“Cinque gustosi racconti serviti… alla bolognese”
(Il Sole 24 ORE)
“Sguardo affezionato, talvolta cinico, ma sempre molto efficace”
(La Repubblica)
“Cinque storie gli occhi un’umanità brulicante ed eterogenea, in bilico tra estraneità e senso di appartenenza”
(Il Domani)
“Un dimensione inconsueta e misteriosa della ‘città rossa’”
(Il Bologna)
“Racconti noir eleganti, imprevedibili, scritti con grande tranquillità”
(Polis)
“Un’inarrestabile ironia e un tagliente sarcasmo nonché un ritmo ben scandito, spesso talmente vivace e incalzante da rendere alcuni passi quasi adatti al palcoscenico, a una sceneggiatura”
(Mangialibri )
“C’è davvero tutta Bologna “l’oscura” in questi bei racconti di Carmine Caputo che ci racconta una città moderna ma stranamente decadente”
(BooksBlog)
“La scrittura di Caputo si contraddistingue per il ritmo veloce, per l’ironia e per la capacità di descrivere i paradossi che riconosciamo far parte della nostra quotidianità”
(Oltrepensiero)
Caputo prende in esame gli aspetti più grotteschi e surreali della città, ma allo stesso tempo caratteristici e buffi.
(Questo Grande Brasile – il blog)
Incipit del romanzo
La gente crede che la morte sia qualcosa che ci sta molto lontano, che si avvicina lentamente e che un giorno incrocia il nostro cammino. Non è così. La morte non è lontana, la morte è in mezzo a noi, ci sfiora ogni giorno, ci passa accanto per strada, nelle nostre case, nei nostri giardini. Poi un giorno ci abbraccia, e rien ne va plus. Ma è imprevedibile, la morte, ogni tanto bluffa, ci inganna, fa delle finte che sembrano vere, e dopo ci lascia spaventati e increduli con in bocca il sapore agrodolce della limonata che ci preparava la nonna dopo una corsa in bicicletta.
Sono le cinque del mattino e nelle ultime sette ore mi sono accadute più cose che nei miei precedenti trent’anni di vita. Vago senza meta sotto i portici di una Bologna accaldata e sorniona, galleggiando in un’umidità che sembra annacquare i contorni di Piazza Santo Stefano.
Devo avere un aspetto cadaverico eppure mi sento perfettamente a posto. Questa è una delle poche città dove uno può gironzolare aspettando l’alba scalzo, con indosso una giacca di lino strappata, una camicia macchiata di sangue, delle orchidee schiacciate in un taschino, i pantaloni di un pigiama preso in prestito eppure sentirsi perfettamente a proprio agio. I bonghisti che sonnecchiano dall’altro lato della piazza, per esempio, mi sembra siano messi decisamente peggio di me, hanno le scarpe, è vero, ma in questo momento non sarebbero in grado di distinguerle dal profilo del loro compagno di bevute. E quel tizio che ho visto uscire da un locale dietro via Castiglione, con indosso un cappotto zebrato, una bombetta all’inglese e due zoccoli con il tacco non ha certo un’aria più rassicurante di me. (…)
La quarta di copertina
Uno scrittore in crisi accusato di spaccio, un commercialista vessato dalla fidanzata, un padre alle prese con i capricci della figlia studentessa, una laureata in filosofia impiegata in un call center, un caso di amore non corrisposto per un’ex compagna di liceo.
Cinque storie bolognesi che tracciano scenari di vita contemporanea attraverso gli occhi di un’umanità brulicante ed eterogenea, in bilico tra estraneità e senso di appartenenza. Città dalle mille sfaccettature, impenetrabile e seducente, Bologna è un agglomerato di microcosmi in cui l’eco della Storia fa da contraltare ad un presente irto di contraddizioni.
Tra routine quotidiana, prepotenti gipponi in doppia fila, mogli brontolone e centri commerciali, emerge una dimensione inconsueta e misteriosa della “città rossa”, in un sottobosco costellato di insospettabili giri di droga, rapimenti e colpi di scena che introducono imprevedibili risvolti avventurosi.
Lo sguardo dell’autore – a volte affezionato, a volte cinico, ma sempre accattivante – non ha paura di esplorare le zone d’ombra di Bologna, rivelandone un lato nascosto, oscuro, e dipingendo con straordinaria ironia e con un pizzico di nostalgia l’incredibile fauna umana di “una città che gioca, che scherza, che deride, e ogni tanto bara”.