Spesso si parla di costi della politica: parlamentari, consiglieri regionali, sindaci. Che costano un sacco di soldi e in tempi di crisi andrebbero ridotti, è vero, e lo sanno tutti. Quello che non tutti sanno è che a costare tanto non sono i politici eletti, ma quelli trombati. Si perché un candidato senatore, o presidente di regione, che per mesi ha battuto il territorio, ha tenuto comizi, conferenze stampa, partecipato a dibattiti pubblici, non è che se lo faccia per la gloria. Anche perché se perde di gloria non ce n’è tanta. E allora poi bisogna sistemarlo in qualche modo. E come? Be’ in qualche ente pubblico, soprattutto quelli di cui nessuno sa niente e che costano all’Italia miliardi di euro ogni anno (lo sapevate che esiste una società per la gestione dell’aeroporto di Pavullo? Peccato che non esista l’aeroporto, o meglio che serva solo come scuola di piloti di aliante…ma è solo un esempio, a Grottaglie c’è una delle piste più lunghe di Italia, di sono dipendenti e strutture ma l’aeroporto è chiuso al traffico civile per l’opposizione dei politici di Bari). E il bello che mentre per gli enti pubblici ci sono norme sulla trasparenza per cui almeno un concorso per essere assunti bisogna farlo, in queste aziende municipalizzate si possono assumere amici, parenti e parenti di amici. Tanto sono spa, o srl, di diritto privato, in cui l’unico ruolo del pubblico è pagare.
Io ho una soluzione per questo problema. Eleggiamoli tutti. Basta candidarsi, e l’elezione da qualche parte è sicura.
Sembra una follia? Vi assicuro che ci costerebbe meno
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E chi li conosce?
I pubblicitari li chiamano teaser. Sono campagne che servono solo a incuriosire, stuzzicare l’opinione pubblica, senza chiarire troppo il messaggio. Dopo il teaser c’è il follow-up, la campagna pubblicitaria vera e propria che nei colori e nello slogan deve richiamare il teaser che l’ha preceduta. Uno strumento rischioso, sicuramente, di cui si ricordano errori clamorosi (la Mercedes organizzò una campagna di teaser che anticipò di un anno l’uscita della Classe A, poi quando la macchina fu presentata si scoprì che si accappottava in curva). L’idea comunque è vecchiotta, molto sfruttata, e se non c’è un lavoro di creatività fatto bene, allora non funziona. Spesso viene associata al guerrilla marketing, cioè a quelli strumenti di comunicazione non convenzionale che si basano sull’idea di diffondere una leggenda metropolitana o del coinvolgimento involontario dei media per svelare un mistero dietro il quale c’è una operazione commerciale.
I geni del PD hanno usato entrambi questi strumenti. L’hanno fatta in maniera mediocre, ricalcando cioè cliché già abbastanza usurati, senza quell’audacia e quella voglia di osare che devono essere alla base di questi strumenti. E anche da un punto di vista esecutivo, teaser e follow up sono davvero scarsini. Ma il punto non è questo, in fondo chi li accusa esagera, a parte il fatto di aver appeso abusivamente i manifesti (pratica che ha svelato la loro natura politica visto che sono i politici a non pagare mai per le affissioni), per il resto la campagna ha attirato l’attenzione, tutto sommato non è stato questo flop di cui parlano tutti. Il punto è: perché devo usare strumenti che servono tutto al più a vendere scarpe e bevande analcoliche per promuovere il tesseramento ad un partito?
Su quali valori si basa un partito che cita le commediole hollywoodiane e si propone con una grafica che ricorda le patatine fritte più economiche?
Se vogliono conquistare i voti dei giovani di sinistra, cerchino di spiegare perché mai i giovani di sinistra dovrebbero votare per Enrico Letta. Quando avranno trovato una sola ragione, allora potranno farne la base per una campagna di abbonamenti.
Una massa marroncina
In principio c’erano dei tasselli di cera pongo, o come la chiamano adesso, di diversi colori: giallo, arancio, rosso, verde. Poi le manine allegre della giovane impastatrice ne fanno un’unica, indistinguibile, enorme massa marroncina. E allora occorre coinvolgere il giovane papà, e chiedergli di ripristinare lo stato iniziale. Non si può, le ho spiegato: una volta che i colori si sono mescolati, non è possibile ritornare allo stadio iniziale. Delusione sul viso dell’erede che fa i primi incontri contro l’inesorabile irreversibilità della vita.
E mentre il giovane papà osserva la palla di colore indistinto chissà perché gli viene in mente l’attuale parlamento…
26 volte no
Non è un momento facile per i sindaci e gli amministratori pubblici in generale, ma di certo i primi mesi della giunta Merola non lasceranno un segno positivo della storia del Comune di Bologna. Alla faccia del rispetto della costituzione, che a sinistra si sbandiera solo quando serve a colpire Berlusconi, il Comune infatti ha esordito con una serie di assunzioni che se ne infischiano dell’articolo 97 della Costituzione. Niente inutili concorsi, graduatorie, esami, gli assunti li sceglie il direttore generale con contratto privatistico, tanto sono a tempo determinato.
Ma il colpo più grosso per chi – come il sottoscritto – aveva ben altre aspettative in questa giunta l’ha assestata la “riqualificazione” di piazza Minghetti, che in questa foto del Resto del Carlino vedete com’era prima del passaggio delle ruspe selvagge del Comune. Il giardinetto è scomparso, e con esso 26 – ventisei – alberi che davano ossigeno alla piazza.
Tutto in nome di un urbanizzazione incomprensibile: e da quando ai pedoni non piacerebbe più il verde? E c’era proprio bisogno di un’altra piazza di mattoni e cemento a pochi metri da piazza Maggiore e piazza Santo Stefano? Niente da fare, i 26 alberi se ne sono andati, e con essi, se le cose non cambiano e in fretta, anche un bel po’ di voti per questo centrosinistra…
Assenti perché in convention
Ci sono le feste, e poi i meeting, e poi i tradizionali congressi, e poi i convegni, le fiere e i raduni. Fateci caso, ma non c’è giorno che passi che non si assista in qualunque telegiornale al rituale della sala gremita a battere le mani a questo o quell’altro politico.
Un evento organizzato bene può costare dai centomila euro in su, E chi li paga, mi domando? Come mai queste forme di comunicazione dispendiose non vanno mai in crisi?
E poi, fateci caso, nessuno che parli mai di sè e dei propri errori, sempre pronti a puntare il dito contro gli altri. I politici parlano della crisi del commercio, i commercianti della crisi industriale, gli industriali parlano di qualunque cosa li tenga lontano dalla loro industrie. Ci avete mai fatto caso? La Marcegaglia critica la manovra del governo dal convegno dei produttori di dentiere usa e getta, la Marcegaglia dà un ultimatum al governo dalla fiera dei tessicoltori di alghe, la Marcegaglia chiede maggiore coraggio al governo dal meeting dei commercianti di perline.
Ma un giorno in azienda ci staranno mai questi industriali?
E soprattuto, una buona volta vorranno fareun po’ di autocritica, anziché prendersela sempre con gli altri? Si riempiono la bocca di meritocrazia. E già. Che azienda dirige la Marcegaglia? La Marcegaglia SpA. Ma che coincidenza, si chiama come lei! Sicuramente però il suo ruolo è solo legato al suo merito. E Marina Berlusconi, che rigide selezioni del personale ha superato per dirigere la Mondadori? E Lapo Elkann? Ha vinto un concorso che l’ha visto competere con altri centinaia di brillanti giovani per occuparsi del marchio Fiat?
Le aziende italiane spesso e volentieri danno l’impressione di essere strutture familistiche con una gestione del potere di stampo medievale che anziché domandarsi come mai la Apple non si chiami la “Jobs” sperano solo di sopravvivere riducendo pensioni e pausa pranzo.
Anzi, aboliamolo del tutto questo pranzo, tanto per loro c’è sempre il catering abbondante di qualche convegno…
Contro cosa scioperiamo?
Ai tempi del liceo la domanda “per cosa scioperiamo” era piuttosto frequente: infatti si poteva scioperare per la guerra in Iraq, contro il ministro della pubblica istruzione (ai miei tempi c’era, che nostalgia…) contro la sporcizia del bagno della palestra. O magari per tutte queste cose insieme.
Da lavoratore lo sciopero è molto meno leggero: costa un bel po’ economicamente e per tanti è anche una dichiarazione di “indipendenza” che i superiori tollerano male. Eppure, vent’anni dopo, anch’io mi sono chiesto contro cosa scioperassimo oggi: si perché ogni dieci minuti questa manovra economica cambia, e finisce per spiazzare gli oppositori. Molti oggi indossavano la maglia “siamo tutti partigiani”, stampata evidentemente quando ancora la festività del 25 aprile – poi ripristinata – minacciava di essere soppressa.
E molti altri striscioni facevano riferimento al contributo di solidarietà per i più ricchi, inserito, cancellato e forse poi rimesso. Un balletto indegno per uno stato civile. Perché qui non si tratta piùdi essere di destra o sinistra, qui si tratta di mera incompetenza. Non abbiamo di fronte Bismark, la Thatcher o Reagan. E neppure Andreotti, che mai avrei pensato di rimpiangere. Abbiamo di fronte un governo che naviga a vista, ossessionato dal fatto che l’orchestra continui a suonare che non vede l’Iceberg contro il quale ci sta conducendo….