Archivi categoria: Personal Edition

Chiamo io o chiami tu?

Sotto l’ombrellone, mentre i bambini giocano sulla riva e la moglie prende il sole; a teatro, parlando a bassavoce per non infastidire troppo gli attori che, si sa, sono permalosi; a cena con gli amici. Sono solo alcuni dei casi in cui ormai nessuno più si scandalizza se osserva un uso quantomeno aggressivo del cellulare. Non c’è niente di male, direte voi. Infatti.
Se non fosse che sotto l’ombrellone si parla con lo zio, che abita al piano superiore e che si rivedrà dopo due ore; al teatro si racconta l’ultima novità al collega, in anticipo rispetto alla pausa caffé del giorno dopo; a cena con gli amici si chiacchiera al cellulare con altri amici. Non sto parlando di comunicazioni di servizio (ho lasciato le chiavi sul tavolo, vicino alla frutta), parlo di lunghe conversazioni.
E allora? Possibile che non si possa fare a meno di comunicare con persone con cui comunichiamo già tutto il giorno? Sarebbe bello se fosse possibile inserire un microchip che attiva le conversazioni solo se l’interlocutore è a più di trenta chilometri di distanza.
Negli altri casi, muoviti e parlagli di persona, imbecille.

Le partenze intelligenti

autostradaUn’unica, impressionante coda di automobili che va da Bologna a Cattolica: questo è stato lo sconcertante spettacolo del sabato da Bollino nero. Non l’ho vissuto in prima persona, perché ho preso l’A14 il giorno dopo (e non c’era praticamente nessuno), ma mi ha fatto comunque riflettere.
Ci riteniamo superiori alle formichine in fila, o alle mandrie di gnu, o agli stormi di rondini. Eppure, dove c’è la massa, lì con ogni probabilità si è infilato l’italiano.
Un popolo che nonostante gli annunci televisivi, nonostante i giornali, nonostante, appunto, i bollini, per usare un eufemismo, se ne fotte, e si infila in una bolgia dantesca per non perdere un giorno di ferie è un popolo ostinato, un po’ ottuso forse, ma disposto a qualunque sacrificio, anche il più stupido – quindici ore in autostrada, quando se ne potrebbero impiegare otto, non è un sacrificio particolarmente brillante – purché questo comporti un benché minimo vantaggio. Il traffico c’è ovunque, ma si fa fatica a immaginare scene così in altre nazioni: l’unico esempio che mi viene in mente è quello delle masse di cinesi che si spostano per le feste di primavera. Ma lì c’è un sistema che non offre alternative e che ha reso massificato gli individui. E qui?
PS Per chi se lo dovesse essere perso: domenica 19 agosto ci sarà la replica, il rientro della mandria…

New York

[singlepic id=138 w=320 h=240 float=left]Eccomi qua, di ritorno dopo una settimana di vacanza trascorsa a New York (documentata da foto che spero di pubblicare appena possibile). Che dire? Sembra di vivere sul set, perché quello è il palazzo dell’Uomo Ragno, da lì partirono i Ghost Busters, questa è Wall Street e laggiù c’è il teatro preferito da Woody Allen. In fondo visitare New York è riscoprire una realtà che, filtrata dallo schermo cinematografico (O televisivo: ho visto la casa dei Robinson e quella di Friends) conosciamo già e in qualche misura ci appartiene. Una realtà dove il mondo si incontra e si mescola (africani, cinesi, italiani, greci, irlandesi, russi…) e che, ci piaccia o no, è stato il cuore culturale degli ultimi cinquantanni.

It’s only us
it’s only this
regret, forget, or life is yours to miss

no other road, to other way,
no day but today.

(dal musical Rent)

La terza corsia dinamica

Chi vive a Bologna la conosce bene da tempo: la terza corsia dinamica. Quella che da anni pronettono come la risoluzione dei problemi della tangenziale cittadina. Non sono un ingegnere e faccio fatica a comprendere certi progetti, ma sono un aspirante scrittore e capisco i giochi di parole.
Di fatto a Bologna stanno introducendo una terza corsia di marcia nello spazio dove prima ce n’erano due.In questo modo si risolvono i problemi di traffico. Fantastico. Seguite l’esempio: vivete in un piccolo appartamento di 50 metri quadri? Inventatevi la sala dinamica, basta spostare i letti un po’ più in là quando ci sono ospiti.
E potremmo risolvere il problema dei posti negli ospedali con la corsia dinamica: basta mettere i pazienti in garage quando non ci sono le auto dei medici.
E per gli extracomunitari, facciamo l’appartamento dinamico: 20 cinesi dormono mentre altri 20 lavorano, quando i primi si svegliano i secondi gli danno il cambio. Come dite? Già lo fanno?
Diavolo di un cinese, ci ruba sempre le idee migliori…

L’upgrade del degrado

Qualche sera fa sono passato davanti a Porta Galliera, di fronte alla stazione, e sono stato piacevolmente sorpreso osservando un leggero miglioramento rispetto al passato, in cui l’area era zona franca di spacciatori, tossicodipendenti, prostitute.
Sto attento a cantare vittoria, però: altre zone, come l’ex ghetto ebraico, sono latrine a cielo aperto, alcune aree della zona universitaria dopo il tramonto sono fortemente sconsigliate, per non parlare poi dell’ultimo tratto di Massarenti, che ricorda certi film anni settanta ambientati negli slums di New York.
 Allora? Allora mi sento di dire che le politiche a Bologna (ma credo che la situazione sia analoga altrove) il degrado non lo combattono, lo spostano: si lamentano i comitati di quartiere, spostiamo i tossici di là. Ci sono troppe prostitute in quella strada, facciamo in modo che vadano in un’altra.
Ma è mai possibile che il degrado, anziché spostarsi, si elevi di grado?

Salone del libro 2007

Domenica sono tornato dopo un anno sabbatico preso per impegni familiari al Salone del Libro di Torino. Che dire?Ho provato ad ascoltare la presentazione di “Uscite d’emergenza”, romanzo di Alexis Romay, giovane cubano critico del regime di Castro ed esule negli Stati Uniti, ma lo stand accanto aveva una musica da discoteca talmente tanto forte da disturbare anche le salette (non farò il nome del disco stand perché certa spazzatura non merita neanche la pubblicità negativa).
Ho fatto un giro molto veloce osservando i manifesti che annunciavano la presenza di Lori Del Santo che autografava copie del suo libro, gli schermi che proiettavano il faccione di Moccia (ma senz’audio, che evidentemente guardarlo è sufficiente ai suoi fans), la gigantografia del poeta Luciano Ligabue, Nicolino Badasso alla guida di un corteo che ambiva a conquistare Farhenth all’urlo di “Basta metafore”.
C’erano soliti attori, cantanti, politici, personaggi televisivi che hanno deciso di dedicarsi alla scrittura per riscoprire se stessi (ma un buon psicanalista, no?)
Per carità, c’erano anche i libri, tanti, interessanti, e tanti lettori anche. Però c’è un limite che il Salone sta preoccupantemente per superare. Da una parte c’è l’appuntamento culturale, lo scambio di idee, la passione, la lettura: dall’altro c’è la discoteca, lo shopping, il facciamo vedere, la tivù. Speriamo si fermino in tempo: personalmente ho consigliato al mio editore di risparmiarsi i soldi dello stand l’anno prossimo, a meno che non abbia in catalogo la biografia di una velina.
Con foto a colori, ovviamente.