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Amatevi e godetevi il viaggio

Sarebbe bello se, nel momento del dolore più acuto per una perdita imprevista, ci fosse qualcuno che ti dicesse: non preoccuparti del resto, ci penso io. Cura le tue ferite dell’anima, che se non disinfettate diventano purulente come le altre.

Una specie di assistenza post funebre che ti accompagni negli adempimenti successivi.

Che io sappia tutto ciò non esiste, anche perché la burocrazia in tanti casi non ammette deleghe: sei tu che devi firmare, tu che devi muoverti tra marche da bollo, dichiarazioni e fotocopie dei documenti del tuo caro, tu devi chiedere, tu devi agire. Sei tu che devi rispondere all’operatrice telefonica per dire che si, il numero di cellulare vuoi disattivarlo subito anche se hai pagato fino a fine mese, perché tanto lo sai che a quel numero non ti risponderà più.

Sei tu che devi esibire l’estratto dell’atto di morte a destra e manca come se non bastasse la tua faccia a dimostrare quello che stai passando.

Il momento per me più difficile di questi giorni, tuttavia, non è legato alla tradizionale sceneggiatura funebre. La camera ardente, i fiori, i messaggi, le telefonate, fanno parte di un percorso che ti aspetti.

Il momento più difficile è stato quando l’addetta delle Ferrovie dello Stato (peraltro con molto garbo e tatto) mi ha chiesto di tagliare la tessera di viaggio di mio padre e mandargli una foto dopo.

Per papà sono esistiti fondamentalmente quattro universi: la famiglia, la sua comunità di amici, l’arte e la ferrovia. Tagliare quella tessera è stato per me come sancire l’addio: se non c’è più il ferroviere in pensione, non c’è più Tonino, non c’è più papà.

E comunque l’ho fatto, mi consola sapere che quando verrà il mio momento basterà non pagare più la tassa dell’ordine per annullare il mio tesserino da giornalista.

Adesso però, basta malinconie. La vita è come un treno, c’è chi sale e chi scende.

Celebrerò il ricordo di papà canticchiando una delle canzoni che intonava accompagnandoci al mare, quando l’autoradio non esisteva.

“Azzurro
Il pomeriggio è troppo azzurro
E lungo per me
Mi accorgo
Di non avere più risorse
Senza di te
E allora
Io quasi quasi prendo il treno
E vengo, vengo da te
Il treno dei desideri
Nei miei pensieri all’incontrario va”.

Amatevi e godetevi il viaggio perché non si sa quando scenderemo.

Ciao papà

Papà questa mattina ci ha lasciato.

Per ricordarlo ho preso tre foto.

La prima è quella che lui stesso aveva scelto per il suo profilo di WhatsApp. Una foto di anni fa, accanto come sempre alla mamma.

Fu scattata durante una mia presentazione. Papà è sempre stato in prima fila a sostenermi. Cercherò sempre il suo sguardo e il suo sorriso tra le prime sedie, anche se non sarà lo stesso.

La seconda è di questa estate, c’è il suo inconfondibile sorriso, aperto, affettuoso, sincero. Quello con cui spero stia bussando alle porte del Paradiso.

Antonio Caputo

La terza è uno dei suoi quadri che amo di più, quello di Statte con la neve, forse perché per me è un ricordo di infanzia. Da più di trent’anni infatti non vedo Statte con la neve.

Papà amava Statte più di quanto io non abbia mai compreso. Era nei suoi dipinti, nei suoi affetti, nelle sue storie.

Aveva provato, nemmeno ventenne, a cercare fortuna nella grande città, all’Alfa Romeo. Ma come un albero non può germogliare lontano dalle sue radici, lui aveva sempre bisogno di tornare a Statte. Provò anche a vivere a Modugno (avrei potuto nascere barese, brrrr….) ma niente, lui era di Statte e qui aveva bisogno di tornare. Le sue radici gli permettevano al massimo di stare via qualche settimana, per venirci ad trovare a Bologna, ma poi la nostalgia di casa pervadeva tutto.

Papà sapeva di non potere vivere lontano da Statte, ma ciò nonostante ha permesso a noi suoi figli di cercare un percorso familiare e professionale altrove.

Non riesco a immaginare amore più grande di chi lascia andare chi ama sapendo di non poterlo seguire.

Grazie papà per tutto quello che hai fatto per me.

Buon viaggio, hai sempre avuto fretta di partire per non arrivare tardi, stavolta avresti anche potuto prenderti un po’ di tempo ma ormai è andata. Ormai sei andato.

PS Nel 1993 presi la tua auto per andare al cinema e parcheggiando ruppi un fanale. Con la complicità della mamma lo feci sostituire il giorno dopo senza dirtelo. L’hai sempre saputo, lo so, ma hai sempre fatto finta di niente per non mettermi in imbarazzo.

Grazie.

Spero di essere un papà alla tua altezza, anche se sarà difficile.

Mi mancherai, mancherai a tutti, mancherai a Statte almeno quanto lei mancava a te.

Ciao papà.

Arrivederci, Irene, ciao

Cara Irene,
noi non ci siamo mai visti personalmente, però un po’ ti conosco perché sono il papà di Martina, che mi ha spesso parlato di te.
Come Martina ti avrà sicuramente già detto sono un imbranato nei lavoretti di casa, per appendere un quadro mi serve un pomeriggio, e anche nei rapporti interpersonali ho tanto da imparare.
Però la mia professoressa delle scuole medie diceva che ero bravino a scrivere, magari non era vero ma sono stato in gamba nel convincere gli altri, perché da vent’anni lo faccio per mestiere.
È per questo che ho deciso di scriverti, anche se non so di preciso se e quando potrai leggere i social network. Magari qualcuno ti avviserà.
 
So che sei una bambina intelligente e coraggiosa, che avevi pochi anni quando hai scoperto di avere un mostro nella pancia. Uno vero, non come quelli che nei film puoi fare fuori con un raggio laser. Credo si chiami neuroblastoma, ma tu non ti sei arresa, con il supporto dei tuoi genitori e dei medici l’hai sconfitto, anche se ti avevano dato solo il 25% di possibilità di farcela.
 
Purtroppo, però, come se questo non bastasse la terapia ha avuto un brutto effetto collaterale. Può succedere, è raro ma succede. La nostra vita è piena di effetti collaterali. Una battuta che pensiamo divertente e invece ha l’effetto di fare soffrire qualcuno. Una zuppa di fagioli saporita che tiene svegli i compagni di camera.
Per non parlare del fatto che molti di noi, senza saperlo, sono l’effetto collaterale di un momento di passione (se siete terzi figli è matematico, dai).
 
Quell’effetto collaterale ti ha costretta ad anni di sofferenza, perché anche il minimo virus avrebbe potuto ucciderti. Per fortuna, accanto a te c’è sempre stata la speranza di un trapianto. Intanto i tuoi compagni di classe, compresa Martina, si sono vaccinati contro l’influenza, per poterti stare vicini almeno un po’.
Poi è arrivato il maledetto coronavirus, di nuovo rinchiusa in una bolla, di nuovo da sola.
 
Ho deciso di scriverti pensando a tutti quelli che in queste ore fanno i loro calcoli miserabili sugli effetti collaterali, su quanto gli conviene o no farsi vaccinare. Senza pensare a chi, come te, questa scelta non ha mai potuto farla. Perché sei stata vittima di un effetto collaterale, ma non avevi alternative.
E non hai potuto nemmeno scegliere se usare o no la mascherina, se mangiare dentro o fuori.
Chi invece può scegliere, per un attimo dovrebbe smettere di fissarsi l’ombelico, alzare lo sguardo verso l’orizzonte e guardare verso gli altri, quelli che hanno più bisogno del nostro vaccino.
Non puoi saperlo, ma ti scrivo con il cerotto al braccio, mi sono appena vaccinato.
 
Cara Irene, temo che il nostro incontro di persona dovrà essere rimandato.
Da qualche giorno sei volata via, uno stupido adenovirus, di quelli che a noi provocano un semplice raffreddore, ti ha portata via prima che arrivasse il trapianto.
Io lo so che ci sei ancora e hai meglio da fare che leggere i miei stupidi post, ma spero che a leggermi siano quelli dell’ombelico, del me ne frego, dell’andate avanti voi. Avete una vita, fate qualcosa per meritarla. Amate, ridete, viaggiate, proteggetevi e proteggete anche per chi, come la cara Irene, non ha avuto la stessa fortuna.
 
Ciao cara Irene.
Per il prossimo festival di Sanremo, che ti piaceva tanto, io e Martina alzeremo un po’ il volume, così potrai sentirlo anche tu

Bum Bum

Ahmed Ismail Jatib aveva 12 anni, e chissà quante speranze davanti a sè. Forse voleva fare il pilota, o forse l’architetto, o il musicista.
Chissà.
Non ci sarà dato saperlo perché Amhed è stato assassinato sabato scorso dall’esercito israeliano. L’unica colpa, quella di giocare con un fucile giocattolo, in una terra dove il gioco, il fare finta che, l’immaginazione e il sogno sono stati banditi da decenni. L’hanno scambiato per un estremista palestinese, bum bum, addio architetto, addio pilota, addio Ahmed. Di bambini ammazzati nell’indifferenza collettiva ce ne sono tanti, troppi: sia che lancino pietre o che giochino alla guerra perché non hanno visto altro in vita loro, troppo spesso trovano un eroico difensore della libertà occidentale pronto a trivellargli le budella.
Ma Ahmed non era un estremista, e neanche i suoi parenti. Hanno deciso di donare gli organi che salveranno alcuni ebrei, visto che il bambino era stato trasferito in una struttura israeliana. Chissà che questo gesto immenso non serva a far riflettere il prossimo eroe che si sente tanto fiero del suo mitra e lo faccia esitare un istante prima di fare di nuovo bum bum contro una creatura innocente.

Latin lover addio?

Indagine Astra-Demoskopea su un campione di 2000 donne italiane. Una su due non usa contraccettivi. Se si confronta questo dato con il fatto che le interruzioni volontarie di gravidanza calano del 44% rispetto all’82 e che la natalità è la più bassa d’Europa, ci sarebbe poco da star sereni: o gli italiani sono diventati sterili, o non fanno più l’amore.Io invece non mi preoccuperei, perché c’è un dato che fondamentale che gli analisti trascurano.
Le donne italiane mentono alle indagini demoscopiche…

Le strampalerie del Livorno

Sicuramente rallegrarsi, entusiasmarsi e sentirsi felici per un risultato calcistico è infantile. Se poi a vincere non è la propria squadra (il Taranto ha perso anche ieri, stiamo per dare l’ennesimo addio al professionismo, l’anno prossimo si torna a giocare con le squadre rionali) ma una squadra che neanche si conosce bene, come il Livorno, davvero bisogna riflettere. Ma volete mettere la soddisfazione di veder perdere il Milan contro la tifoseria più divertente -la trovata delle bandane è la più spassosa viste finore- d’Italia? Volete mettere il piacere di vedere la fantasia, l’estro e l’inventiva di Donadoni, uno che anche quando era al Milan ha preso le distanze dalle scelte politiche del presidente, contro gli schemi, la quadratezza e la pesantezza di una persona che trasuda servilismo come Ancelotti? Insomma, forza Livorno, la vittoria di ieri è stata la migliore soddisfazione calcicistica di un anno poverissimo. E non ha significati politici: se il Livorno fosse stato l’espressione della sinistra, avrebbe giocato in nove perché in due si sarebbero ritirati, avrebbe segnato un paio di autogol, avrebbe avuto un paio di giocatori indecisi se passare al Milan (così, su due piedi, durante la partita), non avrebbe esultato dopo il gol per senso di responsabilità istituzionale, avrebbe regalato il pareggio alla fine per pacificazione, avrebbe perso la metà del tempo a discutere su chi dovesse battere i calci d’angolo e soprattutto, mai, mai, in nessun caso, avrebbe vinto: gli sarebbe sembrata una strampaleria.