede loro.

Perché avevano capito che se vuoi davvero bene a qualcuno glielo dici abbracciandolo, e non cliccandolo su un pulsante.
Abbracciatevi. Buon Natale.

PS Il viaggio di ritorno durò ancora di più di quello d’andata, perché Gasparre insistette per passare da un suo amico che coltivava mirra.
Giuseppe perse il biglietto con i tre nomi durante la fuga d’Egitto.
Il pastorello cambiò mestiere quando gli spiegarono che gli ebrei non mangiano maiale e aprì un discopub con l’angelo.