Papà, cosa sono quelli?
È un pomeriggio piovoso durante le vacanze natalizie e siamo chiusi in casa in quella che, prima di ospitare tutta la famiglia, era la camera di papà. Qualcosa c’è rimasto, della camera di papà: i poster alle pareti, alcuni trofei, libri, e per l’appunto “quelli”.
Quelli sono dischi: un po’ come i dvd, solo più grandi. Già è difficile spiegare alle mie figlie, abituate a Muzu TV e Radio Italia TV, che si può ascoltare musica senza vedere il cantante che si agita fra inquadrature finto pop art. Spiegare che la musica sia raccolta in quei buffi dischi di plastica, poi.
Si mettevano lì, sul giradischi, bisognava far calare lentamente la puntina, e stare attenti che cadesse proprio all’inizio, altrimenti rischiavi di rovinare il disco. Questi più piccoli contenevano due sole canzoni, una per lato. E questi (ohoooo ma è grandisssssssimo papà!) invece ne contenevano una decina, cinque per lato. E quando finiva un lato dovevi togliere il disco e capovolgere. E non potevi riascoltare sempre la stessa canzone, o decidere in che ordine ascoltarle…Il disco si consumava un po’ alla volta, dopo ogni ascolto, come le nostre vite, al contrario del cd che rimane lì intonso e perfetto e poi basta un graffietto e non va più.
Però in compenso con i dischi avevi queste meravigliose copertine, e i testi delle canzoni dietro.
“Rainy night and we worked all day, we both got jobs ‘cause there’s bills to pay… We got something they can’t take away, Our love, our lives! You were born to be my baby, and baby, I was made to be your man, we got something to believe in, even if we don’t know where we stand…”
Mentre canto abbracciato al mio New Jersey mia figlia si è già allontanata, e io non posso fare a meno di domandarmi com’è che abbia speso quello che allora era un capitale di parecchie paghette per comprare “Like a prayer” di Madonna, o tutti quei 45 giri di Jovanotti, prima di lanciarmi su Bon Jovi e Kiss.
E faccio un salto ancora più indietro nel tempo, al mangianastri arancione della mia infanzia, che leggeva solo 45 giri e solo quando ne aveva voglia, e quella piccola raccolta di vecchi dischi caratterizzata dalle favole dei fratelli Grimm, l'”Isola di Wight” dei Dik Dik,”Ballo ballo” di Raffaella Carrà e poi, chissà com’era finito lì, “Revolution” dei Beatles. Quel riff di chitarra che ermergeva dai borbottii del mangianastri, quella sferzata di energia che emergeva dal fruscio come un faro oltre le nubi me la ricordo ancora, è la stessa che a quarant’anni mi fa spendere un capitale di paghette per il concerto dei Black Sabbath. Ma questa è un’altra storia.
Quando mia figlia tornerà, le mostrerò anche le audiocassette, e le farò vedere come riavvolgevo il nastro con le penne Staedler. Un’altra volta però, ormai non piove più.