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Mamme da spiaggia

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Donne! È arrivato l’arrotino.
Arrota coltelli, forbici, forbicine, forbici da seta..ehm…
ATTENZIONE – SPOILER: questo articolo contiene riflessioni ed espressioni di natura beceramente maschilista, e il solito sarcasmo di stampo patriarcale tipico di certi omuncoli nostalgici di un tempo – per fortuna lontano – in cui contavano ancora qualcosa. Donne, evitate di sprecare il vostro tempo leggendo questo post. Lì fuori c’è il sito di Donna Moderna che vi aspetta. Se la cucina fa fumo, togliamo il fumo dalla vostra cucina.

Ci sono diversi modi di fare riflessioni sull’umanità che ci circonda, il mio è osservare le mamme. In vacanza, anche. Sulla spiaggia. Durante le vacanze ne ho osservate alcune molto interessanti. E scartando alcune eccezioni e alcuni casi difficilmente catalogabili, sono arrivato a stilare questa raccolta, con l’obiettivo di aggiornarla in qualunque momento.

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La mamma New York
La mamma New York ha conosciuto momenti davvero brutti, ma ne è uscita e si è ripresa alla grande. I giorni in cui leggeva “Il tuo bambino” e faceva compere all’Ikea solo per sbarazzarsi per qualche ora dei pargoli sono un ricordo lontano: i piccoli ormai sono grandi abbastanza per azzuffarsi in mare, la mamma New York si sente di nuovo il centro del mondo, legge il suo quotidiano e osserva compiaciuta i risultati della palestra che ha ripreso a frequentare. Il merito della mamma New York è quello di aver scaricato tutto sulla nonna Newark nel periodo Giuliani, ma questo in spiaggia nessuno lo sa.

La mamma L’Avana.
La mamma L’Avana fatica a nascondere i segni del tempo che l’hanno profondamente  cambiata, qua e là i dettagli del degrado emergono evidenti. Eppure, che fascino, la mamma L’Avana, mentre si allontana verso il bagniasciuga con il suo costume intero variopinto a controllare la famiglia e ribadire la sua rassicurante presenza. A dirla tutta potrebbe essere anche nonna, la mamma Avana, senza perdere nemmeno un grammo del suo fascino

La mamma Gotham City
Si lo so, Gotham City non esiste. Nemmeno questa mamma, se è per questo, nel senso che non è una mamma. È una tardo trentenne, quarantenne forse, che ha deciso consapevolmente di non avere figli, e su questo nessuno ha nulla da obiettare, se non che la mamma Gotham sente il dovere di spiegare al mondo il perché della sua scelta. Perché mettere al mondo figli al giorno d’oggi è irresponsabile, spiega al papà che gonfia i braccioli, perché non è che se uno non è mamma vuol dire che è una donna peggiore, argomenta con la signora che cerca in borsa i tarallini per il figlio, perché è da egoisti mettere al mondo qualcuno solo perché lo fanno gli altri, determina assertiva con i ragazzotti che stanno cercando di completare la torre del castello di sabbia. Io ho il mio cane, il mio gatto che mi riempiono di affetto e mi basta, continua a ripetere sorridente al bagnino che annuisce e la invita a tornare a casa perché si è fatto buio edeve richiudere gli ombrelloni

La mamma Berlino
Per la mamma Berlino, il muro non è mai caduto, e la divide per orizzontale. Nei paralleli superiori, la ricchezza e l’abbondanza dell’occidente: grazie anche a creme presole, dopo sole e durante sole, mostra un viso luminoso e sereno, un decoltè florido e imponente, spalle fiere e capelli che sanno di balsamo.
Nei paralleli inferiori, la devastazione della guerra, i segni dei bombardamenti ormonali di tre gravidanze, la tristezza e il grigiore di un regime totalitario in cui nessuno ha più voglia di entrare. La mamma Berlino la riconosci per il pareo, perché passa quasi tutto il tempo seduta oppure in acqua, strategicamente immersa fino ai fianchi. Coraggio, mamma Berlino, la guerra fredda è finita, e anche l’acqua gasata ormai è calda, come ti ricorda il bombardiere sfinito di cornetti alla crema che bofonchia sula sdraio lì accanto.

La mamma Gerusalemme
La mamma Gerusalemme è una mamma divisa. Per un terzo è ancora concentrata sul lavoro, e guarda con ansia le e-mail sullo smartphone con la scusa di fare fotografie. Per un altro terzo è presa dai figli che vogliono andare in mare, vogliono andare sull’altalena, vogliono mangiare, vogliono stare all’ombra, vogliono stare al sole. Per un altro terzo, minoritario, cerca ancora di essere donna, lo noti dalla cura con cui alle tre del mattino si è dipinta le unghie e per il costume che è ancora un due pezzi anche se di pezzi per coprire ciò che non è il caso di mostrare ne servirebbero almeno quattro o cinque. La mamma Gerusalemme è una mamma santa, e tutti i papà dovrebbero ricordarsene.

Là sotto

semaforoC’è un elemento che da sempre accomuna tutte le donne che ho conosciuto in vita mia, dalla mamma alla passante cui chiedi informazioni. Si tratta della capacità di sintesi quando si tratta di dare indicazioni. Dov’è il caffé? Là sotto. Cioé è là, quindi un qualunque punto dell’universo che non sia qui (o qua, per fare rima). Escludendo qua, rimangono appunto tutti gli altri punti dell’universo.

Abbiamo però una precisa indicazione: sotto. Cioé, rispetto a qualche oggetto non meglio identificato, il caffé è in una posizione subalterna. Sicuramente è sotto il lampadario, forse sotto la mensola, probabilmente in un cassetto inferiore della dispensa. Provare a chiedere ulteriori dettagli è pressocché inutile, la donna in questione, sia essa mamma, nonna, moglie, amante o autostoppista rimorchiata in autogrill divericherà le narici, scuoterà una mano come a farsi largo con noncuranza e in pochi istanti tirare fuori il caffé, spiegando: te l’ho detto che è là sotto, dove hai gli occhi?

Gli occhi dei maschi sono là dove dovrebbero essere (e cioé in mezzo al volto, tra la fronte e gli zigomi: un po’ di precisione, diamine!), solo noi siamo dotati di un navigatore che raccoglie informazioni e ci indirizza sulla base degli indizi raccolti. Non ci sono inferenze induttive, ricordi di infanzia, istinto materno o fiuto primordiale a guidarci, solo le indicazioni ricevute.

Scusi, dov’è il duomo? Uomo: “Prosegua dritto, superi il semaforo, poi svolti alla seconda a destra, poi ancora a sinistra, c’è una piazzetta, parcheggi perché è quasi arrivato”.

Scusi, dov’è il duomo? Donna: “Guardi, non può sbagliare, è una bella chiesa romanica, con una facciata maestosa, proprio in centro, prosegua di là, sempre dritto, poi dopo un po’ gira, dove ci sono quelle boutique con i saldi, poi al limite chiede. E buon viaggio, eh!”.

Avete presente i parcheggi dei supermercati? B8, seconda fila ottava colonna, si capisce che deve averlo progettato un uomo. Perché è quadrato come la nostra testa. Una donna avrebbe dato ad ogni colonna il nome di un colore. Dov’è la macchina? Pesca turchese. Poi al limite chiede.

 

Tutti in campo, papà

Campo di calcioIl giovane papà generalmente fatica a trovare spazi adeguati alla attività sportiva, e non mi riferisco soltanto alla cyclette nascosta dietro l’armadio o al tappettino per gli addominali riposto in cantina. Ciò nonostante sa fare tesoro di quanto appreso negli anni felici in cui non aveva idea di quante taglie diverse di pannolini esistono in commercio. Vediamo una rapida rassegna di questi saperi da riscoprire all’occorrenza:

  • Marcamento a uomo. Oggettivamente, questo è il più scontato. Il figlioletto lo devi marcare come il più temibile dei fantasisti, quello che approfitta di un momento di distrazione per ridicolizzarti davanti alla squadra. Fuor di metafora, questo stile di gioco prevede di non perdere mai il contatto fisico con il piccolo, intervenendo spesso per frenarne le idee potenzialmente distruttive, mortificarne l’inventiva in termini di nuovi pericoli da sperimentare, far sentire di tanto in tanto i tacchetti tanto per ricordargli che lo stopper è lì e non lo molla.
  • Marcamento a zona Il problema del marcamento a uomo, Ça va sans dire, è che va in crisi quando i figli sono due. Allora si passa alla zona, che però richiede freschezza atletica e riflessi allenati. In questi casi per il difensore non c’è un attimo di pace, i suoi muscoli tesi devono scattare al primo segnale: mentre si impedisce ad una figlia di ingoiare un sassolino bisogna essere pronti a slanciarsi verso l’altra che prova fino a quanto può reggere l’altalena. In questo caso, il divide et impera di tradizione romana non vale: al contrario, i figli devono stare il più vicino possibili per ridurre la zona in cui il papà deve rimbalazare come uno yo-yo in mano ad un parkinsoniano sulle molle elastiche. Fa sempre comodo, in ogni caso, intervenire con la classica diagonale: intervento trasversale con il quale contemporaneamente si infila una figlia nel passeggino e, in scioltezza, si va a impedire all’altra di infilarsi un bastoncino in un occhio buttandolo in rimessa laterale, ehm, pardon, buttandolo lontano.
  • Scivolamento Lo scivolamento è quel movimento laterale con cui, nel basket, il difensore taglia la strada all’avversario frapponendosi tra lui e l’obiettivo. Avete mai visto i giocatori di pallacanestro muoversi come le Bangles in “Walk Like an Egyptian”?  L’idea è quello. Lo scivolamento è ottimo per bloccare l’accesso alla porta di casa, verso cui il figlioletto è sempre pronto alla fuga, ma anche per impedire l’accesso al computer portatile incautamente lasciato incustodito sul divano o più semplicemente per difendere l’ultimo lecca-lecca dalle mire della prole. Da non confondere lo scivolamento, che è un lavoro strategico metodico e lungo, con il tagliafuori, che invece è impulsivo, legato a fattori contingenti, tattico. Il tagliafuori è quella zampata con cui blocchi all’ultimo momento l’accesso al balcone, visto che sta diluviando, oppure fermi sul nascere una rissa tra la piccola e la bimba che le contende lo scivolo che c’ha il papà che scarica i camion al mercato ortofrutticolo (non scarica la merce dal camion, scarica direttamente i camion, reggendoli in spalla).
  • Palla accompagnata Nella palla a volo si accompagna la palla quando anziché indirizzarla con un colpo secco la si sposta con la mano aperta, come succede nella palla a nuoto. Si tratta insomma di un colpo illegale, ma che se funziona dà risultati sicuri: sono parenti vicini i passi nella pallacanestro, il fallo di mano nel calcio. Uno ci prova, se va bene è un punto sicuro, se non va certo non si rischia l’esplusione. Il giovane papà ricorre continuamente a questi falli tattici. Quando per esempio sostiene di non avere i soldi per lo zucchero filato, anche se ha appena prelevato dal bancomat. Quando dice di non trovare il dvd di “Barbie la principessa e la povera” che ha rivisto 15 volte (senza peraltro aver mai capito come diavolo va a finire perché le figlie si addormentano e si stancano prima e lui si vergogna di vederlo da solo). Non abbiate remore di questi innocui interventi ai limiti del regolamento. Le mamme sono molto più audaci nell’infrangere le regole, come quando comprono l’ennesimo pacchetto di figurine ma poi “non dirlo a quel taccagno di papà”, oppure quando strizzano l’occhiolino alle piccole alle quali hanno comprato un completo che costa da solo più di quanto il papà abbia speso per vestirsi negli ultimi cinque anni, tanto a quel tontolone racconteremo che era in saldo. Altro che fallo di mano: le mamme segnano usando tutte e due le mani per spingere il pallone in porta, e se l’arbitro fischia lo espellono e lo sostituiscono con uno compiacente.

Coraggio, giovani papà, per ora può bastare. Se permettete, vado a vedere come finisce “Barbie la principessa e la povera”.

Bisogna saper perdere, professore

Chi vive fuori da Bologna non sarà stato più di tanto coinvolto o informato, ma domenica un referendum comunale ha interrogato la cittadinanza sulla destinazione di fondi (circa un milione e duecentomila euro) che ogni anno il Comune destina alle scuole materne paritarie. Si chiedeva se continuare a concederli a questi istituti privati, o se destinarli alla scuola pubblica. Al referendum ha partecipato il 28,71% degli aventi diritto, con la vittoria dello schieramento A che chiedeva di spostare questi fondi per la scuola pubblica che ha raggiunto il 59% contro il 41% delle risposte per il B.

Il referendum è consultivo, cioè dà alla giunta un’indicaziscuola_pubblicaone su come operare, anche se quest’ultima non è obbligata. Certo nessun sindaco si sognerebbe di ignorare il voto di circa il 17% degli elettori (specie se appartengono, come in questo caso, tutti al suo schieramento), ma Merola ha già dimostrato in passato di essere capace di stupire tutti quando si tratta di farsi del male; ma non è questo il tema di questo mio intervento.

Il tema è un altro: il referendum non ha un quorum. Infatti, nessuno, nel campo del settore B, ha mai chiesto di disertare le urne: al contrario, le parrocchie che dispongono di scuole paritarie hanno dedicato veri e propri comizi direttamente dall’altare (ad alcuni dei quali ho dovuto assistere mio malgrado), invitando a votare in massa per B, per non parlare di volantinaggi in piena volazione di silenzio elettorale. Non dimentichiamo che si schieravano per il voto B il PD, il PDL, i centristi (cambiano sempre nome, uddicì, fli, monti, insomma quelli lì), i sindacati confederati, la CEI. Praticamente tutti, con eccezione di Sel e M5S. E non dimentichiamo neanche che i seggi sono stati allestiti a volte in baite in mezzo ai boschi o centri sportivi dispersi nella tundra padana. Nonostante ciò, nonostante una campagna di tutte le televisioni locali e tutti i giornali (da quelli che hanno dedicato numeri monografici al vota B come il Carlino a quelli che si sono limitati a storcere il muso di fronte alla pochezza intellettuale del fronte dei referendari, come l’Unità), nonostante la chiamata alle armi, il “Tutti a votare”….vince A contro ogni pronostico. E allora?
Allora ecco  che un esimio professore di economia, Zamagni, da sempre schierato sul fronte dei finanziamenti alle scuole private, ci spiega che non abbiamo capito niente. Ha vinto B. Anzi, ha stravinto, tanto è vero che non solo bisogna continuare a finanziare le scuole private, ma bisogna aumentare questi finanziamenti, con il sistema dei voucher. Se non ci credete, se pensate che esageri, leggete qui.
Ora, io avevo un amico che quando la sua squadra perdeva quattro a zero diceva che era stata vittima di episodi sfortunati. Ma non era mai arrivato a dire che perdere quattro a zero è una vittoria, perché bisogna perdere almeno sette, otto a zero per poter parlare di risultato netto. Io non dispongo certo della capacità intellettuale e della cultura di Zamagni, e infatti sono rimasto folgorato dalla sua spiegazione eccellente.
Certo che ha vinto B, ci spiega l’eminente docente, perché quelli che volevano il finanziamento pubblico hanno votato, e sono il 17%, tutti gli altri vuol dire che non lo vogliono, e sono l’83%. O comunque non credono nello strumento del referendum. Straordinario. Un autentico trionfo. Come dire che a Roma un elettore su due, che si è astenuto, non crede nello strumento elettorale, perché è monarchico. O anarchico. A Roma per l’illustre Zamagni ci sarebbero più di un milione di monarchici. Ma non ditelo a Emanuele Filiberto.

Dovrò spiegare a mia figlia questo ragionamento illuminante: se hai bisogno di andare in bagno, è inutile chiederlo alla maestra, è solo uno spreco di risorse (la tua voce). Perché se lo chiedi tu, ma i diciannove compagni di classe rimangono zitti, vuol dire che la tua esigenza è minoritaria. O che i tuoi compagni non credono nella validità delle richieste alla maestra. Solo quando almeno undici, dodici compagni su venti chiederanno alla maestra che tu possa andare in bagno, allora ne avrai davvero diritto.
E voi che leggete questo post tramite Facebook, non cliccate su “mi piace”. Non serve a niente: gli utenti facebook sono oltre un miliario, come spiega l’egregio professor Zamagni ci vorranno almeno cinquecento milioni di “mi piace” perché si possa dire che questo post piace davvero a qualcuno. Altrimenti è solo uno spreco.

Un’ultima cosa voglio dirla all’insigne professor Zamagni. Lei dice che i referendari hanno sprecato mezzo milione di euro. A parte il fatto che i referendari chiesero di votare insieme alle elezioni politiche, e fu il sindaco a opporsi, spostando la consultazione a fine maggio. Ma se vogliamo parlare di costi, le elezioni politiche sono costate quasi 400 milioni di euro, e i referendum abrogativi ne costano più o meno 360 milioni. Tutti sprechi, in effetti. Meglio sarebbe che a decidere foste direttamente voi professori, sai che risparmio, oppure il papa e i vescovi, come ai bei tempi dello Stato Vaticano. Ma c’è qualcuno che è morto per garantirci il diritto di sprecare i nostri soldi così: si chiama democrazia, e vale anche quando si perde.

Una società senza riparo

Tazza vuotaNon mi ritengo una persona “viziosa”: non fumo, non bevo superalcolici, la cioccolata (e i dolci in genere) non mi fanno impazzire. Qualche sfizio però mi piace togliermelo, e uno di questi è il cappuccino a colazione. Per questo nella cucina di casa mia da anni c’è spazio per una macchinetta per il caffé espresso (uso caffé in polvere: il caffé in chicchi da macinare mi porterebbe via troppo tempo, e le capsule o le cialde mi sembrano robe da astronauti).
Dopo alcuni anni di onorato lavoro, la mia macchina per il caffé espresso ha cominciato a perdere colpi. Anzi, spruzzi, d’acqua bollente, che non aiutano ad iniziare la giornata con il piede giusto.
Niente di strano, tutto sommato, è normale che le guarnizioni, sottoposte a pressione, calore, caffé in polvere, subiscano l’usura del tempo e vadano sostituite. E qui comincia il bello. Perché io non sono stato capace di sostituire la guarnizione, in quanto un blocco unico (e diciamo la verità, anche se i blocchi fossero stati diversi le mie capacità tecniche si limitano a riparare qualche sorpresa dell’ovetto Kinder con alterne fortune). Però ci sarà modo di sostituirla, questa guarnizione, ho pensato.

Cerco il numero dell’assistenza, consumo un paio d’ore del mio giorno libero per portare la mia macchinetta malata in una clinica dove la ripareranno. Anzi, dove l’avrebbero riparata, per 100 euro: 70 per sostiuire il pezzo (perché l’impressione che fosse un blocco unico è corretta, bisogna cambiare tutto in toto perché se cambi solo una parte le altre hanno la nostalgia e non lavorano più bene) e 30 di manutenzione. Il tecnico a dire il vero è stato molto onesto, anche se andava contro i suoi interessi mi ha detto chiaramente che non ne valeva la pena.

Anche perché con una trentina di euro in più la macchina per il caffé l’ho comprata nuova, e l’altra giace in qualche discarica. Ma quando siamo arrivati a questo punto? Perché dobbiamo buttare via il cellulare quando la batteria si scarica, perché quelle nuove costano una fortuna? Perché dopo un tamponamento dobbiamo cambiare auto perché il carrozziere ci spennerebbe? Perché non ci sono più quei negozietti dove portavi il tuo elettrodomestico acciaccato e te lo rimettevano a posto per cifre accettabili?

Non c’è riparo in una società che non ripara.

Che pizza il volantino

pizzerieC’è quella che non ti fa pagare il trasporto, tanto carica la spesa sui prezzi della pizza. Quella che prende tutti i buoni pasto, anche i buoni sconto del supermercato e i buoni del tesoro se capita. Quella che dà nomi cretini alle pizze e se ne vanta pure. Quella che mette Totò in copertina, e quella che invece rispolvera un’orgogliosa sfinge (che tanto è egiziano pure il pizzaiolo con Totò). Quella che consegna anche dall’altra parte della città, tanto la marmitta del motorino a miscela ti tiene calda la pizza, quella che ti propone anche primi e secondi surgelati, nel caso tu non avessi un microonde.
Sto parlando dei volantini delle pizzerie d’asporto, l’unica forma di stampa che sembra non andare mai in crisi. Alcuni sono ormai settimanali, prima o poi arriveremo al volantino quotidiano. Quando riesco li butto via tutti, ma se a prendere la posta è mia moglie allora trovano la via di casa e si intrufolano nei cassetti.
Tra errori grammaticali macroscopici e interculturalità sempre più diffusa (ormai il volantino pizza & kebab è un classico), i volantini delle pizzerie d’asporto sopravvivono alla crisi, segno evidentemente che un mercato c’è. Perché da qualche parte c’è qualcuno che per dare un tocco di novità alla serata propone di provare una pizzeria d’asporto nuovo, chissà che la pizza non sia più saporita, il pomodoro più fresco, chissà che non ci rilascino lo scontrino. No, quest’ultima evenienza non accade mai, le pizzerie d’asporto non rilasciano scontrino nemmeno sotto minaccia di arma da fuoco e si offendono pure se glielo chiedete. Perché mi chiedi lo scontrino? Sarà forse mai capitato che non te l’ho rilasciato? Guarda, dammi dieci minuti, il tempo di tirare fuori dal magazzino il registratore di cassa e capire come funziona, e te lo stampo, ‘sto scontrino.

Però io non sono quel qualcuno, per cui basta. Tenetevi il volantino, a me non piace cambiare, tanto lo so che alzate il prezzo ogni sei mesi con un tasso di inflazione che nemmeno la benzina durante la guerra in Iraq.
E già che ci siete cancellate quella cavolo di pizza tarantina dai menù, che non esiste, almeno non a Taranto e non per i tarantini.