Come inviato in Messico per la Talpa, o in Brasile per la Fattoria, o in un ipotetico reality show in Lapponia sarebbe perfetto. Già lo vedo abbronzato, con il sorriso belloccio, la giacchetta disinvolta mentre scatena bagarre in studio cambiando opinione ad ogni puntata. Oppure me lo immagino mentre riferisce ai concorrenti notizie e informazioni inventate per poi smentirle il giorno dopo e ribadirle dopo due giorni. Ma sarebbe fantastico anche nel dirigere un talk-show, assolutamente imparziale visto che nessuno sarebbe in grado di capire da che parte sta: da tutte e due, probabilmente. Sarebbe l’erede perfetto di Biscardi, con la sua capacità strardinaria di friggere l’aria e distribuirla al popolo come se si trattasse di meditazioni illuminate; e, restando nel mondo del calcio, sarebbe il presidente ideale, sempre pronto a trovare colpevoli e dichiarare vittoria dopo una retrocessione. Insomma, ci sono migliaia di professioni in cui Rutelli riuscirebbe meglio che in quella di politico. Troviamogliela, lanciamo una petizione, una rraccolta firme per cercargli un nuovo impiego. E la vittoria del centrosinistra sarebbe certa.
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Benvenuti in Italia
La Sicilia è la terra di Peppino Impastato, Falcone, Borsellino, e tanti altri eroi che non sto a citare, e solo per questo merita un rispetto e un amore immenso. Però però, capperi, con una condizione economica disastrosa, con un governo evidentemente in difficoltà, con un clima politico straordinariamente favorevole al centrosinistra, conferma (con qualche scalfitura, ma niente di rilevante) la sua fiducia nella destra. Conferme in particolare l’operato del governatore Cuffaro che molti ricorderanno in una vecchia puntata del Maurizio Show contestare violentemente Giovanni Falcone perché il magistrato a suo dire offendeva l’immagine della Sicilia (si è ripetuto anche più recentemente contestando Report reo di aver detto che in Sicilia c’è la mafia). C’è chi ha fatto notare che senza la Sicilia l’Italia sarebbe stata governata per 50 anni dalla sinistra: ragionamento un po’ stucchevole perchè si potrebbe dire il contrario eliminando l’Emilia Romagna, ma insomma, l’idea è chiara: il clima politico italiano, quella rabbia e quella insoddisfazione diffuse da Trento a Reggio Calabria (avvertito anche da Lombardia e Veneto) non influenza lontanamente l’isola che vota soddisfatta il centrodestra. Come se la Sicilia fosse un posto a parte.
Gli eroi sono evidentemente lontani, mentre mi balza agli occhi l’immagine di una scritta visibile dal traghetto quando si approda in Calabria (vista in tivù perché di persona non ci sono mai stato): benvenuti in Italia.
Contenti voi, amici siciliani…
Alla salute
Immaginate di fare l’esame per la patente di guida: non siete granché capaci, finite contro un marciapiede, sbagliate parcheggio e non date la precedenza. L’ingegnere della motorizzazione vi guarda esitante, coglie il vostro orgoglio ferito, e vi dice: mi dispiace ma la devo bocciare. Se vuole però posso darle il brevetto da pilota.
Oppure pensate di aver concluso un anno, anzi cinque anni di liceo in cui avete studiacchiato poco e male, avete preso brutti voti e vi siete salvati sempre in extremis. Arrivate impreparati all’esame di stato, e venite bocciati. La commissione, però, dopo lunghe discussioni, decide che sì, il diploma di ragioniere non può darvelo, ma in compenso puà darvi una laurea triennale.
Praticamente è quello che è successo a certi governatori bocciati dal voto popolare e riemersi rapidamente come ministri. Come può un politico, anziché riflettere su una sconfitta (anche se di misura, anche se condizionata, anche se limitata), su un elettorato che non l’ha confermato, accettare subito una responsabilità di governo?
Può, può. Alla salute. Non la nostra, temo.
Taranto, la pecora nera
La vittoria del centrosinistra alle ultime elezioni è talmente schiacciante da avere pochi precedenti, un terremoto così non s’è mai visto. Su questo siamo tutti d’accordo. Eppure, in questo orizzonte rosso che si espande sopratutto al meridione, una pecora nera c’è: a Taranto ha vinto, anzi stravinto, il centrodestra, con oltre il 57% dei voti al primo turno. Non vivo più a Taranto ma ci torno spesso, e un’idea di questa vittoria me la sono fatta. Il sindaco riconfermato, Rossana Di Bello, ha una personalità forte, carismatica, ha mostrato la sua autonomia in tempi non sospetti (espose la bandiera della pace dal comune contro il parere del suo partito, Forza Italia, e con quel gesto raccolse le simpatie di molti elettori del centro-sinistra) e ultimamente anzi l’ha rafforzata, presentandosi con una lista civica. A questa simpatia naturale aggiunge anche l’indubbia capacità dimostrata di rilanciare il centro storico, grazie ai finanziamenti europei del progetto Urban II, e un’immagine incontestabile di signora per bene che in una città che è stata per anni governata da Cito non è così scontata. Dunque, una vittoria della persona più che della coalizione? Difficile da dire, visto che i partiti della coalizione hanno addirittura ricevuto più voti del candidato sindaco. Secondo me si è trattato soprattutto di una sconfitta del centrosinistra locale, che nonostante il voto nazionale favorevole, nonostante il voto regionale sorprendente, nonostante, non dimentichiamolo, l’anno scorso il vicesindaco e onorevole Tucci fu sconfitto alle provinciali, è riuscito ad essere talmente litigioso e pasticcione da risultare, in fin dei conti, invotabile. Bertinotti accetta Prodi ma Voccoli non accetta Ostillio: la vergognosa prova del centrosinistra tarantino si sintetizza così. Il candidato Vico ha la sola colpa di aver accettato una candidatura masochista l’antivigilia di Natale (se questi programmano così la campagna elettorale, avranno pensato i tarantini, figuriamoci come governano). Auguri al sindaco Di Bello, allora: ora che i fondi europei sono finiti, che regione e provincia non sono più così accondiscendenti, dovrà davvero dimostrare il suo valore e far vedere di essere capace di favorire la nascita magari qualche posto di lavoro oltre che di fiori di plastica in centro. Lo dice uno che vede sempre più tarantini lavorare a Bologna, il che fa piacere perché ci teniamo compagnia, ma insomma, non è proprio un buon segno…
La sinistra vince ogni morte di papa
La battuta del titolo è agghiacciante e circola da un paio di giorni però non ho saputo resistere. Le elezioni regionali si sono concluse e per una volta non assistiamo alla solita pietosa scena in cui tutti hanno vinto. 11 a 2, 52% contro il 44% è un risultato che non ammette giochi di parole, stavolta il centrosinistra, o l’Unione come si chiamerà nei prossimi mesi (se non cambiano idea prima) ha vinto. Ferrara l’altra sera c’ha provato, commentando i dati, a soffermarsi sul consolidamento della Cdl in Veneto e Lombardia, che stanno diventanto un equivalente blu delle storiche regioni rosse (Emilia, Toscana, Umbria, Marche). Contento lui. Berselli, onorevole di AN, commentava la straordinaria vittoria del suo partito a Montefiore, piccolo comune vicino Rimini, su una di quelle emittenti locali che di solito propongono coltelli miracolosi e creme scioglipancia (speriamo tornino presto al posto di Berselli). Altri esponenti del centrodestra, un po’ più realisticamente ma solo un po’, hanno semplicemente affermato che è tutta colpa della congiuntura economica, come se la congiuntura economica fosse un terremoto o un evento sovrannaturale. Tra le tante ipotesi, io aggiungo la mia modesta opinione: l’Italia è sostanzialmente spaccata a metà, se stavolta molti elettori non hanno votato a destra è perché ci sono tante brave e oneste persone genuinamente di destra che credono nella nazione, nella concorrenza, nella libertà. Di fronte ad un governo che ci spacca in microstati, sostiene gli oligopoli e toglie la libertà di parola a chi dissente, queste persone hanno detto basta. Sono le brave e oneste persone, di destra e di sinistra, la base della democrazia, non le gigantografie ritoccate. Se c’è qualche volontario che vuole spiegarlo al primo ministro si faccia avanti…
Io non mi astengo
Questo per i cristiani è un periodo molto importante, il periodo del silenzio, del dolore, della meditazione. Il venerdì e il sabato santo sono giorni di riflessione. Allora voglio approfittare per riflettere su un tema su cui recentemente siamo stati chiamati in causa come cristiani: quello dei referendum e dell’astensione più volta richiesta da Camillo Ruini. Non entro nel merito della questione etica. A me interessa il fatto che Ruini non abbia chiesto di votare no, come sarebbe stato lecito attendersi, ma ha chiesto di astenersi. Io non mi asterrò. Non mi asterrò perché l’astensione l’ha chiesta Camillo Ruini, al limite la CEI, non la Chiesa. Non stiamo parlando di dogmi di fede, qui, inutile chiedere l’obbedienza per gli spazi dove invece deve muoversi la scelta di coscienza individuale. Diciamo che quello di Ruini è un consiglio. Lo ringrazio, ma no. Non lo seguirò, non mi asterrò. Perché astenersi è politicamente corretto ma subdolo, è astuto ma poco limpido. E poi gli inviti all’astensione mi ricordano certi politicanti da prima repubblica a cui non voglio accostare neanche per errore le personalità ecclesiastiche.
Andrò a votare e invito tutti a farlo, indipendentemente dal sì o dal no. In democrazia vincere non significa far perdere.