L’ultimo referendum non mi ha entusiasmato. Non che questo strumento mi appassioni più di tanto, ma per esempio ai tempi del referendum sull’acqua pubblica mi sentii particolarmente coinvolto in quello che ritengo essere il bene pubblico per eccellenza, e quel pastrocchio di riforma costituzionale del 2016 mi inorridì al punto di arrivare quasi a fare propaganda pur di fermarla.
Stavolta ho coltivato fino all’ultimo una delle arti che mi riesce meglio, quella del dubbio, e ho deciso di votare sì a pochi giorni dal voto. Siccome non interessa a nessuno il motivo, possiamo pure chiuderla qui caro lettore, e ricordati di leggere “#stodadio – L’enigma di Artolè”. Se però per qualche strano motivo vedo che stai continuando nella lettura, allora bisogna che dia risposta al tuo coraggio e ti spieghi il perché.
Non ho votato sì per risparmiare, non diciamo corbellerie. Prima di tutto perché si tratta di un risparmio minimo. Poi perché basta una piccola riforma al regolamento delle camere (neanche una vera e propria legge, ma un regolamento, un atto amministrativo insomma) e i prossimi eletti potranno raddoppiarsi lo stipendio mandando all’aria tutti i presunti risparmi. O, più probabilmente, caricheranno costi a destra e sinistra tra consulenze e addetti alle pubbliche relazioni che – già oggi – ci costano molto più che deputati e senatori. E poi, se risparmiare vuol dire tagliare indistintamente, allora chiudiamo gli ospedali, le scuole, vendiamo le strade e lasciamo che i proprietari ci chiedano un fiorino per passare. Quello sì che sarebbe un risparmio (almeno fino a quando le strade non crollano e tocca allo Stato ricostruirle, ma questo è un altro discorso).
Non ho votato sì per dare un segnale alla casta. Anzi, non sopporto nemmeno questa definizione che il fortunato (per loro, per la democrazia è stato una catastrofe) saggio di Stella e Rizzo ha dato del ceto politico. Perché di caste ce ne sono tante, e tutte in diversa misura protette: dagli evasori fiscali ai professori con dieci incarichi tutti ben retribuiti, dai fannulloni sindacalmente garantiti a tutti i numerossisimi “figli di” che popolano questo paese. E poi da sempre l’anti-parlamentarismo è un tratto distintivo dei dittatori.
Se proprio vuoi dare un segnale politico lo fai semmai con il voto, non riducendo la rappresentatività.
Ed ecco che ci avviciniamo però al nocciolo della questione: il Parlamento negli ultimi anni è sempre di più diventato più che una (doverosa) spesa di rappresentatività, una spesa di rappresentanza. Il legame con il territorio che tanto è stato sbandierato dai difensori del NO si è spesso tradotto in invisibili emendamenti, che in un testo che trattava di riforma di pubblico impiego ci infilava una postilla per finanziare la pavimentazione del lungomare di Patonza Inferiore, o il rifinanziamento dell’aeroporto mai inaugurato di Flatulenziano. Ecco, cosa hanno fatto spesso i famosi rappresentanti del popolo, un tristissimo voto di scambio alla luce del sole. Sapete qual è una delle regioni italiane la cui rappresentatività sarà maggiormente ridotta dalla riforma costituzionale? La Calabria. Siete in grado di citarmi il nome di un grande politico calabrese? Tommaso Campanella e Pitagora non valgono, non erano nemmeno politici.
Sto generalizzando, sento lo sguardo corrucciato di voi altri che siete arrivati fin qui, e che magari sul lungomare di Patonza Inferiore avete conosciuto vostra moglie. Però signori ci sono due aspetti sui quali non dico che sono convinto (non lo sono mai), ma almeno ho meno dubbi: primo, il valore salvifico che viene dato alle leggi in Italia è eccessivo (tema complesso, ci dedicherò un post a parte). Non è solo con le leggi che si risolvono i problemi: abbiamo più leggi di tanti altri paesi, ma non meno problemi. Secondo, da decenni il parlamentarismo è in crisi: in aula ci si limita ad approvare i decreti legge del governo, o a creare cornici, i tecnici le chiamano leggi delega, talmente generali da essere imbarazzanti tipo “Governo scrivi una bella legge sullo sport per favore”. E non si tratta di riconoscere che il livello medio di deputati e senatori è calato. Il tema non è quello. Il tema è che il mondo di fuori è mostruosamente più complesso rispetto a quello dei secoli in cui l’idea di parlamento si è formato. Oggi se eleggessimo un premio nobel per la chimica, quello avrebbe di sicuro bisogno di un esperto per capire come scrivere una legge sugli incentivi alle associazioni sportive di ruzzolone, o per la gestione dell’import-export di calzini bianchi. Le leggi si fanno fuori dal parlamento da tantissimo tempo. E non fuori nel senso che c’è un disegno di legge di iniziativa popolare. Magari. No, nel senso che più o meno i politici al governo (non il parlamento che si limita a ratificare) spiegano agli esperti quello che vorrebbero fare, e si affidano alla traduzione in atti che da questi maturano.
Complici anche una serie di leggi elettorali che hanno trasformato i parlamentari in personaggi nominati più che votati, oggi il parlamento è ridotto ad essere una giuria che dà i voti ai virtuosismi sul palco del ministro di turno. E allora non vedo perché una giuria un po’ meno nutrita debba essere considerata un attentato alla democrazia.
Attenzione, la situazione è la stessa anche a livello locale. Consiglieri regionali e comunali sono altrettanto inutili e poco produttivi: sono il sindaco, il presidente della Regione e la giunta a decidere dei nostri destini. Gli altri al massimo decidono dei loro intestini (questa è pessima, lo ammetto).
Chiudo con due note. La prima è rivolta a certi convinti renziani (dissimulano la loro presenza, ma esistono ancora, ve lo giuro) che si sono scoperti difensori della costituzione. Ricordo che la loro riforma portava a 630 gli eletti, giusto 30 più di questa: gli altri 100 senatori infatti sarebbero stati pescati secondo meccanismi di dubbia eleborazione. La seconda mi serve a rispondere a chi sostiene che riducendo i parlamentari ridurremo quelli buoni e ci terremo gli scarti. Non lo so. So che però oltre a 345 eletti in meno, avremo molti, molti meno candidati alle prossime elezioni, meno segreterie, meno portaborse, meno manifesti elettorali (quelli in realtà sono scomparsi da tempo tranne che dalla legge che li vuole gratuiti). Non so se sarà un bene, ma so che vale la pena provarci.