C’erano una volta i paraurti. Bei fascioni di plastica, solida, massiccia e pronta a difendersi con compostezza da parcheggi sbagliati, pietre, schegge e più in generale "urti".
Già il sinonimo parafango perdeva un po’, perché si limitava a concepire quegli oggetti come protezione per la carrozzeria contro gli agenti atmosferici e poco altro. Poi uno scienziato geniale senzavergogna già premiato con il nobel alla carrozzeria si inventò i paraurti colorati, di più, metallizzati.
Così ogni volta che ti graffiano il pigliaurti (il nome mi sembra più adatto) il segno viene evidenziato, messo in luce, esaltato. E mentre per sistemare i vecchi paraurti bastavano cifre ragionevoli, adesso cambiare i paraurti in tinta costa più o meno quanto rivendere la vettura e comprartela nuova. Mi sembra una autentica follia, come andare in giro con un ombrello di lana merinos, o lavare i pavimenti con stracci di seta.
E non si può più neanche scegliere, le macchine senza i paraurti in tinta sono ormai introvabili, i costruttori hanno capito che c’è da fare soldi e si sono lanciati. Ma c’è di più: i senzavergogna adesso hanno cominciato a mettere in commercio automobili dove il paraurti è semplicemente scomparso, completamente integrato nella carrozzeria dell’auto: non solo il colore, ma anche il materiale è lo stesso. Così dopo un urto non devi cambiare un pezzo ma magari tutta la fiancata. E poi si lamentano, i senzavergogna, che il settore dell’auto è in crisi. Noi aspettiamo solo penumatici usa e getta da cambiare ogni mezz’ora come quelli delle formula uno, tergicristallo in cachemire e motori da cambiare ad ogni rifornimento, crepi l’avarizia.
Dopo di che prenderemo una bella Panda metà anni ottanta e andremo a tamponare i senzavergogna che progettano questi obbrobri: tanto noi avremo il paraurti, loro no.