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Delusione Coliandro (prima parte)

Non c’è nessuno che sappia meglio esprimere la delusione quanto un fan della prima ora deluso.
MI riferisco al primo episodio della terza serie de L’ispettore Coliandro, a mio modo di vedere il peggiore di quelli sin qui trasmessi. E per me, che ho amato questa fiction come poche in passato, è stato quasi doloroso assistere ad un episodio di una mediocrità imbarazzante.
Ci sono almeno una quarantina di motivi per cui non amo la regia dei Manetti Bros, primo fra tutti il peccato originale di tutti i registi presuntuosi, e cioè l’interruzione della sospensione di incredulità. Quando guardi un loro film, cioè, ad un certo punto capisci che stai guardando un film, a causa di una carrellata virtuosistica o di una steadycam fuori luogo. Ma loro sono fatti così, prendere o lasciare, e bisogna ammettere che sono al di sopra della media degli sceneggiati televisivi,sopratutto sono tra i pochi a saper gestire una scena d’azione sulla scia non tanto di Tarantino, citato spesso a sproposito, quanto dei migliori poliziotteschi anni settanta di Di Leo. Ma non sono stati loro a deludermi, anche se inscenare una rapina ad un portavalori sulla salita che porta a San Luca può risultare estremamente inverosimile per chi conosce Bologna. Ma immagino che sia costato meno girarla lì (di fatti è una strada praticamente deserta nei giorni feriali), e poi i portici fanno scena, e pazienza. Poi non li amo perché riempiono sempre i loro episodi di attori e intrepreti romani: risulta veramente insopportabile che in una serie ambientata a Bologna praticamente non ci siano bolognesi fra gli interpreti principali. Ma questo valeva anche per gli episodi precedenti.
A deludermi profondamente stavola è stata la sceneggiatura, da sempre il punto di forza di questa serie. (continua)

Fastweb TV: la tv degli snob

Fastweb Tv è la tivù per chi non sopporta nemmeno un minuto di pubblicità. Per chi non vuole perdersi nemmeno una battuta della propria serie televisiva preferita, e mette in pausa anche se si alza per fare una puzzetta.  Lla tivù on demand per eccellenza, vista la pochezza, per ora, di Alice. Offre buoni film compresi nel prezzo (non al livello di Sky ma niente male comunque, ha un’offerta ampia di canali tematici, serie televisive non nuovissime (siamo alla seconda stagione di Cold Case e alla sesta di La vita secondo Jim, tanto per dare un’idea), un parco completo delle fiction italiane (Coliandro, Montalbano e Mastrangelo sono dei must) e il vantaggio di non avere concorrenti. Perché anche al più risoluto appassionato di telefilm di Sky sarà capitato di perdere una puntata, o di ricevere una telefonata al momento sbagliato. Va bene che ci sono le repliche, ma il potere inebriante che danno i tasti play, pause, rewind e forward difficilmente può essere compreso da chi non ce l’ha.

Oltretutto, il vero snob con Fastweb può decidersi di comprare una partita soltanto di Sky o una intera giornata (costa una decina di euro). Per chi segue il calcio solo se non ha di meglio da fare, un ottimo compromesso. E poi ci sono i film a pagamento, la possibilità – unica – di vedere i canali generalisti via cavo (ma la qualità audiovideo è scarsa). E sopratutto, il re di tutti i servizi, lo scettro del telespettatore, lo champagne d’annata dell’amante dello zapping, il delirio di onnipotenza dell’utente snob: la replay tv. Tre giorni di programmi televisi generalisti da poter scorrere, saltando le pubblicità e conquistando una nuova dimensione dello zapping. Non solo quella spaziale, che permette di passare da La 7 a Canale 5 (ma più verosimilmente il contrario) ma anche quella temporale, che permette di recuperare certe perle di fuori orario o i programmi della mattinata del sabato. Con il gusto vanaglorioso di dire agli amici: non dirmi che ti sei perso quella puntata di… e la possibilità di sfogliare i programmi televisivi del giorno prima.
Che dire? Fastweb non costa tanto (dipende dal pacchetto, ma è difficile pagarla più di dieci euro al mese), ha dei grossi limiti tecnici per gli utenti adsl che alla lunga potrebbero svantaggiarla (niente hd, audio in cinque canali solo per pochi film) e i contenuti più succosi sono a pagamento. Ma, se non l’avete ancora capito, è la mia scelta, almeno fino a quando mi permetterà di andare avanti veloce nel telegiornale ogni volta che c’è il premier.

Sky: la crociera tutto incluso

Sul fronte dei contenuti, non c’è offerta televisiva in questo momento che si avvicini seppure lontamente a Sky. Rappresenta insomma "il benchmark", l’elemento di paragone con cui confrontarsi. Ha perso, sotto l’attacco di Raiset, i canali di Raisat, e non è una perdita da poco, ma resta comunque la sua un’offerta inarrivabile. Film, serie tv, programmi televisivi autoprodotti (e spesso di ottima qualità superiore a quelli delle televisioni generaliste), alta definizione, canali tematici per tutti i pubblici. SkyTG 24 è probabilmente il migliore telegiornale oggi disponibile, ed è un peccato che non sia più visibile in chiaro.
L’offerta di Sky sarebbe impareggiabile, se non avesse un grosso limite: è cara. Carissima. Cinquanta, sessanta euro al mese pesano parecchio sul budge familiare di una famiglia oggi.
Oltre tutto Sky mostra di credere poco nella pay-per-view, e soprattutto ha una offerta a pacchetti piuttosto "monolitica": o tutto il cinema o niente, o tutto il calcio o niente.
Che dire? In questo modo difficilmente conquisterà molti altri utenti oltre a quei cinque milioni di cui dispone oggi. Anche perché non c’è solo un problema di soldi, ma anche di tempo: tutta quella valanga di contenuti richiederebbe dieci vite per essere vista. E per chi si accontenta di un paio d’ore di tivù al giorno (perché va ancora al cinema, legge dei buoni libri, fa sport, vede gli amici o magari gioca ai videogames) il costo orario risulta veramente eccessivo anche per chi potrebbe permetterselo.

Alice Home TV: menù turistico insipido

Alice Home Tv più che essere un "provider" di contenuti, cioè un fornitore di programmi, può essere considerato un "carrier", cioè uno che si limita a fornire banda per contenuti di altri. Non è, come vedremo, del tutto vero, ma insomma, rende l’idea.

La principale ragione di esistere di Alice TV, a mio parere, è che permette di ricevere i canali di Sky senza parabola. Poi va detto è il più economico dei pacchetti, meno di 10 euro al mese, per cui non è che si possa fare tanto i pignoli. Oltre a Sky via cavo offre anche le funzionalità di decoder digitale terrestre, ma qui arrivano le dolenti note, perché per ora la videostation di Telecom fa veramente acqua da tutte le parti. Si blocca spesso, talvolta creando problemi anche alle connessioni Internet e telefoniche, e la qualità del video è veramente bassa (probabilmente per i limiti della rete telefonica). Se Mediaset è lo Sky dei poveri, Alice Home Tv è la versione scarsa di Fastweb Tv. Tutto sa di pasticciato, improvvisato, tirato via.
L’offerta di film on demand compresi nell’abbonamento è agghiacciante (vi dico solo che quest’estate tra i film Alice+, che dovrebbero essere i migliori, c’era "Due strani papà" con Pippo Franco e Franco Califano)! Un calderone di b-movies, cinema trash anni settanta e altri titoli messi più o meno a casaccio. In questo Alice TV è più carrier che provider: manca una guida editoriale, una linea, un’idea di pubblico. Per quanto banale, la divisione famiglia/donne/uomini di Mediaset funziona: qui ci troviamo insieme "Fratello sole, sorella luna" di Franco Zeffirelli e "Il medico… la studentessa" con Gloria Guida negli anni migliori. Un po’ meglio vanno i film da acquistare, ma a meno di 4 euro si compra molto poco. Scadenti anche le serie TV e le fiction offerte, se volete dare un’occhiata guardate al loro sito per farvi un’idea, poco anche per i bambini.
Alice TV è come uno di quei viaggi che costano pochissimo ma dove poi cercano di vendervi le pentole, sembra un menù turistico dove tutto e abbondante ma fondamentalmente insipido.
Non so fino a quando Alice manterrà questa linea anarchica (c’è anche una valanga di programmi inglesi non doppiati e qualche buon concerto…mah?) ma per ora non vedo proprio a quale utenza sia rivolta l’offerta (anche perché, al contrario di Fastweb, a parte Sky non offre canali via cavo, ma solo tramite digitale terrestre: per cui se non si ha una buona ricezione si è comunque esclusi). Non parliamo poi di alta definizione, qui anche la definizione standard è un sogno.

Che dire? Se volete Sky senza parabola e senza Fastweb, eccolo qui. Se non avete voglia di noleggiare o acquistare dvd, fateci un pensierino. Però tenetela nella stanza dei ragazzi o nella casa al mare, perché in salotto un giocattolone malfunzionante così proprio non ci sta.

Mediaset Premium: il chianti del Perù

Ho deciso di dedicare una breve rassegna alle offerte televisive a pagamento, visto che per vari motivi sono riuscito a provarle praticamente tutte. Non sarò obiettivo proprio per niente, ma quando mai lo sono stato? Cominciamo dal basso, e cioè da Mediaset.

Al di là delle antipatie ideologiche che si possono nutrire per questo servizio, visto il proprietario e le agevolazioni statali di cui ha goduto, Mediaset Premium è a mio avviso la più modesta delle offerte a pagamento presenti oggi sul mercato italiano (con l’eccezione forse di Dahila TV che però ha la scusante di essere nata dopo).

Fondamentalmente ha un’utente tipo abbastanza chiaro: l’appassionato di calcio che vuole risparmiare, quello che vorrebbe tanto Sky ma non può permetterselo. La forza di questa offerta infatti sta tutto nel pacchetto calcio, decisamente più economico rispetto all’offerta di Sky. Però è anche l’unica forza, perché in tutto e per tutto Mediaset Premium sembra uno Sky dei poveri: dalle inquadrature più tradizionali (mentre Sky offre anche delle panoramiche straordinarie) all’assenza dell’alta risoluzione, dalle serie americane di seconda scelta ai canali tematici così così,almeno per ora, tutto sa di completo dei grandi magazzini, di succedaneo del caviale, di Chianti del Perù, di villetta in multiproprietà. Tristissima l’offerta al di fuori del calcio, sembra messa lì giusto per dare una giustificazione ai mariti rispetto al resto della famiglia. La logica è quella trita dei tre canali fininvest di Freccero degli anni ottanta (ma allora era geniale): un canale per famiglia (allora Canale 5, ora Joy), uno per le donne (allora Rete 4, ora Mya) uno per gli uomini (allora Italia 1, ora Steel). La programmazione è quasi completamente dedicata alle serie tv più qualche film: niente che giustifichi un abbonamento, tuttavia. E soprattutto, niente programmi autoprodotti con qualche eccezione dimenticabile (il Grande Fratello e i programmi sportivi).
C’è qualcosa altro raccolto in giro (Cartoon Neetwork, PlayHouse, Hiro e Disnet Channel per i bambini, Studio Universal per il cinema).
L’unico vero canale che tuttavia si fa notare perché è valido è Premium Cinema, che però non ha il "doppione" posticipato di un’ora come Joy, Mya e Steel.

Che dire? Se non avete la possibilità di installare la parabola, non avete Fastweb né Alice TV e non potete fare a meno del calcio, ecco la vostra offerta. Altrimenti c’è di meglio.

La verità è un atto di amore

Diciamolo: dobbiamo ringraziare il signor Povia se con la sua canzone reazionaria qualcuno si ricorderà di questo festival. Il ritornello poi è orecchiabile, e siccome trovo desolanti le parole le cambio continuamente (Luca sta con Ray… è ritornato gay) e la canticchio distrattamente.
Se da un punto di vista spettacolare infatti questa edizione è fatta bene, ha ritmo, giusto equilibrio e soprattutto l’ottima idea di abbinare i giovani a vecchi marpioni come Pino Daniele, Zucchero o Vecchioni, soffermarsi sul valore delle canzoni in gara dei cosiddetti “big” dà credito ad un panorame di desolante mediocrità.
Renga imita Albano (e io ancora lo ricordo hard-rock con i Timoria ad una festa dell’Unità di 15 anni fa), Albano fa la caricatura di se stesso, Iva Zanicchi si propone con un pezzo sexy che sembra l’inno della tardona, i cantanti che dovrebbero piacere ai giovani (Afterhours e Tricarico) stonano impietosamente, Masini nasconde dietro il turpiloquio una vena creativa in deficit. L’unico personaggio simpatico alla fine di tutto risulta essere il nonno dei Gemelli Diversi che disertò il duce.
E allora ecco che si discute del brano di Povia: che non sia “solo una storia” come recita il testo ma la punta d’iceberg di un bubbone di un’Italietta retrograda spaventata dai tempi moderni lo si capisce subito. Il ricorso al rap, per esempio, evidenzia proprio il tentativo di dare una struttura da comizio al brano. Mentre in Italia ci stordiamo di reality show e cellulari, infatti, nel mondo un uomo di colore è presidente degli Stati Uniti, le donne cominciano faticosamente a conquistarsi il posto che meritano persino nei paesi arabi più oltranzisti, Internet svilisce il concetto di razza e nazione e dà origine a nuove forme di coalizione sociale. Il fondamentalismo confuso e new age di cui Povia si fa portavoce non può che essere stordito e irritato da tutto ciò, ma siccome cantare  contro le donne che anziché starsene a casa lavorano sarebbe troppo, meglio prendersela con i più deboli, e cioè gli omosessuali.

Che intende per famiglia tradizionale?
«L’uomo fa l’uomo e dà la guida spirituale, la donna nutre e alleva i figli. E insieme formano equilibrio e stabilità. Oggi, però, nessuno vuole fare la sua parte. Gli uomini si depilano» (…)(Dall’ intervista di Andrea Scarpa a Povia, su “Vanity Fair”)

Per questo a spaventare non è una piccola canzone il cui tema di fondo è il più vecchio dei luoghi comuni, cioè che l’omosessualità è una devianza del comportamento dovuto a problemi familiari, ma il rancore che sembra covare contro gli altri, gli invertiti, i diversi.
Ama e fa ciò che vuoi diceva Sant’Agostino: non c’è traccia di amore, nella canzone di Povia, è questa la cosa più triste.


“Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene”.

(Sant’Agostino, omelia 7 del 20 aprile 407)