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Quello che i professori non dicono

Si parla tanto di articolo 18, di farmacie, di tassisti. A ragione, perché si tratta di temi importanti. Ma non mi pare ci si stia soffermando a sufficienza su quella presunta “semplificazione” che dovrebbe garantirci una vita più agile. Intanto va detto che il governo segue a scia le campagne già avviate dal precedente: uno spot pubblicitario diceva “da oggi puoi richiedere i certificati con un click”. Come? Be’ certo se il comune si dota di una infrastruttura informatica che verifichi l’identità dei cittadini con la carta di identità elettronica, produca un documento con timbro e firma digitale e lo invii tramite porta certificata… Senza voler entrare nel dettaglio, vi dico solo che questi strumenti costano, e tanto. E tutte le leggi sulla semplificazione sono dotate della meravigliosa postilla “senza oneri per le pubbliche amministrazioni”. Cioè il ministero spende milioni in spot, e i comuni poi devono organizzare il servizio senza un euro. Magari chiudendo un asilo per aprire una server farm. Il risultato è che il cittadino si aspetta i servizi, non li trova, e il ministro può dire che è colpa dei fannulloni.

La semplificazione peggiora, se possibile, la situazione. Perché non dice che il certificato non serve (quella sarebbe vera decertificazione), dice che tu cittadino non puoi più chiederlo, ma devi autocertificarti, e poi la pubblica amministrazione dovrà controllare i tuoi dati. Facciamo un esempio per far capire come questa idea sta alla semplificazione come Belen sta all’ascetismo monastico. Fino all’anno scorso, per richiedere un determinato beneficio o servizio, se necessario dovevo procurarmi uno o due certificati da uno sportello, e consegnarli ad un altro. Una seccatura, certo, ma avevo la certezza che in una determinata giornata la mia pratica era avviata. Adesso devo autocertificare. Ora, se autocertificare un certificato di residenza può essere abbastanza facile, già sull’estratto di matrimonio avrei qualche difficoltà. E provate voi a farvi da soli un certificato urbanistico. Per cui in qualche modo devo procurarmi quei dati, che non è detto che conosca, chiedere a qualche ufficio cosa devo autocertificare, magari farmi rilasciare un certificato (si può ancora fare, ma si pagano 15 euro di bollo) per sapere cosa autocertificare! Oppure rischiare, tanto se sbaglio si blocca tutto. Quando ho consegnato la mia autocertificazione, devo aspettare che l’ufficio verifichi i miei dati: finché si tratta di dati anagrafici, non è poi così complicato. Ma provate a metterci dentro dati che per esempio vengono da tribunali, prefetture, motorizzazioni, Inps.

Certo che nei telefilm americani in cui l’operatore accede ad Echeleon e scopre tutto, questo si risolve in un attimo. Ma in Italia tutto ciò dà l’avvio a telefonate, e-mail, fax, raccomandate…Tutto senza oneri, in teoria. Per fare le stesse cose temo che ci vorrà come minimo il triplo del tempo. E questa la chiamiamo efficenza della pubblica amministrazione? Questa è semplificazione? Una volta si diceva: chi sa fare fa, chi non sa fare insegna. Ecco, appunto, abbiamo un governo di rettori di università private, godiamocelo.

Le ferrovie dello strato

Il titolo non è un refuso. I comunicati ufficiali di Trenitalia di questi giorni con spettacolari artifici retorici riportano “Continua l’applicazione del Piano Neve che garantisce la mobilità dei viaggiatori grazie ad un alleggerimento nella programmazione dei treni che rende più fluido il traffico”.

La realtà è che l’alleggerimento vuol dire cancellazione dei treni locali e di tutto ciò che in qualche modo può ostacolare sua maestà l’Eurostar, che per nessun motivo deve subire rallentamenti o ritardi. E lo strato a cui mi riferisco è proprio lo strato sociale, quella società classista stratificata che pensavamo relegata al diciannovesimo secolo dickensiano o a certe regioni dell’estremo oriente e che invece Trenitalia sta realizzando in questi giorni. Una società che vede da una parte i vip, i brillanti, la classe dirigente che grazie all’alta velocità raggiunge Roma da Milano in poche ore, anche sotto la bufera. Dall’altra gli sfigati, i mammoni, i bamboccioni – chiamateli come volete – gli studenti senza suv e i lavoratori pendolari che invece attendono 4 o 5 ore, in stazioni senza sala d’aspetto e senza personale, sperando che infine qualcosa passi.

Tanto per farvi un esempio mercoledì 8 febbraio il treno 6581 ha fatto una decina di minuti di ritardo, dopo di che sono stati cancellati l’11521,l’11571, il 6559, mentre il 6501 ha fatto un ritardo di venti minuti. Tradotto in altri termini tra le 6,30 e le 9 non ci sono stati treni tra Bologna e Firenze. A parte l’alta velocità, impeccabile come sempre. Alla faccia dell’alleggerimento. Ma non è che un pendolare che deve fermarsi TRA Bologna e Firenze può prendere l’eurostar e lanciarsi al volo dal finestrino.

Nel frattempo le insegne elettroniche davano notizie fuorvianti (ho preso un treno che era stato dichiarato soppresso cinque minuti prima: la tenacia premiata) e una voce preregistrata continuava a ripetere di stare lontani dalla striscia gialla. La situazione va avanti così da 10 giorni, con i poveri capitreno che si difendono dietro un “un ci si capisce più nulla” (ripeteva sconsolato un capotreno l’altro giorno che per primo veniva sballato da una parte all’altra senza alcun preavviso), e dall’altra parte gli autobus e le corriere che invece non perdono un colpo.

Anni fa i treni avevano la terza classe: c’era chi viaggiava in poltrona e chi su una panca di legno, ma se si si arrivava, si arrivava tutti insieme. Era la metafora di un’Italia in cui anche per chi stava scomodo in terza classe c’era un po’ di speranza. Oggi no, oggi ci sono i treni lusso, che viaggiano supersonici verso l’Europa, e i treni dei poveracci, soppressi per non infastidire.

PS Per evitare gli imbarazzanti pannelli pieni di scritte SOP. (soppresso) ultimamente i pannelli riportano solo i treni che viaggiano: gli altri sono scomparsi, ingoiati come fantasmi dietro il vapore della Freccia Rossa. E’ l’alleggerimento, bellezza.
AGGIORNAMENTO
Se non ci credete, guardate i treni cancellati per il 14 febbraio sulla Bologna Prato: più della metà, e aggiungete tra i 40 e 70 minuti di ritardo ciascuno, E meno male che non nevica più
Fonte: Ferrovie dello Stato

Spala Yuri spala

Neve uno

C’è chi ne apprezza l’aspetto romantico
chi l’ama quando si adagia sul mare
io sarò forse un tantino prosaico
però la neve fa proprio cagare

Neve due

Sarà anche vero che sotto c’è il pane
e che ai bambini regala sorrisi
ma mentre spalo con sto freddo cane
a me mi* girano i cabasisi

Neve tre (prosaico e rancoroso)

Hai voluto il casolare arroccato dove far vivere ai tuoi figli un più diretto contatto con la terra?
Hai voluto uno spazio a misura d’uomo lontano dalla frenesia della città?
Hai voluto l’isolamento in cima alle colline da dove riscoprire la profondità del silenzio?
Hai voluto immergerti nel verde dove respirare a pieni polmoni l’ebrezza della vita genuina?
E adesso spala, Yuri, spala

Io non odio Ikea

Immagine tratta dal sito Ikea

Io non odio Ikea per i suoi mobili montabili. In fondo montarli può essere divertente se si supera l’angoscia della vite che avanza – e non dovrebbe – e la si nasconde in fretta in un cassetto.

Io non odio Ikea per le sue librerie, che si adattano agli ambienti e permettono di sfruttare bene gli spazi.

Io non odio Ikea neppure per i suoi menù al salmone o le bevande gassate ai mirtilli (sebbene un italiano che mangia in un ristorante svedese è uno dei segni ineludibili dell’avvicinarsi dell’apocalisse come le automobili di lusso indiane e gli svizzeri campioni di vela).

Io non odio Ikea perché ritira dal mercato seggiolini che si sganciano o tende che rischiano di decapitare gli ospiti: certo sarebbe meglio non sbagliare, ma ammettere i propri sbagli è segno di maturità.

Io odio Ikea per le posatine colorate, i bicchierini fosforescenti, le scatoline, le lampadine, le ciotoline e  tutto ciò di piccolino che scivola lascivamente nelle borse delle mogli che partono con l’idea di farsi un giro (con la tranquillità dei mariti che sanno che FRAMSTA o KLINGSBO non ci stanno agevolmente nel carrello) e tornano “senza aver comprato quasi niente”.

E’ in quell’avverbio “quasi” che si concentra il mio odio per Ikea.

Mai più impacchettare un regalo senza averlo provato

Controllate i prodotti elettronici dopo averli acquistati. Ripeto: controllate i prodotti elettronici dopo averli acquistati. Anche se si tratta di un regalo. Altrimenti può succedere quello che è capitato a me: acquisto un mediaplayer da Mediaworld il 19 luglio, e siccome sono cliente da tanti anni, lo impacchetto per regalarlo. Poi per un motivo o un altro il regalo non viene consegnato in tempo se non a fine settembre, e qui l’amara sorpresa: non funziona. In realtà il problema è banale: è l’alimentatore, quello scatolotto nero che si aggancia alla spina, a non funzionare. Basta sostituirlo con un altro e il gioco è fatto (ho provato con uno universale a casa mia). Telefono decine di volte al negozio dove l’ho acquistato (Centro commerciale Meraville, Bologna), finalmente mi rispondono, mi chiedono di riportarlo in negozio. Niente sostituzione, però. Sono passati i termini per il recesso, pazienza se non ho mai usato il prodotto, va rispedito in assistenza. Chiedo se si possono limitare a sostituirmi l’alimentatore, basta un attimo per provare. No. Con fermezza teutonica vengo invitato a compilare un modulo, una firma qui, una là (e poi sono gli uffici pubblici quelli burocratrici?), vedrà che fra qualche settimana, un mesetto al massimo è pronto. Era l’8 ottobre.

Dopo un mese richiamo io, niente, poi aspetto ancora, due mesi, niente. La telefonata arriva il 23 dicembre (qualche settimana???), ormai sono partito per le ferie e finisco per ritirare il prodotto il 4 gennaio, quasi due mesi dopo. Morale: mai più. Mai più impacchettare un regalo senza prima averlo provato. E mai più Mediaworld, almeno per ora. Come tutti i clienti delusi, ci metterò un po’ a smaltire questa arrabbiatura.

Non aprite la porta (al mercato libero dei seccatori)

C’è quello che si presenta millantando di essere di Federconsumatori. Quello che spiega che tra Enel ed Enel Energia non c’è nessuna differenza, sempre Enel è. Quello che chiede una firma, no non è un contratto, è solo per prendere atto di aver ricevuto l’offerta, altrimenti poi i suoi “datori” di lavoro non credono che sia andato in giro e non lo pagano. Ci sono quelli che vanno in coppia, quelli che insistono al campanello finché stremato non li fai entrare, quelli che minacciano che se non firmi subito da gennaio 2012 la bolletta automaticamente aumenterà del 200%, ti ipotecheranno la casa, ti preleveranno automaticamente metà stipendio e la tua famiglia verrà attaccata da sciami di cavallette.

Si tratta dell’esercito di venditori porta a porta che propongono contratti Enel Energia soprattutto, ma anche Edison (un po’ meno Eni), sono quasi sempre arroganti, logorroici e talmente scortesi che mettono nostalgia dei cari Testimoni di Geova che al secondo no desistevano. Questi no,  dichiarano il falso con una faccia tosta che lascia presagire che siano stati formati a farlo, ti chiedono sempre di poter vedere l’ultima bolletta, poi cominciano a fare scarabocchi senza senso, citare sconti e risparmi senza alcuna logica e base. E quando li metti alla porta, giocano l’ultima carta disperata, ti spiegano che una firma la devi mettere comunque, anche solo per mantenere il contratto esistente. Altri discorsi paranoici riguardano poi le tariffe biorarie, che scomparirebbero in caso di mancanza di firma.

E quando mai, se io ho un contratto con Enel, dovrei firmare un modulo di un’altra società?

Non se ne può più, anche perché conosco persone semplici o anziane che si sono ritrovate bollete molto più care che in passato dopo che quel giovanotto è passato a far loro firmare qualcosa. E tornare indietro poi è un deliro.

Basta. Sto già pensando ad un cartello: Io non posso entrare, con il loghetto di queste simpatiche società, da appendere fuori la porta. Se questo è il mercato libero, tornate a rinchiuderlo, e fate presto.