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Hero

Per fortuna c’è ancora gente come Tarantino capace di guardare cinema straniero (e per gli americani è davvero raro), innamorarsene, proporlo, dargli la platea che merita. Questo è il caso di Hero, capolavoro cinese che stupisce per la grazia con cui riesce a fondere i ritmi lenti e pacati del cinema orientale, una fotografia commovente, effetti speciali che riescono a non cadere mai nel ridicolo (anche se un paio di volte ci vanno vicino), gusto per il dettaglio (la fiamma delle candele, la sagoma lasciata dalle frecce, le foglie rosse…Da brivido). La storia è quella di un gruppo di eroi di Chao che, nell’estremo oriente di 2000 anni fa, si battono contro l’invadenza dei Chin, che poi effettivamente unificheranno i sette regni allora divisi che porteranno più o meno a ciò che noi chiamiamo Cina. Mentre sempre più spesso la televisione occidentale svilisce la tecnica di ripresa, il gioco di luci e la scelta originale del punto di vista (si pensi a sit-com con la camera fissa o alle fiction curate e precise ma senza una idea nuova che sia una), viene dall’oriente un maestro a ricordarci che la cinepresa è un pennello che può dipingere le nostre emozioni. Bellissimo film, che ci lascia tra l’altro una frase che rimarrà nella storia del cinema: pace sotto un unico cielo.

Kill Bill Volume I

Quentin Tarantino si deve proprio essere divertito un mondo, nel girare Kill Bill: si ha quasi l’impressione di scorgere l’entusiasmo del regista che cita a piene mani dal cinema orientale di serie B, che gongola nello splatter più truculento, che si sente perfettamente a suo agio tra teste mozzate, arti che schizzano via e sangue, sangue, tanto sangue.
La tecnica c’è ed è magistrale, dalla scelta dell’inquadratura al ritmo che alterna sequenze adrenaliniche a improvvisi rallentamenti, dalla musica anni 60 che si sposa benissimo con le immagini vivide e colorate, ai salti temporali che tanto piacciono al nostro regista. Un capolavoro, allora? Forse avrebbe potuto esserlo, se solo avesse avuto un minimo, vago, leggero abbozzo di sceneggiatura. Invece i dialoghi latitano, sono ridotti all’essenziale, quando ci sono funzionano nel gioco parodico “I più fortunati di voi che hanno ancora una vita se ne vadano finché sono in tempo, ma lasciate qui i vostri arti amputati, quelli ormai mi appartengono…”, insomma siamo distanti anni luce dai momenti migliori delle Iene e di Pulp Fiction. Tenete presente comunque che chi scrive ama molto la parola e molto meno le amputazioni sanguinolente, e questo può aver influito…

Gli incredibili

Torna alla carica la Pixar anticipando, almeno in Italia, il ciclone Shreck, e lo fa con un bel film sotto tutti i punti di vista. Molteplici le chiavi di lettura, come ormai succede sempre più spesso ai film di animazione: per i bambini è una bella storia divertente, con la tipica struttura delle storie dei supereroi gloria – decadenza – ritorno e rivincita. Per gli adulti numerosi i riferimenti ironici alla vita moderna (il cubicle del protagonista deve molto a Dilibert, mentre le storie familiari sono una concentrato ironico del conflitto al tempo della situation comedy). Terza e probabilmente non ultima possibilità di lettura è quella che possono dare gli esperti di fumetti: chi è cresciuto con la DC Comics e la Marvel non può non cogliere i riferimenti, le prese in giro e le strizzate d’occhio, dalle gag sui costumi pacchiani (e sui mantelli, probabilmente la scena più divertente del film) a quelle sui monologhi dei cattivi. Buoni e non invasivi gli effetti speciali, unica a non eccellere la colonna sonora, senza infamia e senza lode, anche se siamo tutti riconoscenti alla Pixar per aver eliminato le inutili canzoni con le quali la Disney è solita interrompere i momenti migliori dei suoi film.

Spider Man 2: solo un fumettone?

Il regista (Sam Raimi) è affidabile e ha rinunciato anche al suo gusto un po’ truculento per conquistare i bambini; il protagonista Tobey Maguire è credibile, non troppo muscoloso, non troppo finto, anche se soverchiato dal carisma della bella Kirsten Dust. La storia funziona, nonostante la vita sentimentale del nostro eroe sia esageratamente dilatata rispetto al fumetto, gli effetti speciali sono funzionali e si sposano bene con una New York affascinante, non si cade nella grossolanità di certi prodotti simili e persino un personaggio imbarazzante per il curriculum di chi l’ha ideato come Octopus sembra avere un senso. E allora, cos’è che non va? Sarà che vedere continuamente smascherato il nostro fa perdere un po’ di pathos, sarà che tutto ricorda troppo il primo capitolo, ma insomma, non si grida al capolavoro. Si potrebbe rispolverare addirittura la brutta definizione di “fumettone”, che non rende giustizia alla tecnica del fumetto, che spesso produce poesia come e più di cinema e letteratura.
Ma forse la verità è che a me piaceva chiamarlo Uomo Ragno, e il fatto che i guru del merchandising l’abbiano ribattezzato Spider Man per vendere zanetti uguali in tutto il mondo non l’ho proprio digerito…