Che l’urbanistica e la pianificazione territoriale siano da sempre attraversate da mode è facile affermarlo.
Si pensi agli stradoni post-napoleonici che sorsero abbattendo interi quartieri medievali, ai palazzoni maschi e valorosi dell’epoca fascista o ai quartieri sorti fuori città a partire dagli anni sessanta e spesso ridotti a orrendi dormitori.
Il minimalismo e la mediocrità dei nostri anni è tale che verranno ricordati dai posteri propriamente come gli anni rotondi. Non perché mangiamo di più e nemmeno perché abbiamo riscoperto le forme morbide. Rotonde perché quotidianamente assistiamo impotenti alla scomparsa di un solido, valido, efficiente incrocio sostituito da una piccola indianapolis o, come dicono gli anziani e i libri di scuola guida, una rotatoria.
La rotatoria fa comodo essenzialmente ai giardinieri, che trovano insoliti spazi in cui piantare cespugli secchi, fiori smorti ed enormi targhe pubblicitarie, e ai produttori di navigatori satellitari. Mentre una volta bastava dire sempre dritto, poi la seconda a destra e la terza a sinistra, oggi occorre dire alla seconda rotonda prima uscita poi dopo tre rotonde terza uscita bis: capite che ci si sbaglia. Ed ecco che serve il navigatore, anche perché, diciamolo, alla terza rotonda l’automobilista barcolla, esita, bestemmia se capita in preda ad una sindrome a metà tra l’ubriacamento e il delirio d’onnipotenza. Si dirà: si fluidifica il traffico. Avete mai visto una fila in rotonda, perché il semaforo è rosso? Ve lo dico io, le vene varicose di una novantenne sono molto più scorrevoli. Si perché i produttori di semafori non si sono fatti tagliare dal mercato: la rotonda non elimina il semaforo, lo moltiplica, perché se prima ce n’era uno, adesso rischi di beccarne due, uno in entrata e uno in uscita. Si dirà: riduce gli incidenti. Fra le auto, forse.
Ma i pedoni?
Avete mai provato ad attraversare una rotonda a piedi?
Ovviamente no, perché altrimenti non sareste qui a leggere questo blog ma mi guardereste dall’alto dei cieli annuendo malinconici..