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Per l’Auditel siamo in Cina

La battuta più simpatica sul festival l’ho sentita oggi alla radio e l’ha fatta il comico e musicista Patrucco. Ma se quindici milioni di persone erano davanti alla televisione, e altri venti milioni erano sparsi sugli altri canali, se aggiungiamo i tre o quattro milioni che guardavano Sky, quelli che navigavano su Internet, quelli che sono andati al cinema, al teatro o a farsi una pizza con gli amici, quanti diavolo sono gli italiani?
Miracolo dell’Auditel, per una settimana, a febbraio, siamo più numerosi dei cinesi.

In radio leoni, in tiv?… meno

Matteo Bordone filosofeggia da intelluale post-moderno alla radio (Dispenser)e poi in tivù si scaglia contro i genitori dei ragazzotti dell’X-Factor. Selvaggia Lucarelli che sul blog prende in giro le star del mondo televisivo e poi si specializza in nullogia, specie come commento ai reality show. Persino Cirri e Solibello di Caterpillar cercano di fingersi una Gialappas’ nazionalpopolare partecipando ad un’inguardabile programma del sabato pomeriggio su Rai 2.
Vabbé che bisogna portare la pagnotta a casa, vabbé che il medium fa il messaggio, ma perché andare in tivù per abbassarsi a quei livelli?

Come si scrive una fiction – quarta puntata

Preparata la scena e i protagonisti, veniamo ora alle storie vere e proprie. Dimenticatevi gli inseguimenti e le sparatorie, quelli costano troppo.
Nei film americani le auto prendono fuoco, in quelli italiani parcheggiano sotto il lampione mettendo in luce il logo fresco di restyiling. Al limite potrete chiedere al regista qualche movimento di macchina arrischiato e un po’ di montaggio alternato, ma in ogni caso inutile scrivere copioni per Hollywood se li spedirete a Cologno Monzese. Metteteci alberghi e località turistiche da cartolina (vedi prima puntata a proposito della location).
Preparate tre storie. La principale, che si esaurirà nell’episodio, con il cattivo smascherato alla fine. Una secondaria, di solito più leggera, divertente, che servirà come contorno, per spezzare il ritmo a quella principale e confondere un po’ lo spettatore che altrimenti capisce chi è il colpevole dopo dieci minuti. La terza storia invece sarà quella che di livello superiore che sarà il leit-motive di tutta la serie: una storia d’amore difficile per l’eroe, la rischiesta di un trasferimento, un conflitto interiore (non troppo profondo, per carità, non siamo mico Bergman, la fiction deve essere comprensibile anche mentre si lavano i piatti o si passa l’aspirapolvere).
Per la storia principale, ovviamente sceglierete subito un personaggio squallido, spudoratamente cattivo, con il quale distrarre lo spettatore, che però non sarà mai l’assassino. Potete seminare degli indizi da richiamare alla fine, alla Nero Wolfe.
Non rischiate troppo il colpo di scena: potrebbe finire dopo una pubblicità, e il vostro pubblico perderselo. Affidate la storia secondaria ad un collaboratore, che magari potrà aiutare l’eroe con una battuta da deus ex-machina. Occhio a non insistere troppo sulla terza storia: serve solo a tenere insieme le puntate, ma non deve essere troppo ingombrante.
La serie deve essere di facile compensione anche se lo spettatore si è perso la puntata perché è uscito o perché la nuova dentiera gli ha provocato un ascesso.

Come si scrive una fiction – seconda puntata

Eccoci al secondo appuntamento semi serio sulle tecniche di scrittura poliziesca per la tivù. Come si sceglie il protagonista? Intanto sarà un uomo, non di discute.
 Ci sono stati è vero casi di donne detective ma fanno poco audience, il pubblico televisivo italiano è quello che è il protagonista lo vuole maschio. Magari con qualche assistente donna più furba di lui, più intelligente di lui, più onesta di lui, ma sempre una spalla, che l’ispettore, il maresciallo, il commissario o chi per lui ha da essere maschio.
La paternità, e la familgia in generale, mal si addice al nostro eroe. Sciami di donne infatti devono cadere ai suoi piedi durante ogni puntata, e al pubblico perbenista piacciono i maschi ruspanti che hanno una donna per ogni puntata, a patto che non sia sposato. Per cui, il protagonista è un maschio, età tra i trenta e i quaranta, può avere una donna, che anzi servirà come file conduttore tra le puntate a riempire i vuoti e a metterci quel po’ di soap opera che tanto piace, ma non deve essere sposato.
Uno dei temi chiavi della fiction è che l’eroe è dedito al suo lavoro e non ha tempo per la famiglia; per una scappatella per ogni indagine, invece, sì. Non deve avere idee politiche troppo di parte ma essere imbevuto di buon senso facile facile tipo credere che i politici sono tutti corrotti, che i ricchi si drogano e non lavorano mai, che la povera gente è quella legata ai veri valori. Non importa se la realtà è un po’ più coplicata di così, se c’è una zona in cui un po’ di sano classismo è sopravvissuto, quello è proprio nella scrittura delle fiction.
E il vostro protagonista non farà eccezione: a meno che non stiate pensando ad un telefilm da trasmettere di notte su MTV.
Ma allora trovatevi un nome d’arte americano o giapponese altrimenti nemmeno leggono il vostro copione.

Come si scrive una fiction – prima puntata

Volete provare l’ebbrezza di scrivere la sceneggiatura di una fiction poliziesca? Vedrete che è molto più facile di quanto non appaia in un primo momento.
Dell’ambientazione non dovrete occuparvi. Quella dipenderà dalla film commission – nome figo per dire finanziamento pubblico regionale – che offrirà di più per ospitare le vostre storie per promuovere turistacamente la regione. Per cui evitate storie che richiedano necessariamente la presenza di mare, montagne, fiumi, o tutto ciò che un cambio di location potrebbe complicare. Mantenetevi sul generico, parlate di città, piazze del duomo, viali della repubblica e parrocchie di periferia e andate sul sicuro.
Sappiate subito che le storie devono avere un lieto fine. Se nei romanzi questo talvolta non accade e nel cinema ci sono raree eccezioni, per la fiction non si discute, il cattivo alla fine va in prigione e i buoni vincono.
Nonostante l’ignoranza delle più elementari procedure investigative debordi dalle nostre storie televisive, documentatevi un minimo: i commissari e gli ispettori stanno nella polizia, i marescialli e i capitani nei carabinieri e nelle altre forze armate. A seconda del protagonista che scegliete, sarà lui l’anello più importante delle indagini: se è un giudice, guiderà l’inchiesta, coordinerà gli uomini a sua disposizione e commissari ed ispettori saranno solo pedine che eseguono gli ordini. Se è un commissario, avrà un giudice ottuso e con probabili intrallazzi politici che vuole archiviare tutto, e un ispettore impacciato e buono a nulla a dargli una mano. Se è un ispettore, ormai avete capito come funziona, i suoi superiori sono dei burocrati, l’unico che si sporca le mani davvero è lui.
Qualunque sia la vostra scelta, sappiate che il questore nelle fiction è un patetico imbecille spaventato dall’idea di creare problemi ai potenti e attento solo alle conferenze stampa. Nella fiction poliziesca ci sono poche certezze, e la mediocrità umana e professionale del questore è una di queste. Nella prossima puntata ci occuperemo del protagonista.

L’inquadratura col dolly

C’è un metro attraverso il quale si può misurare non il valore artistico ma sicuramente l’importanza che ebbe tra i contemporanei un’opera d’arte rinascimentale, ed è quello di osservare quanto blu veniva usato.
 Il blu oltremare era adoperato soprattutto per i vestiti della vergine e per ottenerlo erano necessari i lapislazzuli, non proprio economici. Per cui se l’artista ne usava molto voleva dire che il suo mecenate era facoltoso, e che credeva molto in lui.
Ho fatto questa riflessione pensando che qualcosa di analogo si può fare per il cinema. Certo, ci sono elementi ovviamente costosi come gli effetti speciali, le esplosioni, gli incendi o tutte quelle caratteristiche di certi film fracassoni. Anche le ricostruzioni storiche sono costose, e le scenografie maestose. Ma se osservate produzioni molto più alla mano e realizzate in economia come quelle delle fiction italiane, vi renderete conto che c’è un elemento che funziona da indicatore: il dolly. Il dolly è un carrello motorizzato in grado di sollevare la cinepresa.
Costa, il dolly, costa noleggiarlo se la troupe non ce l’ha a disposizione, costa usarlo perché occorrono elettricisti, tecnici, fotografi. Ecco perché non vedrete mai un dolly in "Un posto al sole" (che non ho mai visto ma credo lesini in generale di esterni come tutte le soap) e anche certe serie un po’ alla buona dedicate a carabinieri, finanzieri, poliziotti e compagnia bella posso farne un uso moderato. Se vi capita, fateci caso: il dolly viene usato tipicamente nei finali, con il protagonista che cammina lungo una strada e l’inquadratura che lo segue, con la cinepresa che si allontana e sale ingrandendo il campo.
Più il protagonista diventa piccolo, più la cinepresa è salita in alto, più è costata la scena.
Poi magari a voi piace "Un posto al sole" e del dolly non vi importa un fico secco: e c’avete ragione pure voi, de gustibus…