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Attendere prego

Il classico per eccellenza è Per Elisa, monofonica, ossessiva, stridula, con quel picchiettare del pianoforte meraviglioso nella versione originale ma irritante quando si aspetta al telefono e si è già alla terza ripetizione; anche le Quattro Stagioni di Vivaldi sono molto diffuse (quasi sempre la primavera, d’altronde gli stacchetti durano una decina di secondi e non c’è posto per tutti), mentre i fanatici del pop raffinato preferiscono Elton John di "Song for Guy".
Sto parlando delle segreterie telefoniche, quelle musiche intervallate da i vari "attendere prego" e dai demenziali "non metta giù, adesso (per carità!) per non perdere la priorità acquisita" che le aziende scelgono per mettere in attesa i clienti, tanto più insopportabili quanto più lunga è l’attesa.
La mia preferita è Sultan of Swings dei Dire Straits. Anzi, la mia preferità in assoluta è quella che non faccio in tempo a sentire perché mi rispondono subito: ma questo succede sempre più raramente, purtroppo.

Cose che non vedremo…

Oggi c’è stata un eclissi anulare di sole. Significa che la luna si è posta sulla traiettoria tra noi e il sole oscurandone una parte. Il punto di migliore visibilità in Italia è stato Cagliari con l’84% della superficie visibile del sole coperta). Credo che l’abbiano vista in pochi: qui a Bologna il cielo è coperto da una coltre spessa di nubi che rendono la città allegra come un film horror svizzero anni 70. Ma quante cose non vediamo, o non vediamo più? Non vediamo più Biagi, Luttazzi e Santoro, non vediamo più il teatro in televisione, non vediamo più i giocatori che esultano sotto la curva, non vediamo più un sacco di amici perché abbiamo troppo da fare, non vediamo quello che sta succedendo a Togo dove si stanno sgozzando per motivi politici perché ci interessa di più sapere con chi se la spassa la Hunzikher.
Domani, o fra qualche giorno le nuvole se ne andranno. Ma l’eclissi l’abbiamo persa per sempre, insieme a tante altre cose importanti…

Felicit?…

Tra le tante definizioni più o meno valide di felicità, c’è quella che spiega che nessuno è più felice di chi ritrova qualcosa che aveva perso. In fondo è il concetto evangelico della pecorella smarrita: più prosaicamente, ci si ripete che invece che desiderare qualcosa che non abbiamo dovremmo concentrarci sulle ricchezze che già possediamo per essere lieti. Oggi ho vissuto dieci minuti di felicità. Arrivato in ufficio mi sono accorto di essere senza portafoglio. Per carità, non porto mai contante nè ho carte di credito: ma chi ha perso la patente (a me capità una decina di anni fa) sa che tra carabinieri, motorizzazione, denunce e foglie provvisori in Italia è più facile procurarsi un passaporto falso che rifarsi una patente vera. Per cui, ho vissuto davvero il dramma della perdita, già mi vedevo in fila da qualche parte privo dei miei documenti, della mia identità, magari imbarcato in un aereo con qualche povero clandestino diretto in Romania. Invece il portafoglio era sotto il letto. Felicità. Felicità. Me lo accarezzo, ci guardo la patente sgualcita e la carta d’identità rifatta da poco, e sono felice.

È proprio vero che l’inizio e la fine della nostra vita sono segnati, ma sta a noi decidere se congiungerli con una frettolosa linea retta o goderci gli sbalzi di alti e bassi…

La Cina ? vicina…

Sabato mattina ho scoperto che le pila della mia videocamera (di quelle piccole e piatte, sembrano pastiglie e servono solo a memorizzare data e orario) era scarica. Esco per comprarne una nuova, mi avvio versi il negozio di Computer Discount ma, cosa vedo, sono ormai passate le 12,25 e i solerti dipendenti hanno già chiuso la serranda con precisione più italiana che Svizzera. Si sa come sono gli stipendiati, poca voglia e che si venda o no poco cambia; allora vado da un negoziante di hi-fi, qui c’è il professionista che deve conquistarsi il pane giorno dopo giorno, qui troverò quel che cerco, questi non chiudono mai. Infatti è aperto, ma strabuzza gli occhi quando gli parlo della pila tipo calcolatrice, siccome sono preparato all’evenienza mi sono portato dietro quella scarica, gliela faccio vedere, no no, io non ne vendo, niente. Quasi gli avessi chiesto un chilo di carciofi, magari mi avrebbe risposto meno seccato.
Sto ormai per tornare a casa, quando mi rivolgo ad uno di quei negozietti che sono apparsi come funghi negli ultimi tempi. Niente insegna, niente pubblicità: si capisce che vende un sacco di roba. Casalinghi, ferramenta, giocattoli, di tutto. E’ il negozio di una famiglia orientale, probabilmente cinese. Chiedo le pile senza troppa convinzione. Ce le ha, e me la vende a 30 centesimi. Magari fra tre giorni è scarica, ma se penso ai 5 euro che ho pagato quella di marca dal fotografo, sono comunque contento. basta una mattina in giro a capire l’origine della nostra crisi, più che decine di commentatori economici…

“Bello dentro, fuori meno” recensito da Progetto Babele

Quando ormai hai smesso di sperare che la distribuzione abbia un moto d’orgoglio e, come d’incanto, si metta a lavorare anche solo per pochi giorni; quando hai capito che partecipare ai concorsi è una buona idea, ma rimanere delusi dai risultati non lo è; quando stai pensando intensamente al secondo romanzo, convinto che il primo ormai abbia dato quel che poteva dare (e cioè poco e niente); quando i risultati delle vendite ti hanno convinto che con il ricavato netto puoi permetterti al massimo un trancio di pizza; quando cominci a dubitare seriamente sul fatto che questi sforzi siano valsi a qualcosa… Salta fuori una recensione come quella di Progetto Babele, una rivista letteraria interessante perché libera (si basa sul volontariato e la passione, e per questo può recensire anche autori come il sottoscritto). Una recensione che riaccende la speranza: tra quei pochi che hanno letto Bello dentro, c’è chi l’ha apprezzato. Chissà che non se ne aggiunga qualche altro

Sensibilit

Quando ci svegliamo la mattina e ci vestiamo, sentiamo il contatto della camicia sulla pelle, del portafoglio nella tasca dei pantoloni, dell’orologio sul polso. Dopo un po’ ci abituiamo e il nostro cervello, che pure riceve gli impulsi, smette di considerarli. Allo stesso modo ci abituiamo alla ventola del computer, al cinguettio degli uccelli (i più fortunati), all’odore un po’ stantio dell’aria condizionata. Oggi per me è stato il giorno del rientro in ufficio, e mi sono reso conto della mia quotidianità che presto tornerà a essere invisibile: la poltrona è comoda ma leggere dallo schermo dà fastidio, il cibo dei self service e dei bar fa schifo, gli odori asettici dell’ufficio finiranno per rendere il naso un organo inutile nei nostri discendenti, l’assenza assoluta di silenzio finirà per intorpidirci. E il dramma è che da domani non mi accorgerò più di niente! PS Oggi è stata pubblicata una bella recensione su Progetto Babele, sono proprio contento…