Odio l’aperitivo Mi piace uscire a cena con gli amici, andare in pizzeria o in una trattoria dove chiacchierare e mangiare in tranquillità.
Mi piace anche andare a pranzo fuori, specie se è una bella giornata e al pomeriggio si può fare una passeggiata salutare. Mi piace pure fare colazione con gli amici, anche se capita più raramente, prima di un viaggio o quando si è in vacanza.
Ma l’aperitivo no.
L’aperitivo non mi piace.
Odio l’aperitivo.
Tanto per cominciare si sta quasi sempre in piedi, o comunque scomodi. Non si riesce mai a intavolare un discorso articolato perché le ragazze dopo due bicchieri a stomaco vuoto cominciano a ridere di qualcunque o cosa o si addormentano,i ragazzi invece si innervosiscono perché le patatine e i salatini lo provocano, lo stomaco, anziché riempirlo.
Odio l’aperitivo perché tutto sa di pressapochismo, di improvvisato, di precario. Non sai a che ora comincia né quando finisce. Pensi che spenderai meno di una cena, ma in realtà per un martini e due olive ti saccheggiano il portafogli. L’aperitivo ha senso se prelude a qualcos’altro da fare insieme: una cena, o un pranzo. Altrimenti è solo immensa tristezza da vorrei ma non posso.
Da impiegato che si consola perché, nonostante tutto, esce la sera. Anche se a casa, di fronte ai surgelati che lo aspettano nel frigo, un po’ di singhiozzo gli ricorderà che c’è di meglio, nella vita, di un aperitivo.
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Ciambelle al cianuro
Io me la ricordo ancora, la ciambella vaniglia e cioccolato che preparava mia madre per le feste di compleanno a scuola o per Carnevale e Natale.
C’erano anche altri dolci, certo, ma quella ciambella era un colpo sicuro, non ne rimaneva mai una fetta. Ed era buone anche la focaccia, le pizze, l’immancabile salame al cioccolato che portavano i compagni di classe e che avevano preparato le loro mamme. Oggi tutto questo non è più possibile, perché il cibo che si porta a scuola deve essere confezionato, altrimenti niente.
Motivi igienici, sanitari: se la mamma terrorista inserisce il cianuro nella torta, la responsabilità è della scuola che ha permesso l’avvelenamento dei bambini. E siccome siamo nell’era del rifiuto delle responsabilità (Pilato ai giorni d’oggi sarebbe un decisionista), meglio allore le briosche al colesterolo, le tortine di zucchero sintetico e ciambelle ai coloranti delle multinazionali.
Che magari avvelenano i bambini davvero, altro che la mamma terrorista, ma un po’ alla volta, giorno dopo giorno, dolcemente.
Non so voi, ma io continuo a preferire la ciambella della mia mamma…
Si ritorna al travaglio usato
La festa dell’immacolata è tanto, troppo lontana, il 1? novembre quest’anno ce l’hanno scippato chi vive a Bologna quest’anno anche la festa di San Petronio capita disgraziatamente di sabato. Si apre così l’autunno orribile per chi lavora, senza feste, ponti o qualsivoglia nota sorridente da applicare sul calendario.
Non resta che sospirare e cominciare a preparare gli addobbi natalizi, se questo può rendere più lieta l’attesa. O guardarci indietro e cambiare lo sfondo del desktop con le foto sorridenti del mare d’agosto. In un caso o nell’altro, perpetuiamo il dramma del nostro tempo, quello di avere un bel passato da ricordare e un bel futuro da sperare ma un presente grigio con cui fare i conti…
Il biscottone Atene
Ci sono poche certezze incrollabili nella mia esistenza e una di queste è il biscotto Atene. Per me la giornata non parte con il piede giusto se non mangio il mio biscottone con i tre buchi e gli ornamenti ellenici intorno. Cinque al giorno, di solito, nel latte e caffé. Uno di quei riti quotidiani che nella loro quotidianità servono a sopportare meglio stress e pressioni.
Ebbene, da un paio d’anni la Doria è stata acquisita dalla Bauli. In quanto consumatore fortissimo di biscotti Atene, mi preoccupo subito: sta a vedere che mi mettono lo zucchero a neve sul biscotto. Oppure il candito a tradimento. Niente di tutto questo, per fortuna la nuova dirigenza non si azzarda a intaccare la sacralità del biscottone con i tre buchi. Ma qualcosa l’ufficio marketing deve inventarsela per giustificare lo stipendio. Cambiano il packaging, con un leggero restyling della grafica. Poco male, sono praticamente immune agli effetti del marketing sui prodotti che mi piacciono, comprerei gli Atene anche in una confezione nera con il faccione di Hitler incavolato stampato sopra. Ma non si limitano a questo: intaccano i pacchetti di plastica interni, quelli da dieci biscotti dieci, e li sostituiscono con pacchettoni da sedici biscotti.
Dico, è un tentativo di boicottaggio?
Qualche faida familiare vi invita al suicidio commerciale di un prodotto perfetto?
Avete fatto un corso di management alla Parmalat?
Io i miei pacchetti di plastica li buttavo nella raccolta differenziata dopo attenta scrollatina delle briciole. La carta mi si inumidisce, si impatacca, come faranno a riciclarla, e poi, con le foreste amazzoniche in fiamme, questo spreco non lo capisco. Per non parlare del fatto che il pacchetto di plastica conteneva 10 biscotti, l’ideale per due giorni: che cifra è 16? Se ne mangio quattro al giorno durano troppo a lungo e poi diventano mollicci. Se continuo con i 5 il quarto giorno me ne resta uno solo.
Che disastro.
Ci manca solo un intervento profanatorio sul biscotto tappandone un buchetto o riducendone le dimensioni, e allora davvero dovrò studiare un piano di fuga: Oro Saiwa, forse, o Colussi, o simil Mulino Bianco fatti dalla Coop.
Non lo so, per ora non voglio pensarci…
In bici sulla higway to hell
L’anno pre-elettorale, si sa, è sempre il migliore per i cittadini. Indipendentemente dal colore della giunta, improvvisamente è tutto un pullulare di iniziative. A voler essere ottimisti, è perché i frutti di quattro o cinque anni di lavoro cominciano a vedersi; a voler essere pessimisti, è perché il timore di non essere rieletti spinge gli amministratori a darsi una mossa.
A Bologna, nella fattispecie, stanno improvvisamente sorgendo piste ciclabili promesse in effetti alcuni anni fa. La pista ciclabile – quella vera: cioè un percorso esclusivamente adibito per i ciclisti, e non una striscia gialla per terra – è un segnale di civilità e quindi ben vengano. Solo, si ricordino, gli amministratori, che non è che un ciclista può fare cinquanta metri di pista, e poi trovarsi disperso nel traffico caotico a sei corsie dei viali. Una pista deve avere un punto di partenza preciso, e uno d’arrivo. A che servono pistarelle a singhiozzo buone solo per un depliant per turisti? Avrebbe senso un’autostrada Milano Bologna che si interrompe a Piacenza e dopo centinaia di chilometri si giungla e sterrato rimprende a Modena? Non avrebbe senso alcuno (anche se, ripensando alla Palermo – Messina…)
Cari ingegneri, la pista deve essere una passerella per attraversare la città silenziosamente e senza inquinare, non il trampolino di lancio per l’inferno…
Gira la rotonda gira
Che l’urbanistica e la pianificazione territoriale siano da sempre attraversate da mode è facile affermarlo.
Si pensi agli stradoni post-napoleonici che sorsero abbattendo interi quartieri medievali, ai palazzoni maschi e valorosi dell’epoca fascista o ai quartieri sorti fuori città a partire dagli anni sessanta e spesso ridotti a orrendi dormitori.
Il minimalismo e la mediocrità dei nostri anni è tale che verranno ricordati dai posteri propriamente come gli anni rotondi. Non perché mangiamo di più e nemmeno perché abbiamo riscoperto le forme morbide. Rotonde perché quotidianamente assistiamo impotenti alla scomparsa di un solido, valido, efficiente incrocio sostituito da una piccola indianapolis o, come dicono gli anziani e i libri di scuola guida, una rotatoria.
La rotatoria fa comodo essenzialmente ai giardinieri, che trovano insoliti spazi in cui piantare cespugli secchi, fiori smorti ed enormi targhe pubblicitarie, e ai produttori di navigatori satellitari. Mentre una volta bastava dire sempre dritto, poi la seconda a destra e la terza a sinistra, oggi occorre dire alla seconda rotonda prima uscita poi dopo tre rotonde terza uscita bis: capite che ci si sbaglia. Ed ecco che serve il navigatore, anche perché, diciamolo, alla terza rotonda l’automobilista barcolla, esita, bestemmia se capita in preda ad una sindrome a metà tra l’ubriacamento e il delirio d’onnipotenza. Si dirà: si fluidifica il traffico. Avete mai visto una fila in rotonda, perché il semaforo è rosso? Ve lo dico io, le vene varicose di una novantenne sono molto più scorrevoli. Si perché i produttori di semafori non si sono fatti tagliare dal mercato: la rotonda non elimina il semaforo, lo moltiplica, perché se prima ce n’era uno, adesso rischi di beccarne due, uno in entrata e uno in uscita. Si dirà: riduce gli incidenti. Fra le auto, forse.
Ma i pedoni?
Avete mai provato ad attraversare una rotonda a piedi?
Ovviamente no, perché altrimenti non sareste qui a leggere questo blog ma mi guardereste dall’alto dei cieli annuendo malinconici..