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IN VINO VERITAS Incipit di Alessandro Bergonzoni

In vino veritas in lino terital, per ben bere ci vuole stoffa! Questo disse al parco Lambro re Usco, pronipote di Bacco da parte di nonna, nonna Astemia, in una notte in cui pioveva come al solito acqua. Re Usco, grande monarca e pensator di marca, ebbe un’idea metereologetilica che avrebbe mutato il corso della storia logica ed enologica mondiale: cambiare l’essenza della pioggia in quanto tale. Gli sarebbe piaciuto cioe’ in sostanza creare delle nuvole nerorosso che a contatto con fulmini venti e altri fenomeni elettrostatici irrorassero nientepopodimeno che vino.Re Usco allora un bel dì partì dalla sua villa al Parco Lambro per venire in Emilia ed iniziar certi esperimenti al riguardo ma nel traffico caotico di Modena si imbottiglioò (atavico presagio del suo fortunato futuro destino); stette quasi un anno e mezzo davanti ad un semaforo ovviamente rosso e praticamente invecchio’, imbottigliato, e bloccando per di piu’ tutti quelli dietro di lui, infatti faceva da tappo! Questa ben strana congerie di fatti fece si che…

…la sua idea fermentasse. Un po’ inacidito dall’attesa ma reso frizzantino dalle idee che gli balenavano per la testa inseguite dai pescatori di frodo giapponesi, Re Usco abbandonò per strada la macchina dopo averla sedotta (una torbida storia di autoerotismo) e si avviò a piedi per brevettare la sua idea. Il brevetto fu altresì lunghetto data la complessità del piano che sulle prime fu interrato ma poi riuscì a salire le scale del successo. Il progetto di Re Usco prevedeva di sparare nel cielo cannonate di alcol compresso e diffondere tramite un aeroplano succo d’uva liofilizzato che, mescolato alle poderose nuvole modenesi (provenienti tutte cioè da un podere di un amico di Re Usco, il famoso Podere è volere), avrebbe fatto piovere vino di prima qualità. Il getto d’alcol avrebbe dovuto essere maestoso e reale, Re Usco era ovviamente dalla parte del pro-getto ma tanti furono anche i pareri contrari al getto, finché non si raggiunse un accordo, il classico si- la -do (l’autorizzazione, ovviamente) strimpellato dai tecnici della regione.
Il primo lancio fu un disastro: la palla d’alcol compresso infatti centrò in pieno uno degli aeroplani che stavano diffondendo il succo d’uva, il pilota precipitò ma non fu necessario curarlo troppo perché era già ben disinfettato. Addirittura, sollevandosi dai rottami in fumo, l’aviatore ebbe modo di fare una battuta, ovviamente una battuta di spirito. La seconda cannonata fu deglutita prontamente da un piccione che si era posto sulla traiettoria e che svolazzò felice e inebriato. Re Usco e i suoi lo mandarono ovviamente a cagare e così fece prontamente il colombo che arrivò fino a Piazza Grande dove sfogò i suoi sfinteri fortemente sollecitati. Purtroppo l’attrito e dei vecchi problemi intestinali fecero un brutto scherzo al volatile che partì a razzo verso la ionosfera e finì sotto la tettoia di una stazione spaziale russa.
Di fronte a questi fallimenti Re Usco rimase senza parole: temeva che tutto finisse a tarallucci e vino, ma i tarallucci costavano cari e del vino neanche l’ombra. Persino la nonna Astemia cadde al suolo affranta, ma raccolse presto i suoi frantumi e si fece Animo che sopportò pazientemente (Animo era il cognome Giovanni Animo, un suo amante, un giovane pierre in co.co.co abituato a prestazioni professionali promiscue, pr appunto). Coraggio, fatevi Animo anche voi, gridò la nonna ai collaboratori di Re Usco mentre il povero Giovanni fuggiva disperato, temendo una conclusione grigia del solito rapporto in nero. Povero Giovanni, l’ultima volta che aveva chiesto a nonna Astemia di mettere nero su bianco il suo rapporto, quella vecchia libertina gli aveva proposto un suo amico senegalese. No, no, non mi interessa questo tipo di rapporto così leggero – tuonò allora Re Usco – io preferisco il cambio meccanico, e poi è risaputo che ho una marcia in più: questo rapporto non mi soddisfa. Dovremmo cercare una soluzione invece di sollazzarci! A proposito, c’è troppo sole, mi avevano promesso nuvole poderose, al podere mi sentiranno! La soluzione dov’è? No che non posso aspettare il prossimo numero, la voglio adesso! Ma sire, ribatterono i collaboratori, non cerchi di continuo la soluzione, si sa che non c’è soluzione di continuità! Qui va tutto a farsi friggere, altro che, ribatté Usco, ma la frittura senza un buon vinello è indigesta. E allora?
In Medio Stat Virtus, disse qualcuno, no, Virtus Stat in Serie B, rispose ridacchiando il re di chiara fama fortitudina, e l’arguzia risollevò il suo spirito. Risollevare lo spirito: ecco la soluzione, alcalina ovviamente. Non bisognava sparare l’alcol, né sul pilota, né sul piccione né sul pianista (che sul pianista non si spara mai) ma farlo salire dolcemente, in mongolfiera magari!
Presto fatto, Giovanni Animo – che visto la precarietà della sua condizione lavorativa si faceva da anni – fu issato su una mongolfiera e partì con il suo carico di alcol compresso. Anche Giovanni era piuttosto compresso visto l’esiguo spazio, ma giunto in cielo, cominciò a diffondere il suo alcol, come da contratto, in effetti era piuttosto contratto vista la posizione scomoda.
Il processo sembrò funzionare ma i tempi furono lunghi – i processi in Italia vanno sempre per le lunghe, è risaputo – e soprattutto Re Usco non aveva previsto il vento. Le nubi poderose, cariche di alcol e uva, infatti, diedero sì origine ad una pioggia di vino, ma più a nord, in Lombardia, dove le portò una perturbazione turbo che turbò non poco il re e suoi agenti (i reagenti, appunto) che reagirono male. Ad approfittare della situazione fu una famiglia di lontani cugini milanesi di Re Usco, gli Usconi, che approfittarono dell’ubriacatura del popolo per conquistare bellamente il potere (i Bei Re Usconi, appunto, fu il nome della dinastia che perdura tuttora).
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampone, pensò Re Usco a cui tutto quel trambusto aveva messo appetito, se poi con la gatta frettolosa ci stanno anche i gatti ciechi (o slovacchi, cambia poco) la situazione di complica, e per giunta non ci sono più l’inve, la prima, l’autu e questo è grave. Basta rattristarci, pensò Re Usco: l’ambiente non ha il senso dell’umorismo per cui con l’ambiente non si scherza. Il vino continueremo a farlo con i sistemi tradizionali, niente cannoni, uva in polvere e altre porcherie. Ho imparato la lezione, mi è costata cara ma le lezioni di inglese mi sono costate anche di più e non c’ho imparato nulla, per cui, si festeggi!!!
Tutto è bene ciò che finisce bene, dunque, a patto che non ci sia il solito sequel.

PS Di Giovanni Animo si sono perse le tracce (anche perché lasciarne in mongolfiera è piuttosto difficile). Pare sia riuscito a calarsi (un’ultima volta, prima di smettere e disintossicarsi) e abbia trovato un nuovo lavoro, sempre nelle pubbliche relazioni. Non è più un co.co.co: adesso ha un contratto a progetto, e non sa se esserne felice.

Era finita

Racconto premiato dal concorso “Come la tecnologia digitale ha cambiato la nostra vita” indetto da Repubblica nel 1999

La notte per me era stata lunga e silenziosa, come al solito.
Non dormivamo più insieme da tempo, ormai, da quando aveva deciso di cacciarmi via dalla sua camera da letto.

Il primo timido sole mattutino mi lasciò intuire che tra breve sarebbe arrivato. E così fu: apparve in pigiama, lo sguardo assonnato, la barba incolta. Bellissimo come sempre. Mi si avvicinò, guardandomi con aria distratta, e bastò un leggero tocco delle dita a farmi sentire elettrizzata. Cominciai a parlargli, ma lui non mi dava ascolto. Avrei voluto che non avesse occhi che per me, che si perdesse in me, e invece lui era sempre così distratto. Mi faceva sentire un inutile soprammobile…Il nostro rapporto sembrava destinato a finire irrimediabilmente.

Finalmente si girò a guardarmi, intensamente. Il mio sguardo magnetico si perse per un breve istante nel suo, sentii di essere finalmente riuscita a conquistare  i suoi magnifici occhi blu. Lo vidi avvicinarsi verso di me. Protese la sua mano, stava per toccarmi, rimasi rigida come sempre…Temevo e agognavo quelle cinque dita…Dapprima impallidii, poi fui colta da un terribile rossore. No, non potevo lasciarmi manipolare così da un uomo. Non ne aveva il diritto! Mi disse che ormai ero diventata vecchia…

Vecchia! A me!

Dopo tutto quello che c’era stato fra noi! E poi lui aveva molti più anni di me…Sapevo che fra noi sarebbe finita, ma non in quel modo orribile…Il suo tocco mi aveva messa in subbuglio, non riuscivo più a coordinare le parole…Era finita…
Lo guardai tornare tranquillamente a fare colazione, cinico e implacabile come sempre. Eppure eravamo stati così felici. Era finita…Mi guardò di nuovo, e fu sufficiente un gesto della sua mano a farmi sentire svuotata di ogni energia.
Tutto si fece buio, per me. Era finita.

Probabilmente mi avrebbe sostituita con un modello 20 pollici con Televideo

Sempre dietro

Sempre dietro. Sempre in seconda fila. Un destino segnato, il mio, sin dal primo giorno. Un destino ineluttabile, crudele, a cui non posso ribellarmi e a cui, tuttavia, non mi adeguo.

Perchè mi lamento, dici? Perchè? Fai in fretta a parlare, tu. Tu non sai, e neanche immagini, cosa significa stare dietro, sempre. In movimento o da fermi il mio destino è segnato, io sto dietro, senza neanche poter mostrare la mia vera pelle. Sempre dietro, a subire incredibili pressioni, eseguendo il mio lavoro con tutta l’elasticità di cui sono capace. Eppure non ho neanche il diritto di capire che strada sto seguendo, cosa mi appresta di fronte…Compiangimi, forza, già immagino il patetico sorriso che mi rivolgerai, accarezzandomi come le prime volte che mi vedesti. Tanto tu sai che ti starò sempre sotto, che non opporrò resistenza alle tue pretese…Non posso neanche legarti a me, come facevo con il tuo bambino.

Chissà, forse l’hai generato proprio grazie a me quel bambino…Cos’hai da ridere? Sei un uomo senza cuore, anche se, lo devo ammettere, hai un bel sedere… Avanti, chiudi la porta e vattene. Sei un peso di cui voglio liberarmi. Sì, perchè anch’io voglio provare la libertà… Sempre che esista la libertà per un povero sedile posteriore come me.

E adesso smettila

E adesso smettila, dai, non puoi proprio lamentarti di me. Semmai io, io dovrei lamentarmi! Ho dato il benvenuto in casa a tutti i tuoi amici. Anche perché io il benvenuto ce l’ho proprio scritto in faccia, è parte di me, non posso farci niente. E loro? Non hanno saputo fare di meglio che calpestarmi, senza ritegno, senza un minimo di senso di colpa poi. Ho sopportato il loro peso con dignità e fermezza. Sono sempre stato fuori dai tuoi affari privati, non ho mai avuto la possibilità di superare la fatidica soglia, sempre fedele.

Qualche volta mi hai fatto entrare, è vero. Ma per cosa? Per sbattermi sadicamente, senza pietà, per scuotermi con violenza, forse per sfogarti di chissà quali delusioni. E adesso hai pure il coraggio di lamentarti, di dirmi che sono ormai vecchio, spelacchiato, opaco. Parlo poco, lo so, sono un tipo sintetico, e con questo? Bella riconoscenza. Dai, avanti, vai in fondo, piuttosto che sentire le tue lamentele preferisco andarmene a vivere in garage. Però fammi una cortesia, non essere ipocrita.

Il prossimo tappeto che metterai sul pianerottolo comprarlo senza scritta stampata sopra.

Scacco matto

Che drammatica sciagura.

Quando la vita sembra seguire il felice corso che la benevola provvidenza gli ha destinato, quando schemi e regole prefissate sembrano avere la meglio sugli imprevisti scherzi del fato, due semplici parole possono annientare tutto. La battaglia era stata terribile. Quante morti, quanta distruzione. Dalla torre si potevano osservare i campi squadrati dove l’irreale tranquillità che segue i grandi sconvolgimenti lasciava i protagonisti di quello scontro immobili, rigidi, incapaci ormai di movimento. Persino quei fieri animali compagni dell’uomo in tante lotte e dall’uomo così facilmente manovrabili, i cavalli (quelli sopravvissuti), di solito così saettanti, rapidi nei loro salti, pronti a lanciarsi per primi nella mischia, se ne stavano fermi, esterrefatti.

Persino il viavai di pedoni che caratterizzava le zone del centro era stato interrotto da quella incredibile sciagura.

La guerra aveva sconvolto ogni simmetria, ogni ordine predefinito: solo il campo sembrava pronto a nuovi duelli e nuove sfide, quasi si sentisse estraneo alle sconfitte cui puntualmente faceva da scenario. La sciagura era arrivata improvvisa, imprevista, scioccante: i reali erano ancora circondati dai loro uomini di fiducia, e la regina in particolare sembrava più scintillante che mai nei suoi abiti  magnificenti: la battaglia sembrava così lontana dai fasti di corte…

Eppoi, imprevedibile e imprevista, la sciagura, sintetizzabile in due parole…
…scacco matto.

Io ti ucciderò

Io ti ucciderò.
Sarò crudele, spietato, implacabile. Voglio vedere il tuo sangue schizzare fuori dai tuoi miserevoli, leggiadri arti.
O è forse mio, quel sangue?
Ti ucciderò.
L’ultima notte trascorsa insieme è stata orribile. Sai che non sopporto il modo in cui mi tocchi, in cui ti fai sentire vicina, in cui sembri impossessarti del calore del mio corpo, della vita che mi scorre nelle vene…

Vuoi dei figli, vero? È per questo che mi fai soffrire così? Il mattino dopo posso ancora vedere i tuoi segni sulla mia pelle…Mi fai sudare, mi fai dibattere nel letto continuamente, su e giù…Ma non durerà a lungo. Sì, perchè io ti ucciderò. Ormai non sopporto più neanche i rumori che fai,

i tuoi movimenti così rapidi e imprevisti,
i tuoi impossibili voli pindarici…
Io ti ucciderò. Ti farò a pezzi, e nessuno potrà punirmi.
Nel nostro paese non è un reato uccidere una zanzara.