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Il mare di Taranto

Il mare a Taranto si divide su costiere, quella salentina e quella jonica, che rappresentano due modi diversi di concepire la vita. La litoranea salentina, quella orientale che va verso Gallipoli, è fatta di gioiellini, piccole insenature con sabbia e scogli, dove l’acqua è bellissima e l’orizzonte limpido. Però si parcheggia dove capita, si sta stesi facendo attenzione a non finire con il piede sul naso del vicino (troppo vicino) di ombrellone, si finisce due volte su tre imbottigliati nel traffico. La litoranea Jonica che va verso Metaponto è fatta di chilometri quadrati di spiaggia: il fondale sabbioso dà però al mare un colore verdastro che ricorda Rimini, e in lontananza le sagome minacciose della città industriale rovinano la visuale. Però si sta larghi, si trova il parcheggio custodito a prezzi umani, si arriva percorrendo la statale 106 in pochi minuti senza alcun problema di traffico. La litoranea Jonica è da DS, è fatta di servizi, comodità, rispetto, monotonia: quella salentina è da Margherita, si spintona, sgomita, si litiga per un posticino al sole e un tuffo dallo scoglio in nome dell’acqua limpida.
Le spiaggie di destra sono quelle a pagamento, ordinate e prepotenti, mentre mi sto chiedendo qual’è la spiaggia da rifondazione. Probabilmente è un’isola meravigliosa immersa nel blu con una vegetazione rigogliosa. I rifondaroli stanno ancora discutendo a riva per capire come ci si arriva…

Visi pallidi e musi neri

La tribù dei visi pallidi si aggira intorno al ferragosto nervosa, irritabile, con l’occhio fisso sull’orologio e una tendenza inconsueta a rimandare tutti gli impegni gravosi. Di tanto in tanto i suoi membri vengono sorpresi a fissare poster e cartoline con un sorriso ebete sul viso. Stanno bene con i loro simili con i quali conversano per ore dei vantaggi dell’aereo sul treno e degli hobby da riscoprire e valutare. Viceversa entrano immediatamente in conflitto con i loro acerrimi nemici, la tribù dei musi neri. Questi ultimi hanno un’aria riposata, capelli luminosi e pelle abbronzata, ma a contraddistinguerli è soprattutto il velo di malinconia che traspare da ogni loro azione. I musi neri sospirano continuamente, sotto il neon asettico dell’ufficio come di fronte alle polpette rosa della mensa, blaterano continuamente di mollare tutto e partire per aprire un pub in Costa Rica, la mattina inclinano la testa e fissano il monitor senza accenderlo. Anche loro stanno bene con i loro simili, con i quali discutono della scarsa lungimiranza di chi va in ferie tardi e prende sono cattivo tempo e del fatto che a luglio il mare, la montagna, i laghi e tutto l’universo (tranne gli uffici) è senz’altro più bello. Ovviamente si può passare da una tribù all’altra, ma solo in momenti specifici: questo fine settimana si aprirà l’ultimo portale spazio temporale che permetterà ai visi pallidi rimasti in giro di passare dalla parte dei musi neri, mentre questi ultimi, con il tempo, torneranno a essere visi pallidi. Per riaffrontarsi a settembre, quando i (nuovi) musi neri non avranno voglia di lavorare, e i visi pallidi invece smanieranno e si lamenteranno di tanta inefficienza. Ma questa è un’altra storia: adesso, se permettete, mi avvicino al portale…

Il videotelefono non va…

? un dato sotto gli occhi di tutti: nonostante le spese per campagne pubblicitarie pari al pil di mezza Africa, nonostante una capillare rete di vendita, nonostante le offerte speciali, i paghi uno prendi due, i presentaci un amico e portati via sto pezzo che c’ho il magazzino pieno, i videotelefonini in Italia fanno fatica. Problemi della congiuntura economica? Non credo, la gente compra biscotti bulgari al discount ma all’elettronica non rinuncia. Scarsa qualità, problemi di connessione? Forse, ma anche i primi gsm perdevano il campo ogni dieci metri, eppure furono un successo. E allora? Io ho alcune idee a riguardo. Mettiamo che ci sia un buon 20% dei non utenti che non compra i videotelefoni per il prezzo. Dico per dire, come dato mi sembra pure eccessivo. Gli altri? Intanto, riflettiamo sull’ovvio: con i videotelefonini ti vedono. E questo esclude dal mercato tutti gli utenti timidi ( e timide, nessuna delle categorie è appannaggio di un sesso) che usano il cellulare solo per gli sms, gli impiegati di banca che inviano messaggini di fuoco alle segretarie e le casalinghe che riaccendono il menage con un po’ di tvtb sn t prndm tt al consorte. Diciamo un 10%. Poi c’è un buon 30% di farfalloni esclusi dal mercato: quelli che chiamano gli amici da Ostia per raccontare di essere ai Caraibi, quelle che dicono di essere impegnate in ufficio fino a tardi e invece sono a spasso con l’amante, quelli che si presentano come professor dottor esimio e c’hanno l’ufficio ricavato in uno scantinato. Ovviamente il video è escluso per tutti loro. Poi ci sono i perfettini, un altro buon 10% a mio parere: sono quelli che si cambiano e si pettinano anche per andare a buttare la spazzatura. Per loro, l’idea che qualcuno possa chiamarli senza preavviso e vederli (orrore!) con gli occhiali e senza fondotinta è semplicemente angosciante. Ma il grosso, almeno il 55% dei non utenti italiani è rappresentato dagli “itagliani”, i trasgressori della domenica, quelli che amano sembrare fuorilegge ma senza esagerare. Sono quelli che usano il cellulare in macchina senza viva voce: sanno che è rischioso e scorretto, lo fanno, ma non arrivano al punto di guidare guardando il video sbiadito con la faccia del cliente. Sono quelli che ostentano: una volta avevano il cellulare legato alla cinta (ricordate?) ora sono passati alla cuffia bluetooth, ma il videotelefono non li convince; come si fa a guardare contemporaneaente lo schermo e la bionda in fila alla posta?
Personalmente appartengo all’ultimo 5%, gli attendisti: quelli che amano la tecnologia ma aspettano che maturi. Quelli che hanno visto il laser disc ma hanno aspettato pazientemente il dvd; quelli che hanno aproffittato della nascita degli schermi al plasma per comprarsi un 28 pollici tradizionale a 300 euro; quelli che aspettano seduti sulla riva del fiume che il commerciante avido dall’altra parte abbassi i prezzi…

Mi dispiace, ? occupato

La società civile si basa sulla reciproca benevolenza o, forse, tolleranza. Come prima lezione di sociologia del piffero ci siamo. Ma mentre per alcuni comportamenti vistosamente contrari alla comunità come gli omicidi o i furti ci sono i sistemi di prevenzione e repressione, contro altri, più lievi, non si può far nulla, se non sopportare. Penso ai prepotenti che non danno la predenza, ai vicini rumorosi, ai prepotenti in genere. Sono proprio bravo, ho già espresso tre o quattro concetti profondi a sufficienza per un bel saggio di sociologia culturale, dovrei capitalizzare. E poi ci sono quei comportamente di per sè insignificanti, tuttavia odiosi e fastidiosi al punto tale da farti incavolare, che ti mettono voglia di diventare asociale e dar fuoco a tutto: il principe di questi comportamenti è a mio parere occupare i posti in un luogo pubblico. Si occupavano i posti alle lezioni universitarie, con i furbastri che si portavano un quaderno senza rilegatura e distribuivano i fogli sulle tre file a loro disposizione. Si occupano i posti al mare, spargendo cianfrusaglie sulla spiaggia libera per l’arrivo, tre ore dopo, dell’amico tiratardi. Si occupano posti nelle serate di cinema all’aperto. Certo, può capitare davvero che uno vada al bagno, o si allontani per una telefonata; può capitare anche che mentre gli amici si dirigono verso l’arena chi guida cerchi parcheggio. Ma non scherziamo, sono eccezioni. La regola è quella del cafone che arriva e pretende di occupare il posto per cinque amici, con il risultato che a film iniziato cè chi sta in piedi mentre il cafone ha ancora il fazzoletto e il cappello sui posti occupati. Basta. Intraprendiamo una campagna: se qualcuno afferma che il posto è occupato, ricordategli gentilmente che non è possibile occupare luogo pubblico senza autorizzazioni, e sedetevi. Sedetevi, sedetevi, sedetevi. Se invece siete di quelli che occupano i posti…Sedetevi, ma a casa vostra. La società civile non sentirà la vostra mancanza.

Basta con queste card!

C’è stato un periodo non troppo lontano in cui nel nostro portafogli oltre al denaro più o meno abbondante c’era spazio per la carta d’identità, la patente e un calendarietto regalatoci da un orfanotrofio o da una associazione benefica, di quelli con le date scritte piccolissime e i bordi contrassegnati dai centimetri, nel caso qualcuno avesse voluto usarlo come righello (l’ingegnosità di una volta!). Poi sono arrivate le carte di credito, che però gli italiani tengono, quando le hanno, chiuse in cassaforte; molto più spesso invece si teneva il bancomat. E fin qui, tutto normale. Poi qualcosa è accaduto. Non lo so, forse è crollato il prezzo dei supporti di plastica. Forse la mania di raccogliere dati ha coinvolto tutti (capisco che il supermercato sia interessato ai miei acquisti, ma la lavanderia? Cosa mai può coprire una lavanderia, che tendo a sporcarmi facilmente il fondo dei pantaloni e le maiche della giacca? Ci fanno del marketing incrociato con questi dati?). Insomma, hanno cominciato a riempirci di card: quella della catena di noleggio dvd (la paeggiore, perchè il giorno che la prestate alla vostra ragazza scopre un buon numero di film che non ricroda di aver visto con voi, e quasi tutti dello stesso genere), quella del centro commerciale, quella della libreria, quella del cinema, quella del parrucchiere, quella da socio Coop, e ancora quella del circolo sportivo,del ristorante, del bar, del corso serale e dell’outlet. Giuro, non invneto niente, per ognuna di queste categorie almeno uan tessera è transitata per il mio sventurato portafogli. Senza contare quelle più tradizionali, come il tesserino sanitario, quello dell’ordine, del sindacato o del codice fiscale. Ogni volta che prendo un caffé devo cercare tra una ventina di card diverse per avere diritto al 5% di sconto, o per vincere dopo tre milioni di spesa un trita agrumi. Basta. Dateci un taglio. Il grande fratello era un incubo, tanti grandi fratellini sono una rottura di scatole…

Ecco il colpevole

Dietro un libro c’è la passione, l’intelligenza e il talento di chi lo scrive; ma anche e soprattutto la passione, l’intelligenza e il talento di chi lo pubblica. Perché di scrittori ce ne sono milioni, ma senza editori si resta nel limbo degli aspiranti. E allora eccovi svelato l’incontro di questi due talenti, immortalato l’8 maggio alla fiera del libro di Torino. Quello con l’aria meno intellettuale (a sinistra, ça va sans dire)ovviamente sono io, la maglietta indica il numero di copie vendute dal mio romanzo, l’altro è Raffaele Calafiore, mente e cuore di Nonsoloparole Edizioni. A lui e solo a lui si deve la pubblicazione di “Bello dentro, fuori meno”. Pensate che prima di cominciare a fare l’editore aveva i capelli lunghi che gli cadevano davanti agli occhi e la coda di cavallo. Ah, l’arte…