Loro avevano capito tutto. Per i criminologi da salotto televisivo la tragedia di Avetrana (si perché è una tragedia, e non un “giallo”) non ha mai avuto segreti.
L’avevano capito che Sara era fuggita di casa perché avevano interpretato alcuni messaggi su Facebook da cui si captava la voglia di andare via. L’avevano capito che le fiaccolate non avrebbero scosso l’opinione pubblica perché il contesto era quello del sud omertoso. L’avevano detto, loro, che il ritrovamento del telefonino (lasciato per giorni davanti alla caserma e dentro un supermercato) era uno straordinario risultato investigativo. Avevano percepito, dal modo in cui lo zio apriva il cancello, l’esibizionismo tipico del maniaco sessuale. Avevano sicuramente realizzato che Sabrina erano coinvolta.
Come no.
Mi piacciono telefilm comme il Dottor House, The Mentalist, Castle, Lie to me, dove al genio di turno basta pochi dettagli per analizzare le persone e trarre deduzioni infallibili.
Ma non so voi, io nei salotti televisivi di geni in giro non ne vedo tanti.
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Bambini truccati
Non ho nulla contro la presenza dei bambini in televisione.
Sono allegri, mettono buon umore, e per loro – se non si esagera – una gita in televisione può essere una festa. MI piace anche sentirli cantare; ma mi piacerebbe che cantassero come davvero cantano i bambini, stonando, dimenticando le parole, muovendosi fuori tempo e interrompendosi per una risata.
Macché. I bambini in tivù sono più impostati di un tenore all’opera. E allora, almeno, chiedo che cantino quarantaquattro gatti, la bidella Candida o il torero Camomilla, e non le canzoni dei grandi, ammiccando, sorridendo maliziosi, vestiti e truccati come degli adulti.
Quei poveri bimbi finiscono per essere vittime sacrificali sull’altare di una televisione mostruosa che dimentica che siamo noi, che per salvarci, dobbiamo tornare come bambini, e non il contrario.
E se poi una ragazzina finisce coinvolta in un bunga bunga, ecco che tutti parlano del bunga bunga, e nessuno della ragazzina…
Da da da…dimenticare
Puntuale come le tasse e l’influenza, ogni anno eravamo pronti a sorbirci i soliti spezzoni dall’archivio Rai a ricordarci che è arrivata l’estate.
Il tuca tuca di Raffaella Carrà, qualche successo di Edoardo Vianello, se andava bene un pezzo di monologo di Troisi o Benigni.
Nell’era della Rai ufficio stampa del grande capo, persino quest’innocuo programma ha dovuto subire un restyling. Per cui adesso gli spezzoni dovrebbero seguire un filo logico (se si è persa la sigla iniziale può essere divertente indovinarlo, anche se è davvero difficile). Una specie di Blob all’acqua di rose, insomma, depotenziato, privato di valenza semiologica. La televisione del non-senso, insomma, perché anche quel montaggio che su Rai Tre diventa veicolo di nuovo messaggio qui si disperde nel nulla, in un pasticcio in cui la canzone dell’estate scorsa si sovrappone a Walter Chiari.
Il prossimo passaggio sarà il ritorno al monocolo, con una scritta al centro: passate al quinto canale.
GIusto nel caso qualcuno non l’avesse ancora capito.
Il festival ai tempi della lega
Panem et circensem, dicevano i romani.
Un po’ di circo serve a tenere buone le masse, visto che di pane ce n’è poco.
E l’ultimo circo ancorsa esistente è proprio Sanremo, in un tripudio leghista a cui mancavano solo le bandiere verdi. Perché dico questo?
Perché nell’era delle escort e delle massaggiatrici, l’unico momento di vero spettacolo è stato dato da una donna nuda in una coppa di champagne. Su Rai Uno! Ai miei tempi bisognava aspettare Colpo Grosso sulle emittenti locali.
Perché non c’è un annunciatrice, ma due tette con dietro una testa, quella rassicurante e un po’ stiracchiata della Clerici che, come fa notare un articolo di Repubblica, cita Morgan come se fosse Montale.
Perché tra gli esclusi ci sono due terroni come Nino D’Angelo e Toto Cutugno (soprattutto quest’ultimo però non ha fatto molto per evitare l’esclusione) e quel circolo di nostalgici monarchici che inneggia all’Italia unita in un tripudio alleanza-nazional popolare.
Perché ci sono giovinastri insulsi privi di talento ma molto intonati sfornati dai talent-show che servono a dare un’illusione ai precari narcotizzati dalla televisione.
Perché ci sono scampoli di sinistra (Cristicchi è l’unico raggio di sole in un questra brughiera nebbiosa) ma quando i Nomadi e Irene Fornaciari cantano "Perché il modo piange?" verrebbe da scuoterli e gridare: e ve lo domandate pure?
Perché la regia dà un colpo al cerchio e uno alla botte e regala un occhio di riguardo a Moro (split screen?) e al suo alter ego di destra Povia, meno orecchiabile del solito, la cui canzone probabilmente finirà come merita, sepolta da uno spesso strato di indifferenza.
Mentre un bell’assolo di basso riscatta una canzone di Ruggeri molto al di sotto della sua media e le coriste di Arisa strappano l’unico sorriso della serata, non resta che aspettarci la ronda finale che canti O mia bella madonnina e in un sussulto di orgoglio ci spinga a scuoterci e spegnere il televisore.
L’ha detto il telegiornale
Incidenti mortali, rapine, proteste per la crisi economica, scioperi, operai incatenati davanti alle fabbriche, criminalità organizzata all’opera.
Assisto scioccato ad una serie di notizie una peggiore dell’altra, non riesco nemmeno a rendermi conto di cosa stia succedendo. Poi afferro il telecomando e tutto si fa più chiaro: ma certo, che stupido.
Stavo guardando un telegiornale locale, uno estraneo alla poltiglia Raiset. Cosa vado mai a pensare.
Rimetto su Rai Uno, ed ecco che il soggiorno torna ad essere invaso dalle dichiarazioni di politici che affermano di avere ragione, dalle nuove collezioni primavera estate, dai consigli dello chef su come condire il tartufo e dai soliti risultati sbandierati dell’Auditel.
Tiro un sospiro di sollievo mentre le immagini delle boutique a Cortina d’Ampezzo piene per la settimana bianca mi tranquillizzano: va tutto bene, l’ha detto la televisione.
Quando anche i Teletubbies falliscono
Il giovane papà un po’ di ricordi sulle comunicazioni di massa ce li ha dai tempi dell’Università, e poi ha davanti agli occhi le immagini di bambini di pochi mesi imbambolati di fronte ai colori psichedelici di certe trasmissioni per l’infanzia.
Per cui si è procurato libri colorati, giocattoli, pupazzetti. Niente tivù. Poi però capita che siano passate le ventitre, la giovane mamma sia svenuta da qualche parte tra il bagno e la camera da letto e il giovane papà barcolli mentre i più piccoli scalpitino allegramente sul divano giocando a lanciarsi per terra. Allora ci prova,il giovane papà. Al diavolo la teoria ipodermica, al diavolo la scuola di Francoforte, al diavolo Popper. Chiede aiuto ai Teletubbies, i più hard-core tra gli stordisci bambini, o alla versione soft di Flimbles o dell’Albero Azzuro.
Macchè.
La giovane prole regge al massimo per un minuto, poi decide che era molto più divertente fare le capriole contro gli spigoli del tavolino o ingoiare pezzi di cartoncino. Forse i nostri figli non vedranno mai il Grande Fratello, sono una generazione oltre. Preferiranno fur paracadutismo senza paracadute o esplorare l’Amazzonia in skate.
Non so se per i giovani papà sarà tanto meglio.