Archivi categoria: Personal Edition

Creatività precaria

uffici2001

  • Ma davvero hai mandato il curriculum a diverse aziende?
  • Certo.
  • E se poi ti chiamano, ci vai al colloquio?
  • Certo che sì.
  • Mah, io non potrei mai. Tutti i giorni la stessa vita, sveglia presto, timbri il cartellino, un capo che ti dà ordini tutto il tempo, le riunioni, gli straordinari. Per carità, non c’è niente di male per un operaio, o un ragioniere. Ma per un esperto di comunicazione è diverso. Noi abbiamo bisogno di stimoli, di allevare la nostra creatività, di viaggiare. Non possiamo inaridirci dietro una scrivania. Sono appunto stato ad un convegno sulla convergenza digitale, guarda il futuro è quello, verrà il giorno in cui i computer, i telefoni e le televisioni saranno connessi, e ci sarà un sacco di lavoro per chi produrrà contenuti. E un sacco di soldi.
  • Può darsi, non dico di no. Però io non ho il carattere per fare l’imprenditore e nemmeno i soldi. Se trovo un lavoro bene, altrimenti non so nemmeno quanti mesi potrò mantenermi a Bologna.

2005

  • Ciao come stai? Ehilà che eleganza, che bel vestito. Ma allora? Non dirmi che davvero ti sei fatto assumere in banca?
  • No, non in banca… Però sì, sono un impiegato.
  • Ma dai, non posso crederci, e davvero timbri il cartellino, poi vai in pausa pranzo con i colleghi, caffettino a parlare di vacanze, il sabato la spesa e queste robe qui?
  • Be’ più o meno…
  • E dai, con il tuo talento, sprecarti così per mille euro al mese, scommetto! Sono appena stato ad un workshop ad Amsterdam sulla nuova cittadinanza, le nuove reti di connessione, c’è un mondo di occasioni da sfruttare! Domenica parto per una serie di conferenze a Barcellona, in una sono relatore, perché non ci vieni?
  • Be’, veramente è novembre, prendere una settima di ferie in questo periodo…
  • Già, le ferie, che dramma! Ma scusa, non hai un po’ di flessibilità, tipo staccare per una settimana o due per fare un po’ di formazione, ricarburare, approfondire i tuoi interessi… Prenditi un anno sabbatico, no?
  • Per me la flessibilità vuol dire entrare tra le 8,30 e le 9,30…
  • Non me lo dire, ti prego, non me lo dire, non ti posso vedere sprecare così la tua vita. Molla tutto, dai, fai come me che sono un libero professionista, ho appena preso tremila euro per lo storyboard di un portale, sai io mi limito a definirne la corporate identity, le possibili redemption in termini di customer satisfaction, poi per carità la parte informatica la fanno altri che è una materia così arida io non potrei mai, poi se capita l’occasione magari organizzo qualche evento. Anzi, sai che ti dico? La prossima volta che organizzo una conferenza stampa ti chiamo, tu sei pubblicista, no?
  • Sì ma lavoro in un ufficio stampa… È un po’ diverso.
  • Vabbe’ dai però promettimi di pensarci. Ci mettiamo insieme, io ho già il mio giro di clienti, tu rispolveri un po’ le tue capacità, vedrai ci divertiamo. Mi raccomando cerca di viaggiare un po’ che dietro alla scrivania mi appassisci.
  • Non è che magari sei tu che vuoi mandare il curriculum dove lavoro io? Per un po’ ancora stanno assumendo.
  • Si, ti piacerebbe. Però ci penso, perché no, per qualche mese potrebbe anche essere interessante, però cavolo non con quegli stipendi lì, eh…

2014

  • Guarda chi c’è! Mamma mia come sei ingrassato! E i capelli bianchi!
  • Si in effetti gli anni passano, il tempo libero è sempre meno. E tu? I tuoi workshop?
  • Vengo appena adesso da una settimana di incontri tra creativi precari.
  • Ah. Interessante. Di che avete discusso?
  • Be’, di questo sistema del lavoro opprimente che uccide noi partite iva e garantisce sempre i soliti, quelli con il contratto a tempo indeterminato, e ferie, le malattie… Io l’anno scorso ho avuto una brutta influenza e se non mi aiutavano i miei nemmeno pagavo l’affitto. Ma dico io, si può continuare così? Basta i privilegi, basta l’articolo 18, azzeriamo tutto.
  • Vabbe’, ciao. Ho un po’ di fretta. Sai come siamo noi impiegati, orari, cartellini.
  • E già! Ma il curriculum l’ho mandato alla tua azienda, ma non mi hanno chiamato.
  • Da alcuni anni lavoro nel pubblico.
  • Ah, una bella raccomandazione, eh?
  • Veramente no. Però sai poi la noia delle scartoffie, contratti, delibere, burocrazia. Tutto molto freddo.
  • Vero. Mi avvisi quando fanno un altro concorso?
  • Certo. Ma sono bloccati da sei anni. E pure le consulenze. Non che ti potessero interessare, con i guadagni a cui sei abituato tu.
  • Già. Però avvisami lo stesso.
  • Ok.
  • Ciao
  • Ciao.

La tecnologia del superfluo

Alcune sere fa sono tornato a rivedere dopo tanti anni uno dei classici per la mia generazione, Ritorno al futuro. Inutile osservare, a quasi trent’anni di distanza, che non abbiamo skateboard volanti, e che in generale la nostra società è molto più simile a quella del 1985 di quanto quest’ultima non somigliasse al 1955. La storia dell’uomo è così, ha delle straordinarie accelerazioni, dei rallentamenti, a volte purtroppo torna anche indietro (la piramide di Cheope è straordinariamente superiore, per costruzione e tecnologia, rispetto a quelle costruite centinaia di anni dopo). Per non parlare dell’arretratezza medievale rispetto agli splendori di Atene e Roma.

ToléNoi viviamo in case simili a quelle di trent’anni fa (spesso sono proprio le medesime), lavatrici e frigoriferi sono più o meno gli stessi, e le nostre autovetture continuano a bruciare in larga parte combustibile non rinnovabile. Certo c’è stata la rivoluzione di Internet, ma anche in questo caso sono più interessanti gli effetti sociali che essa ha introdotto, che non l’aspetto tecnico vero e proprio: computer e reti esistevano già trent’anni fa, solo che nessuno aveva pensato ad un uso “popolare” fino ai primi anni novanta.

Se la tecnologia essenziale è avanzata poco, quella un po’ futile ha fatto invece passi da gigante: e se non affronterò qui il tema della depilazione a luce pulsata, che però mi dicono strepitosa rispetto alle forme precedenti un po’ truculente, voglio però parlare delle videoriprese. La prima volta che vidi una cinepresa (credo fosse un super 8), ne rimasi estasiato: anche se duravano pochi minuti e non avevano l’audio, quelle piccole portavano il cinema in casa. O meglio, nel cortile davanti casa, perché l’attrezzatura era troppo ingombrante per il salotto. Ma costavano eccome, bisognava ponderare bene ogni inquadratura, e di montaggio nemmeno si parlava. Ancora vent’anni fa, con il vhs, si potevano fare riprese più economiche (ve le ricordate le prime, enormi videocamere VHS?), e i più temerari azzardavano anche i primi montaggi. Lo feci anch’io con i miei amici, ma quanta fatica: occorreva collegare due videoregistratori e operare con perizia sui tasti pausa e rec, potendo contare sulla qualità mediocre dei nastri analogici. All’inizio degli anni 2000 la rivoluzione del digitale, i nastri miniDV permettevano di acquisire i dati sul pc, per poi essere riversati, senza alcuna perdita di qualità. Una meraviglia, per chi anni prima aveva speso una fortuna per comprare un videoregistratore VHS in grado di sovrascrivere la traccia audio.

Certo non mancavano i contrattempi: ho passato notti intere a montare i miei primi filmati, con il suono dell’hard-disk del computer che riecheggiava come un trattore nel silenzio dell’appartamento. E i primi sistemi di montaggio non lineare (potevi cioè decidere di spostare le tracce video senza seguire un ordine sequenziale, come nel montaggio tradizionale) non permettevano di vedere il video se non dopo il rendering, che poteva durare ore. Così ti toccava scoprire, dopo un’attesa snervante, che avevi sbagliato i tempi di una dissolvenza, e dover ricominciare drammaticamente tutto da capo.

Il video che vedete in questa pagina l’ho girato con uno smartphone. Il soggetto è Tolé, un grazioso centro sull’Appennino Bolognese che frequento d’estate, in particolare un borgo arricchito negli anni dalle opere d’arte che gli artisti ripongono ogni anno (dipinti, sculture, bassorilievi). Riguardo al video la messa a fuoco non è sempre al meglio, i bilanciamento del bianco lascia a desiderare e la compressione del MPEG 4, specie sulle panoramiche, si sente tutta (se non sapete di cosa sto parlando va bene così, il 99% non lo sa e vive bene lo stesso). Però, ragazzi, ho fatto le riprese con una scatoletta grande quanto una delle nostre vecchie audiocassette che ha come principale funzione quella di telefonare. E il montaggio non ha richiesto più di un paio d’ore, compresa la scelta di una colonna sonora royalty free, con un programma gratuito.

Non c’è niente da dire, se ci fossimo concentrati sugli skateboard con la stesse perizia con cui abbiamo lavorato sul video digitale, oggi andremmo i centro volando. A skate alterni, i giorni pari gli uni e i giorni dispari gli altri,

Lo scrittore ai tempi di Google

scrivereFacile scrivere, oggi, ai tempi di Google.

Hai un dubbio, non ti ricordi un nome o un episodio, fai una ricerca e vai. Se vuoi descrivere accuratamente un posto non hai nemmeno bisogno di esserci stato, basta un giro su Google Street View. Addirittura, se come la maggior parte degli scrittori usi un computer per scrivere, non hai bisogno nemmeno di cambiare strumento, è tutto lì. Puoi mostrare conoscenze enciclopediche semplicemente con un utilizzo accurato del copia e incolla. Fantastico, vero?

Non proprio. Perché Google ce l’hanno anche i lettori. E lo usano. Non parlo di quelli che sospendono l’incredulità, si fidano dell’autore e si lasciano accompagnare nel percorso che questi ha previsto per loro. No, parlo delle simpatiche carogne che non si limitano (questo potevano farlo anche cento anni fa) ad accorgersi che un personaggio minore, che a pagina 15 dichiara di non fumare, a pagina 415 entra in una tabaccheria.
Non si limitano, gli amici lettori, a far notare le contraddizioni grossolane in cui l’autore può cadere perché magari in un romanzo storico fa mangiare delle patate ad un console romano (anche questo potevano farlo anche i lettori ottocenteschi). Niente di tutto questo, i lettori veramente tosti riproducono sulle mappe digitali i percorsi dei loro eroi di carta per verificare il rispetto dei tempi (e no, non ci può mettere dieci minuti per arrivare in Times Square! Al limite otto!), controllano che, se il protagonista prende un aereo, quella linea sia davvero coperta nell’epoca di svolgimento dei fatti, analizzano traittorie balistiche e percorsi delle metropolitane.
Già immagino i fiumi di inchiostro (anzi, le pagine di forum o social network, perché per fortuna oggi l’inchiostro lo risparmiamo) che si sarebbero spesi per verificare l’attendibilità delle capacità di resistenza di D’Artagnan, o le accurate ricostruzioni con il GPS dei movimenti di Phileas Fogg.

Capite che per lo scrittore vivere in un mondo così è angosciante. Mentre scrivevo “Ballata in sud minore”, produssi un brano abbastanza malinconico che si concludeva con il protagonista che rientrava a casa mentre il padre guardava una partita di calcio; il paragrafo si concludeva con un lapidario “L’Italia perdeva due a zero”. Il paragrafo nel suo complesso aveva una sua musicalità e mi piaceva molto. E però mi resi conto che l’Italia, nell’anno (1992) in cui era ambientata la mia storia, non era mai stata sotto di due gol; e anzi in quell’estate non giocò proprio perché non si qualificò per gli europei. Me ne accorsi in tempo e ripensai l’intero brano prima della pubblicazione, prima insomma che qualcuno si accorgesse del misfatto. Sempre nello stesso romanzo scrissi di un incontro nei pressi di un panchina, a Statte, ma una amica che mi aiutò nell’editing mi fece notare che le panchine in quella zona furono installate alcuni anni dopo.
Per fortuna però Street View non ha uno storico, e questo dato sarebbe sfuggito alla peggiore canaglia. Per ora. Perché prima o poi faranno l’archivio di Street View e ci spoglieranno anche dei ricordi.

PS. In realtà questi problemi ce li hanno i grandi scrittori autori di best-seller. Non ho di che preoccuparmi.

PPS Il mio prossimo romanzo che uscirà prima di Natale in larga parte è ambientato in un mondo che ho inventato io, dove valgono le regole che ho deciso io. Non si sa mai.

PPPS E però ora che ci penso c’è una scena che si svolge a Statte e parla di uno svincolo dove oggi c’è una rotonda. Cari lettori precisini, ve lo dico in anticipo, il romanzo è ambientato nel 2007, la rotonda l’hanno fatta dopo. Uffa.

La spuntatina

barbiereArriva l’estate, un bel taglio ai capelli ci sta bene proprio bene.
Anticipa le ferie, alleggerisce i pensieri, poi magari c’è anche una sciampista dalle mani d’oro che quando ti lava i capelli ti fa sentire un pascià al centro dell’harem. Il sudista al nord tendenzialmente ha un elenco fornitori di servizi tutti ben saldamente radicati nella provincia di provenienza: il dentista, l’oculista, l’elettrauto, il barbiere. Non è un caso che la prima settimana di ferie venga sciupata in una serie di incastri tra questi professionisti, che vedono triplicati i loro impegni a ferragosto e a Natale complice il ritorno a casa dei sudisti emigrati. E però, con i capelli è diverso, il taglio serve in loco.
Certo qualcuno torna a casa con le sembianze di uno Shel Shapiro dopo un anno di reclusione in Nepal, però, effettivamente, pare eccessivo.
E così il sudista si decide a compiere il grande passo: tradirà il suo barbiere dopo ventennali frequentazioni, alla ricerca di un surrogato nella città di residenza padana. Il nostro eroe ha un’idea ben precisa di quello che cerca: un locale con divani comodi dove leggersi in santa pace riviste pruriginose con decolté in bella mostra senza troppi scrupoli di coscienza (c’era solo quella rivista, il quotidiano l’avevano già preso)! E per i più bigotti che non osano avventurarsi tra le pagine di “Cronaca Vera” c’è sempre il calendario frontale con la prosperosa subrette di turno, da apprezzare innamorati tra una sforbiciata e l’altra. Altro optional da non trascurare, vedi la nota sopra, una giovane assistente da cui farsi fare lo shampoo e meno sono i capelli meglio è, perché il massaggio è più intenso.
Le esperienze in Val Padana possono però rivelarsi drammatiche.
Il sudista può essere attratto da un mix di luci e colori di taluni negozi che espongono in strada schermi da cui apprezzare i maestri delle forbici all’opera, consigli per l’igiene personale, elenco variegato di balsami e unguenti. Tutto esposto, tranne il prezzo. Che il malcapitato scoprirà con un urlo soffocato solo dopo il terzo olio essenziale che gli spalmano in testa, dopo avergli tagliato i capelli di 0,5 cm, che tanto l’effetto finto spettinato è così cool. Dopo una tale esperienza c’è chi rinuncia, chi si affida a note catene di parrucchieri dove ad operare sono apprendisti. In questo caso il sudista risparmia eccome, però torna a casa con una cresta tipo Billy Idol nel periodo punk perché l’apprendista deve fare esperienza, oppure completamente rasato a zero, perché l’apprendista deve ancora imparare a prendere le misure.
C’è poi l’alternativa estremo orientale: prezzi ancora più modesti, risultati ancora più modesti, tant’è che il sudista comincia a pensare seriamente di tagliarsi i capelli da solo con risultati più dignitosi.
Quando il sudista sembra rassegnato ad una peluria incontrollabile, ecco l’apparizione, la luce in fondo al tunnel: il barbiere meridionale. I barbieri meridionali danno meno nell’occhio della concorrenza, ma appena entri e vedi il mezzobusto di Padre Pio o la riproduzione dei Bronzi di Riace capisci di essere tra i tuoi, anche perché non mancano né le riviste scollacciate né il calendario. Nessuna traccia purtroppo della sciampista: e caro mio, la finanza, i contributi, gli ispettori del lavoro, non me la posso permettere.
Maledetti conquistatori, pure la sciampista c’avete tolto. Pazienza, anche il barbiere sudista è bravo a fare lo schampoo. Basta chiudere gli occhi e sognare di essere a casa.

Parchi giochi a misura di bambino

italia_in_miniaturaOggi ho deciso di fare una comunicazione “di servizio” nei confronti di tutti i genitori di bambini in età prescolare: e cioè condividere le mie esperienze di papà nelle visite di alcuni parchi dei divertimenti, di varia natura, insieme alle mie figlie (in alcuni casi una sola perché l’altra ancora non c’era). So che ci sono migliaia di recensioni in giro su tanti siti specializzati, ma il mio obiettivo è sottolineare il punto di vista di chi cerca di far divertire bambini sotto i 6 anni, a cui non interessano attrazioni iperadrenaliche cui non possono accedere, ma che magari impazziscono per gonfiabili e piscine con le palline. Non ho fatto riferimento ai prezzi perché tanto variano di continuo e chiunque può controllarli online

L’Italia in miniatura

L’idea dell’Italia in miniatura la conosciamo tutti, e oggettivamente vedere piccole riproduzioni di città italiane non è il massimo dell’eccitazione per i più piccoli, anche se alcune novità introdotte negli anni migliorano complessivamente la situazione. Intanto le miniature sono animate da trenini, automobiline e veri e proprie animazioni che impressionano molto i piccolini: siamo rimasti a lungo con mi figlia a osservare l’orchestra che suonava l’Aida nell’Arena di Verona e il lunapark in cui le giostre erano animate.
Intorno al parco vero e proprio, che di per sé si visita in un paio d’ore al massimo, sono state poi allestite delle attrazioni da parco dei divertimenti, ma qui si avverte un po’ il limite della struttura. Infatti le attrazioni cercano di rivolgersi a pubblici molto eterogenei, per cui c’è la giostra con i cavalli e lo spazio per i bimbi più piccoli (i soliti tappetini con palline colorate e reti he però riscuotono sempre successo) si affiancano attrazioni pensate per adolescenti o giovani adulti (SLing Shot e Cannon Acqua). Poi c’è anche un padiglione dedicato alla scienza, anche quello carino, ma, come dire, fuori contesto. Siccome lo spazio è comunque limitato, io avrei tematizzato maggiormente le attrazioni, rivolgendomi ad un pubblico o all’altro, ma queste sono valutazioni che avrà fatto la proprietà.
Da non perdere, per i più piccoli, il giro in gondola nella Venezia virtuale e quello sulla monorotaia, che hanno l’unico limite di durare troppo poco.

Conclusioni

Il parco merita una visita per bambini in età prescolare, anche se mezza giornata può essere più che sufficiente. Peccato che sia l’unico tra i parchi visitati che ne periodo in questione (Pasqua 2014) non avesse nessuno spettacolo da proporre, e che avesse alcune attrazioni chiuse. C’è una scuola guida che sembra interessante ma è rivolta ai bambini dai 6 anni in su. Voto: 6

Carrisiland

Carrisiland è un parco decisamente atipico; nasce infatti per affiancare un parco acquatico. L’idea dei proprietari è quella di offrire una mattinata in piscina e un pomeriggio con le attrazioni del parco. Personalmente non capisco quelli che sono in vacanza Puglia e anziché godersi il mare si infilano in una piscina con altre migliaia di persone; però mi rendo conto che una volta ogni tanto può essere divertente. Noi in ogni caso l’abbiamo visitato nel 2012 entrando direttamente nel parco e saltando quindi la piscina. Che dire? Chi si aspetta un lunapark rimarrà deluso, perché qui troverà qualche gonfiabile, il giro in pony, l’arena con lo spettacolo (il musical in playback come quasi dappertutto, però godibile) e una passeggiata in un bellissimo bosco che per l’occasione è stato allestito con personaggi delle favole, dinosauri, animali della giungla, e anche una piccola fattoria (stavolta gli animali sono veri).

Conclusioni

I più pignoli si domanderanno che ci fa un gorilla in vetroresina in un bosco a Cellino San Marco, ma insomma, per i bambini più piccoli può essere comunque un’esperienza godibile. Considerate che la visita – escludendo la piscina – non dura più di due o tre ore al massimo. Se passate da quelle parti fateci una passeggiata, l’importante è non aspettarsi Disneyland. Voto: 6+

Oltremare

Bellissimo parco a tema che si concentra sull’aspetto didattico: qui – per fortuna – non troverete né giostre fuori luogo né le solite montagne russe. L’esperienza si basa fondamentalmente sul contatto diretto con gli animali: delfini, pony, volatili, pappagalli. Bellissimo soprattutto lo spettacolo dei rapaci, capaci di lasciare a bocca aperta anche i più grandi. Le mie figlie hanno apprezzato molto anche l’acquario, con una varietà di pesci più che discreta (e comunque, non puoi pretendere da una bambina di due anni di stare delle ore davanti ad una vetrata). Curiosa anche l’esperienza del teatro 4d, che ha un aspetto caratteristico, e cioè permette di muoversi all’interno di varie ambientazioni (consigliato agli amanti del subwoofer). Unica nota negativa, nel periodo in cui l’abbiamo visitato (Pasqua 2014) la maggior parte di bar e ristoranti era chiusa. Per fortuna avevamo già mangiato in un piccolo locale accanto all’entrata.

Conclusioni

Se siete interessati all’aspetto didattico, oltre che a quello ludico, questo posto deve essere in cima alla vostra lista. E poi per i bambini piccoli vedere gli animali è sempre un’esperienza meravigliosa (e non solo per loro). Studiatevi se potete il programma in anticipo per non perdervi nessuna attrazioni (si ripetono un paio di volte). Purtroppo nessuno spettacolo ad aprile neanche qui, e dire che secondo me la primavera è il periodo migliore per visitarlo; solo per questa mancanza non gli do il massimo dei voti. Voto: 7,5

Fasanolandia

L’ultima visita a Fasanolandia risale al 2010, quindi premetto che nel frattempo qualcosa potrebbe essere cambiata. Ricordo ancora quando, trent’anni fa, un paio di autoscontri e una casa dei fantasmi fecero la loro prima apparizione accanto allo zoo safari. Il parco dei divertimenti infatti nasce come “corollario” all’attrazione principale, rappresentata dagli animali dello zoo safari, anche se è possibile visitarlo in maniera indipendente. La caratteristica principale di questo parco è di concentrare, come dice il loro stesso slogan, tre parchi in uno: un parco didattico sullo stile di Oltremare, un parco dei divertimenti sullo stile di Fiabilandia, e uno zoo safari. Ovviamente il tutto in dimensioni più ridotte, però credo che una visita per i più piccoli, per chi visita la Puglia, sia da tenere in agenda. Le attrazioni per loro non mancano, lo spettacolo dei delfini è molto bello e quello con foche e pinguini altrettanto, anche se i più piccoli con ogni probabilità vi terranno inchiodati al brucomela.

Conclusioni:

Un parco che offre di tutto in po’, il più generalista tra quelli visitati, parecchie attrazioni sono rivolte ad un pubblico adulto o adolescente, ma ciò non toglie che i più piccoli sapranno come passare il tempo. Voto: 8

Fiabilandia

Lo dico subito: Fiabilandia secondo me è il migliore dei parchi visitati per i bambini in età prescolare. Perché è pensato soprattutto per loro; c’è qualche attrazione pensata per i più grandi (montagne russe, canoe) ma per il resto questo è il paradiso dei bimbi in passeggino. La struttura è molto vecchia e alcune attrazioni fanno quasi tenerezza per la loro semplicità, ma per una bimba di 2 o 4 anni non conta, quello che conta è quel fantastico brucomela da cui scendere e risalire, scendere e risalire. Anche le giostrine tradizionali (le merry-go-round con i cavalli, per intederci) qui sono più numerose che altrove e capaci di portare via ore di divertimento. Una barba per i genitori, diciamolo; ma l’ho detto che queste recensioni sono rivolte al piacere dei più piccoli. Che rimarrano estasiati dalla gita sul battello (evitate però il castello di Merlino con i fantocci horror anni settanta, un po’ impressionante per i più giovani) e troveranno eccitanti “La miniera d’oro”, una sorta di montagne russe a misure di bimbo (4-5 anni). Carino anche il maxiscivolo, che bene sintetizza questo parco: semplice, banale forse, ma per i bimbi molto più appassionante che una diavoleria in 3d. C’è il musical (visitato ad aprile 2013).

Conclusioni

Il parco prescolare per eccellenza, tra quelli che ho avuto modo di visitare. La forza di Fiabilandia è che non si sforza di piacere a tutti: sa di non essere adatto agli adolescenti e – nonostante qualche area didattica – non pretende di fare concorrenza ai parchi per le scolaresche. Questo è un parco per bambini piccoli, non è grandissimo, ma a loro sembrerà immenso. Voto: 8,5

 

Postal market?

cassetta_postaleMattina feriale, ambiente rilassato. I poster tradizionali con le tariffe hanno lasciato spazio a promozioni su articoli da cancelleria, televisori piatti in vendita, libri e giocattoli. Sono in un ufficio postale, uno di quelli piccoli che si arrangia come può visto che ancora non ha la saletta modello autogrill in cui vendere di tutto e riprendere seduta stante al pensionato parte della pensione fresca fresca di ritiro.

Squillo di telefono. Mi scusi, ora lo spengo, bofonchia la signora a cui il nipotino spiritoso ha impostato come suoneria la Cavalcata delle Valchirie, ma l’impiegata al di là del vetro sorride compiacente. Non si preoccupi, che scheda ha? Si perché noi sa vendiamo anche schede telefoniche, abbiamo un’offerta molto competitiva. Ma veramente non vorrei cambiare numero…Non non serve, fa la mobilità ed è un attimo, guardi basta che compili questo modulo, lo facciamo insieme? No? Vuole pensarci un’altro po’? Certo non si preoccupi, io però mi sento di consigliarglielo. Intanto comincia a formarsi un po’ di coda, all’altro sportello l’impiegata chiede ad un giovane prestante: è venuto in auto? Il ragazzo si irrigidisce spaesato, di tutti gli approcci quello è il più insolito, e poi l’impiegata ha il doppio dei suoi anni, veramente sì, perché? Perché abbiamo delle assicurazioni molto convenienti. Lei è assicurato, vero? Certo che lo sono. E quanto paga? Ma veramente, adesso. Guardi, con noi paga sicuramente meno. Si ma non mi interessa, sarei venuto per un bollettino. E abbiamo anche il furto e incendio. Quanti anni ha la sua auto?
Signora, sono un agente di pubblica sicurezza, ho un’assicurazione convenzionata e sono contento così. A quel punto il giovane tira fuori dalla giacca una pistola e la punta contro la signora: adesso prendi questo cacchio di bollettino sennò sparo. No vabbé l’ultima parte l’ho immaginata io, ma fino a “sono contento così” è tutto vero.
Le poste italiane sono una ricchezza straordinaria.Una rete informatizzata di servizi che raggiunge l’ultima frazione sperduta dove non ci sono uffici statali, la scuola è stata venduta e il parrocco celebra una messa ogni quindici giorni, ma l’ufficio postale c’è. Però sono anche l’esempio di quello che ci aspetta, quando tutto si farà mercato e al pronto soccorso proveranno a vendere un collirio al disgraziato che piange con la gamba rotta, mentre i consigli comunali saranno interrotti in due tempi per dare modo all’assessore di presentare la nuova invincibile batteria di pentole dello sponsor.

La scena è avvenuta il 28 febbraio: quel giorno ho spedito una raccomandata che oggi 13 aprile non è ancora arrivata.