Il movimento è l’unico esorcismo contro l’oppressione di decadenza che avvolge certi mattini. Se mi muovo sono vivo e lo segnalo a questa pioggia battente che si rifuta di ritirarsi, a questo vento autunnale che a maggio sembra più a suo agio che mai, a questa malinconica danza ombrosa che ricama il cielo plumbeo di Bologna. La radio ci parla di madri assassinate e mogli sacrificate al dio dell’orgoglio, di corruzione eretta a sistema di potere, di scambi, affari, strizzatine d’occhio tra complici, guerre dimenticate e guerre da dimenticare. Ma non solo. Sia lode e gloria agli uomini che ci ricordano le nostre sembianze divine, a quegli uomini che riescono a percorrere 47 chilometri con una rotula fratturata perché sentono di dover compiere il proprio dovere fino in fondo, fino all’ultimo metro. Sia gloria, effimera e suggestiva, a Petacchi Alessandro, ciclista, che in un giro d’Italia che preferisce il Belgio al meridione, ci ha ricordato cosa vuol dire la tenacia. Qualcuno sospetterà maligamente che, imbottiti come sono di bombe dopanti, i ciclisti non sentono più neanche il dolore. Ma in questa mattinata buia c’è già troppa amarezza e non è il caso di affidarsi alla malignità. Speriamo di arrivare al traguardo con tutti i nostri acciacchi, prima o poi arriverà la primavera…