Go-karrell

C’è un posto dove si può parcheggiare dove si vuole rischiando al massimo di rimetterci un euro. Un posto dove si può fare inversione a U, svoltare a sinistra senza dare la precedenza, procedere tranquillamente i retromarcia in un’allegra anarchia dove non ci sono autovelox e corsie preferenziali.
Non è Napoli, come qualche maligno starà pensando. Sono i centri commerciali. Nei centri commerciali la libertà è assoluta e il codice è fatto di contrattazione. Di fronte alla signora che posteggia il carrello di traverso e comincia a valutare l’apporto calorico dei cioccolatini ricoperti di glassa si può balbettare, tossire, provare lo spunto di forza, o cambiare corsia. E non va meglio dietro al vecchio con la sciatica che si trascina ansimante aggrappato al carrello guardandosi intorno con occhio cupo alla ricerca di un angolo dove sputare.
Sorpassarlo èdifficile perché il nonno sbanda paurosamente e c’è il rischio che durante il sorpasso ve lo troviate abbracciato che vi implora di indicargli dov’è il colluttorio. C’è il forzuto che trascina su e giù il carrello come se fosse un peso per scatenare il bicipite, ma va in tilt nelle curve a sinistra che – è risaputo – inchiodano il carrello che contro la legge di gravità si ostina a girare su se stesso senza muoversi di un centimetro. C’è la timida che lascia il carrello subito dopo l’entrata lo parcheggia accanto alla guarda, poi fa avanti e indietro tutte le volte che compra qualcosa per non intralciare il traffico.
Non è casuale, forse, che “la casa degli italiani”, prima di essere un slogan politico di Berlusconi, fosse il pay-off della Standa: si fa tutti un po’ come cacchio ci va. Va bene. Niente corsie, niente vigili.
Ma porca miseria oliate le ruote dei nostri bolidi, ogni tanto.