Archivi categoria: Personal Edition

Dieci piccoli indizi: tre di denari

La scuola di Yarubbedd sorgeva in un trullo circondato dal bosco, a cinque minuti di cammino dalla via principale del paese. Secondo alcuni la posizione era dovuta alla necessità di garantire la tranquillità agli allievi che apprendevano a leggere e scrivere nella lingua sacra, che da secoli il piccolo popolo degli Sparatrapp tramandava di generazione in generazione. Secondo altri, si trattava di uno stratagemma per garantire sì la tranquillità, ma quella degli abitanti della cittadina che non avrebbero sopportato a lungo le urla e il chiasso che quei monellacci producevano durante le lezioni.

La classe era composta da ragazzini dai sei ai dodici anni, ma l’anziano maestro faceva attenzione di differenziare le attività a seconda dell’età. Quell’anno in particolare si era trovato in difficoltà perché i tre nuovi arrivati avevano peculiarità completamente differenti: tanto erano brillanti e spigliati i giovani Bighino e Cool, tanto restio all’apprendimento era invece Minghiaril. Quest’ultimo nonostante fosse in buona sostanza uno zuccone aveva però il dono della popolarità, o forse ce l’aveva proprio perché era così scarsamente brillante.

Quel giorno il maestro diede ai tre giovanissimi un compito particolare. Dovevano disegnare su una lavagnetta (la carta era piuttosto rara e preziosa) un progetto che gli sarebbe piaciuto realizzare da grandi,

Il primo a consegnare il lavoro fu il piccolo Cool. Sulla sua tavoletta aveva preso vita una enorme, vastissima biblioteca. Doveva servire non solo a preservare i testi sacri che il suo popolo si tramandava di padre in figlio, ma anche nuovi testi da produrre nel rispetto delle tradizioni degli Sparatrapp, e, perché no, magari qualche altro testo proveniente da una regione di Apul non ancora esplorata. Il maestro mostrò di apprezzare, e diede la parola a Bighino.

Costui aveva rappresentato un enorme veliero, come non se ne erano visti mai né a Stoon, un villaggio di pescatori non molto lontano da Yarubbedd, né a Tardnuestr, la capitale del regno degli uomini che sorgeva tra il grande lago salato e il mare. L’idea della biblioteca era buona, spiegò Bighino, ma per riempirla non sarebbe stato sufficiente sondare l’isola di Apul: bisognava andare oltre, esplorare oltre il mare alla ricerca di forme di vita diverse, altre popolazioni che fossero sopravvissute al Grande Bum. Tutto ciò che sapevano di questo grande bum infatti era che si era trattato di un drammatico incidente che aveva stravolto la vita non solo ad Apul, ma nel mondo intero, che doveva per forze di cose essere ben più ampio di quell’isoletta in cui vivevano isolati da secoli. Sempre che si trattasse davvero di un’isoletta, visto che le superstizioni avevano da sempre impedito agli Sparatrapp di muoversi verso sud, attraverso i terreni dei terribili Mucidi. Cool obiettò che Apul era tutto ciò che era sopravvissuto al grande bum e che coloro che si erano avventurati oltre i confini non avevano mai fatto ritorno a casa. Il maestro intervenne prima che un’ennesima discussione si protraesse a lungo, visto che i due piccoli discutevano praticamente su tutto.

E venne il turno del terzo piccolino.

Minghiaril consegnò la tavoletta completamente vuota. Niente, neanche un segno la ornava. Alle rimostranze del maestro che gli domandò cosa avesse fatto durante tutto quel tempo, il piccolo rispose che aveva disegnato un bosco rigoglioso pieno di operai al lavoro che si davano da fare per edificare una nuova città. Ma ad un certo punto gli alberi erano stati abbattuti per costruire la biblioteca di Cool, e gli operai avevano cominciato a sentire l’afa sotto quel sole cocente e senza nemmeno un albero sotto cui ripararsi. A quel punto si era sparsa la voce che Bighino stava assumendo personale per la sua spedizione, ed ecco che nel suo foglio non c’era rimasto più nessuno. Niente. Un foglio bianco.

Il maestro scosse il capo. Piccolo Minghiaril, tu non hai alcun talento, se non quello di costruire frottole sulla tua mancanza di attitudine. Ravvediti, e vedi di studiare come Cool e Bighino. O per te non resteranno due alternative: andare a spaccare sassi nelle cave di tufo nell’entroterra, o la carriera politica.

Per cui studia, piccolo mio.

Dieci piccoli indizi: quattro di coppe

Lascia stare quella fionda, vieni con me che ti insegno a preparare la minestra. Smettila di arrampicarti sugli alberi che ti straccerai quel così bel vestitino! Non è così che si comporta una fanciulla onesta. Sono affari da uomini.

Le voci che si rincorrevano nella sua testa rischiavano di farle perdere la concentrazione. Il busto nel quale aveva stretto con fermezza il petto le doleva ogni volta che respirava. Non poteva mollare adesso. Non dopo tante fatiche. Alzò il capo con fermezza e tese la corda dell’arco. Si era esercitata ore per quel momento e non poteva mancare all’appuntamento con il destino.

Come ogni anno il villaggio di Yarubbedd si era preparato a festeggiare l’arrivo della primavera con il torneo che avrebbe dovuto selezionare le due guardie d’onore. A dire il vero l’operoso e pacifico popolo degli Sparatrapp, piccoli e longevi ometti dediti a quel poco che l’agricoltura offriva sull’isola di Apul, non aveva neppure un vero e proprio esercito regolare. Semplicemente, confidavano sullo spirito combattente degli amici gnurket che abitavano la vicina Tardnuestr e con i quali intrattenevano buoni rapporti commerciali.

Però la tradizione imponeva, ogni anno, la scelta di due giovani guardie alle quali sarebbe stata assegnata la difficile missione di organizzare le difese o intraprendere pericolose avventure, nel caso questo si fosse reso necessario. Dovevano essere pronte a tutto per proteggere il tesoro che i monaci sparatrapp conservavano tra le mura del loro convento: la biblioteca sacra.

Alla competizione potevano partecipare tutti i ventenni in salute: fedeli alle tradizioni e diffidenti nei confronti di qualunque novità, gli Sparatrapp avevano da sempre escluso la possibilità che alle gare partecipassero anche delle donne. La prima gara, che si svolgeva nel primo mattino, consisteva in una corsa intorno alla città: bastavano due giri a dimezzare i concorrenti, anche perché in molti si iscrivevano solo per compiacere i genitori e dopo un giro si arrendevano senza troppi rimpianti gridando per il fantomatico dolore. La seconda prova consisteva nella ricerca di erbe e bacche nei boschi vicini al convento, e secondo alcuni serviva soprattutto a rifornire le dispense dei commercianti del paese. Anche questa fu sufficiente a ridurre drasticamente il numero dei concorrenti, considerando poi quanto difficile fosse trovare qualcosa di vagamente commestibile nei boschi di Apul. La terza era la prova più temuta: bisognava dimostrare di saper nuotare, ma siccome il saggio e apprensivo monaco Cool, che presiedeva alla gara, non voleva che i giovani si allontanassero troppo dalla città, faceva svolgere la gara in alcune vasche per la raccolta di acqua piovana non distanti dal paese, e molti dei concorrenti rinunciavano ancora prima di immergersi, visto che l’acqua era gelida.

Nel pomeriggio erano rimaste in gara solo quattro coppie, rappresentate dai colori rosso, blu, verde e nero. I rossi erano alti e imponenti, i verdi li seguivano, mentre la squadra dei blu mostrava qualche incertezza, soprattutto in un paio di elementi abbastanza provati. Un discorso a parte andava fatto per i neri. Più minuti degli altri, apparivano piuttosto rigidi nei movimenti, anche per colpa di un goffo copricapo da cui non avevano voluto separarsi. Dal momento che non c’era un regolamento che impedisse di portare dei cappelli, nessuno aveva avuto da ridire, anche perché la coppia di valorosi concorrenti era riuscita a mostrare buone capacità natatorie nonostante quell’ingombrante turbante.

Quasi tutti i cittadini di Yarubbedd si erano radunati nella piazza principale. Le sfide a questo punto avrebbero coinvolto direttamente i partecipanti: dapprima con il classico tiro alla fune, che vide stravincere i rossi contro i blu, mentre i neri ebbero la meglio sui verdi solo per un soffio. Poi con la gara di arrampicata sugli alberi, in cui i rossi vinsero di nuovo nettamente, seguiti dai neri, dai verdi e dai blu. E infine, la prova con l’arco. Sembrava che i rossi fossero destinati a imporre di nuovo la loro prestanza atletica. Fecero il primo tiro, con un centro. Ma i neri risposero. Fecero il secondo, da distanza maggiore. Non un centro, ma un buon tiro. Non tanto quanto quello della squadra nera che fece centro di nuovo.

Terzo e ultimo tiro. Poteva rimettere in discussione la graduatoria definitiva: verdi e blu erano ormai fuori gioco, ma i neri avrebbero ancora potuto ribaltare la classifica, anche se occorreva un miracolo. Il tiro dei rossi, da distanza impossibile, fu molto buono. Era difficile chiedere di meglio ad uno sparatrapp: neppure un berfatt, da sempre i migliori arcieri di Apul, avrebbe fatto centro da quella posizione.

Non è così che si comporta una fanciulla onesta. Sono affari da uomini.

Il concorrente nero fece partire l’ultima freccia. Una traiettoria lunghissima, quasi una palombella, con la freccia che si innalzò verso il cielo, rimase quasi sospesa in aria prima di scendere con risolutezza e centrare il bersaglio. Tutti rimasero in silenzio. Nessuno aveva mai visto niente del genere.

Dopo qualche istante qualcuno gridò un “bravi!” dalla folla, e a quel punto l’applauso e le urla di gioia sembrarono colmare ogni imbarazzo.

Anche i due giovani concorrenti si lasciarono andare ad un abbraccio, ma nel farlo uno dei due perse il copricapo, lasciando intravvedere la folta e lunga chioma. Di nuovo il silenzio gelò i presenti. Non era un concorrente, quindi, ma una concorrente. Anzi due, perché anche l’altra liberò il viso. Due donne avevano vinto il torneo. Le due giovani sorelle Maskloan e Mustazz.

L’anziano Cool, che attendeva su un piccolo palco per procedere con la premiazione, rimase di stucco. Dapprima la rabbia e l’indignazione sembrarono prendere il sopravvento. Avrebbe squalificato le due partecipanti. Non si era mai vista una sfacciataggine simile.

Poi però, qualcuno, dalla folla, gridò “brave!”, seguito da nuovi e ancora più vigorosi applausi. C’era poco da fare, ormai, il popolo degli Sparatrapp aveva approvato la vittoria delle due ragazze, e opporsi sarebbe stato inutile.

Cool richiamò le due giovani fanciulle a sé. Con le labbra strette e le braccia dietro la schiena si sforzò di tenere un portamento che si confacesse all’occasione. Accanto a lui le due guardie in carica consegnarono le spade con il sigillo di guardie d’onore alla coppia che subentrava. Cool si avvicinò e strinse le mani a entrambe. Accipicchia, che brutto ventaccio, sussurrò stropicciandosi gli occhi prima che qualcuno potesse sospettare che il vecchio stregone si fosse commosso.

Leggi anche cinque di bastoni

Leggi anche Sei di spade

Leggi anche Sette bello

Leggi anche Otto di coppe

Leggi anche Nove di spade

Leggi anche Apertura e Re di denari

Ordina “Chiamami Legione” su Bookabook

Trovare il decimo

Gli uomini – e probabilmente anche qualche donna – già dal titolo avranno capito a cosa faccio riferimento. Nelle partite di calcetto giocate tra amici, di solito l’organizzatore arriva con scioltezza a convocare i primi cinque o sei fedelissimi, recupera con qualche telefonata gli altri tre, per poi trovarsi di fronte all’incubo che si materializza, inquietante come una raccomandata verde. Trovare il decimo.

Uno è fuori città, l’altro è infortunato, l’altro ha una moglie che preferirebbe lo tradisse con una cavalla del circo piuttosto che vederlo uscire di nuovo per il calcetto; trovare il decimo è più difficile di quello che si possa immaginare. Però non se ne può fare a meno: tra giocare in nove e giocare in dieci c’è un abisso. Non è una questione graduale: se una single non si accontenta perché non trova l’uomo bello, ricco, sensibile, intelligente, carismatico, disponibile, affettuoso, appassionato, che piaccia a mamma e ANCHE divertente, allora puoi dirle: e che cavolo, 9 su 10, accontentati. Che anche tu non che sei proprio Scarlett Johansson. Se fai una visita oculistica e ha nove decimi, cavolo, cosa pretendi, pazienza per un decimo.
Nel calcetto no, nel calcetto dieci è perfezione e gioia, nove disdetta e fallimento.

Ripensando alla ricerca del decimo, a quelle chiamate spasmodiche, a quegli sms inviati a persone che non vedi dalle elementari, a quell’anelito verso il raggiungimento dell’obiettivo, mi sono detto che in fondo una vita alla continua ricerca del decimo, per quanto stressante, è una vita degna di essere vissuta. In verità, il decimo lo cerchiamo continuamente. Lo cercava Colombo con le sue caravelle, Galileo si era dotato persino di un cannocchiale per individuarlo. Gli scrittori fallimentari come me lo cercano in quella frase ad effetto, in quell’aggettivo calato al posto giusto, in quella battuta che almeno per un attimo ti fa sentire meno fallimentare. I pittori lo cercano nella rifinitura che fa la differenza, i musicisti magari in un riff che spezza il cuore ai fan.

Cerchiamo il decimo quando ci impegniamo per raggiungere una posizione lavorativa ambita, quando mangiamo biscotti integrali senza zucchero per far vedere a quei maledetti trigliceridi chi è che comanda, cerchiamo il decimo quando mandiamo un messaggino all’impiegata del palazzo di fronte che abbiamo incrociato al bar e che da mesi non abbiamo il coraggio di invitare fuori. Ed è bello, cercare questo decimo, sperare, incrociare le dita. Che poi si vinca o si perda non ha importanza.

Quello che conta è non mollare, non mandare all’aria il calcetto, sia vero che figurativo, e rassegnarsi a non giocare più. Perché il decimo può arrivare in qualunque momento, magari il ragazzino della partita prima, magari il figlio del gestore. L’importante è cercarlo fino alla fine.

Essi puzzano. Fenomenologia del rompiballe

C’è quello che si lamenta della temperatura inappropriata del vino dopo aver mangiato in una tavola calda di campagna. Quello che denuncia lo scandalo di una televisione senza Sky in una pensione due stelle sul lungomare. Quello che fotografa inorridito la crepa nell’asse di legno che ha trovato sotto il divano del bed & breakfast, e la pubblica chiedendo giustizia.

Davvero, non invidierò mai i gestori di alberghi, ristoranti, villaggi turistici, e in generale chi offre servizi al pubblico, a questo genere di persone. Visto che li definirei volentieri con epiteti da codice penale, qui mi limiterò a chiamarli puzzoni, perché questa gente lascia con sé una scia di rancore, rabbia, frustrazione, una scia nauseante ovunque essi passi.

Occupandomi di comunicazione istituzionale, conosco benissimo questi individui. Più gretti, avidi e di orizzonti limitati sono, più si lamentano, e scrivono, e blaterano.

Però noi dipendenti pubblici in un certo senso ci abbiamo fatto il callo, agli insulti di chi si sente offeso se, maledetti burocrati. pretendiamo che si paghi il bollo se dovuto sui certificati, alle urla di chi si lamenta che l’ufficio non è aperto il giorno in cui lui ha deciso di presentarsi senza prima consultare niente e nessuno, alle minacce di chi non paga le tariffe scolastiche perché risulta nullatenente e manda la badante a prendere i figli all’uscita di scuola con il suv.

Però per i gestori di pubblici esercizi privati deve essere davvero dura, perché non è che possono mettere la foto di un rompiballe e scrivere “io non posso entrare” alla porta. Grazie ad internet questa fanghiglia adesso emerge, ma c’è sempre stata. Prepotenti che pretendono uno sconto perché non hanno gradito l’aperitivo di benvenuto, sociopatici che non tollerano la dimensione della stanza che non corrisponde a quello che hanno visto sul depliant, peccato che sul depliant abbiano ammirato la “suite deluxe splendor” per poi prenotare una più economica “small nofrills ex-sgabuzzo delle scope ma se a voi va bene pure a noi”.

Un film di fantascienza anni ottanta, “Essi vivono” di John Carpenter, raccontava di una invasione silenziosa di alieni, che potevano essere individuati solo grazie a speciali occhiali. Ebbene, gli occhiali per smascherare i puzzoni li abbiamo, è internet. Se solo potessimo lasciarli fuori, dai ristoranti, dai servizi pubblici, dalla vita civile, quanto saremmo tutti più felici?

Purtroppo non si può, e non ci resta che annusare l’aria intorno a noi, e prendere le distanze appena ne individuiamo l’olezzo ributtante.

Io e il mio scaldacollo

Il nostro amore è nato in maniera tardiva, e come tutti gli amori maturi è risultato essere più profondo e completo. Una mattina lo trovo sul divano, solo, trascurato: mia moglie mi spiega che è un regalo per mia figlia, che l’ha rifiutato. Lo scruto, ne prendo le misure, mi ci butto a capoffito, e da allora siamo inseparabili, io e il mio scaldacollo.

L’unico rimpianto è quello di averlo scoperto ben oltre i quarant’anni. Perché lo scaldacollo prima di tutto scalda sul serio, e questo, per un pugliese che lavora sull’Appennino, è un dettaglio fondamentale. Poi perché non ti scappa via nel vento, è avvinghiato a te e non ti tradisce come certe sciarpette infingarde. Sì perché io con le sciarpe ho sempre avuto un rapporto conflittuale: troppo corte, tanto da non riuscire nemmeno ad annodarle per bene, troppo lunghe, con il risultato di penzolare svogliatamente fino ad andarsi a impigliare nella cerniera del giaccone. E il nodo, poi? Quello doppio che fa tanto modello Armani ma produce un cappio che nemmeno negli spaghetti western di peggior livello, quello singolo che ti finisce dietro la schiena dando di te l’immagine di un labrador che è scappato al guinzaglio. Certo, la sciarpa puoi sempre portarla sulle spalle senza legarla, ma stiamo parlando di Appennino, e la bronchite è dietro l’angolo che ti aspetta sorniona.

Con lo scaldacollo tutto ciò appartiene ad un passato lontano che non tornerà. Se ho voglia di starmene da solo, posso addirittura tirarlo su con uno stile rasta fricchettone, e nessuna vecchietta in treno oserà attaccare bottone.
L’unico problema è che arriverà la primavera, e io e il mio scaldacollo dovremo separarci, fino all’autunno prossimo. Almeno che non ne trovi una versione in cotone da indossare in spiaggia.

Top ten dei motivi per cui un single deve essere felice a San Valentino

10. Se i centri commerciali preparano prodotti monoporzione, vuol dire che tu sei importante per l’economia
9. Per lui: se non ci fossi tu a organizzare, i tuoi amici non giocherebbero a calcetto
8. Il coprisedile del passeggero della tua auto è praticamente nuovo. Fra un po’ puoi scambiarlo con quello del guidatore e andare avanti un altro anno
7. Puoi vedere quello che vuoi in tivù ogni sera, o anche guardarla mentre è spenta solo per il gusto di farlo
6. Nessuno finirà il tuo citypass poggiato sulla libreria lasciandoti a piedi quando meno te lo aspetti
5. Per lei: se non ci fossi tu a invitare fuori ogni tanto le tue amiche impegnate, probabilmente non sarebbero più impegnate
4. Niente cioccolatini, fiori o bigliettini, l’unica cosa che devi ricordare di comprare oggi è la carta igienica, è finita e non puoi continuare ad arrangiarti con i kleneex
3. Quando compri un biglietto aereo devi compilare un solo form. Anzi, nemmeno quello, perché il tuo pc ha memorizzato tutti i tuoi dati
2. Non devi avvisare nessuno se vai a letto tardi, sempre che sia tuo il letto, sennò meglio chiedere prima il permesso
1. Puoi cantare le canzone di Gabbani senza prima dover aprire al massimo il getto della doccia

Le testine si allineano, le teste pensano