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Il pensiero fesso

pensiero_fessoC’è chi dice che i social network sono piazze “virtuali”. Come in piazza, o per taluni al bar, si fanno chiacchiere, si pontifica di questo e di quello, si dicono sciocchezze, si dà spazio a quello che definisco “il pensiero fesso”. Come similitudine la trovo piuttosto debole. E questo perché per arrivare in piazza devo vestirmi, prendere l’autobus, la bici o se abito in centro magari fare due passi, cercare qualcuno con cui chiacchierare. Tutto ciò richiede tempo, ed è giusto che sia così perché il tempo è il migliore filtro per bloccare le cavolate. Perché posso aver pensato che quel politico là proprio non capisce nulla, ma tra il momento in cui lo penso e il momento in cui finalmente vedo l’amico in piazza ho modo di elaborare il pensiero, adattarlo, sfumarlo. Magari ci ripenso e non la dico più, quella boiata. Poi qualche cavolata mi verrà fresca fresca di fronte all’amico, in estemporanea, e pazienza.

Sui social network questo filtro non c’è. Specie poi da quando li usiamo grazie a dispositivi e tablet, l’intervallo di tempo che separa la generazione del pensiero fesso alla sua manifestazione è minimo, ta-tac, scontro di neuroni isolati, e via “eh, ma io dico, aiutiamoli sì questi poveretti, ma ognuno a casa sua però”. Ta-tac, attrito tra neuroni sovrappeso, e “che privilegiati i lavoratori pubblici, guadagnano 1100 € al mese per non fare nulla e si lamentano. Tanto io non le pago le tasse, non voglio mica mantenerli”. Ta-tac, “l’Italia riparte. Il job act è una riforma di sinistra”.
Questo è un problema.
Anche perché nessuno va in piazza a spiegare ad uno sconosciuto che il tumore si cura con acqua e limone, e che bisognerebbe mangiare solo carne come quei saggi dei Neanderthal, ma i cattivi delle industrie farmaceutiche non vogliono che si sappia.
In rete sì, il potere del pensiero fesso si amplifica. Bisognerebbe che i social network proponessero un “Attendere, prego”, come ai bei tempi di Windows 98, così magari nel frattempo ti penti e lo cancelli. Quante volte il tempo ha impedito al mio pensiero fesso di manifestarsi, nella vita reale? E non pensate solo alle cattiverie, al qualunquismo, ai tuttologi che hanno capito tutto. La categoria del pensiero fesso è molto più ampia. Quante volte a tredici anni ho preparato dichiarazioni d’amore che mi sembravano bellissime ma che poi al momento del dunque reingoiavo? Ci fossero state le e-mail, probabilmente mi sarei coperto di ridicolo più di quanto non abbia comunque fatto (ah, l’adolescenza…!). Quante volte ho pensato di mandare al diavolo quel professore fascista ma poi il suo numero non era sull’elenco? Con le praterie offerte dalla bacheche di Facebook sarei stato sospeso con obbligo di frequenza molto spesso. Molto più spesso.

E anche in piazza, anche al bar, io appena annuso un’aria che non mi piace cambio strada, cambio bar, cambio quartiere. Con i social network è più difficile. Puoi cambiare gruppo, puoi cancellare conoscenti, puoi evitare i commenti agli articoli. Ma la tentazione di leggere c’è, e di rispondere, e di sbraitare. Perché non ci sono profilattici che tengano contro le infezioni del pensiero fesso.

Trapanature

sassolinoC’è una drammatica puntata di Peppa Pig di cui sento il bisogno di parlarvi. E siccome credo l’abbiano trasmessa almeno 600 volte, non corro il rischio di rovinare il finale a nessuno. Ebbene, durante l’episodio, quell’inetto, supponente, incapace suino che dovrebbe rappresentare il ruolo paterno (anche conosciuto come Papà Pig) per piantare un chiodo fa un buco nella parete grande quanto una finestra. Siccome del papà ha almeno la capacità di iniziativa, munito di calce e mattoni rimette tutto a posto e trova persino il tempo di fare il bagnetto ai due piccolini.

Ebbene, chi mi conosce sa che mi sento a mio agio con una matita, una penna, o – per essere più al passo con i tempi – con tastiera e mouse. Anche macchina fotografica e videocamera sono strumenti a me familiari, e non disdegno certo scopa, aspiravolere, pentole e ferro da stiro. Eppure.

Eppure con un trapano in mano tutte le insicurezze di una adolescenza mediocre riemergono da un passato che credevo sepolto. Non fa per me, il trapano. Il trapano non ha il tasto “annulla”, non permette di fare prove o correggere errori. Con il trapano è sempre “buona la prima”, e se non è buona ti arrangi. Diciamola poi tutta: fare un buco in una parete non è che sia poi un’impresa così difficile. Prendi le misure, acquisti una posizione quanto più eretta possibile, vai. Cosa diamine potrà mai succederti?
Potrà succederti di trovare sulla tua strada un sassolino. Praticamente, ogni tre buchi che faccio a casa mia, uno è interrotto da un incontro ravvicinato con un sassolino. Nel dopoguerra i costruttori non si facevano troppi scrupoli, e per tirare su una palazzina usavano quel che avevano. Non escludo di aver incrociato anche la sagoma di un cranio risalente al mesozoico e un frammento di un armatura medievale, nelle mie attività di perforatore. E insomma, quando trova il sassolino, il giovane papà deve trovare una soluzione, un workaround, come dicono gli informatici. Già immagino alcuni saputelli tra voi che fanno spallucce, pensando: dilettante, con il mio Diamond Seek and Destroy Professional nessun sassolino avrebbe opposto resistenza. E va bene, il vostro Trapanik Kill’em All 2000 probabilmente non si lascia impressionare, il mio è sindacalizzato e di fronte ad un sasso di traverso comincia a cianciare di mansionario e indennitò e incrocia le braccia. Per cui ho dovuto estrarre il maledetto sassolino prima che mi consumasse la punta come una matita colorata, e alla fine non dico di aver fatto una finestra come Papà Pig, ma di certo avevo un buco un po’ più grande del fisher che avevo pensato di usare. Ce ne sarebbero stati tre o quattro e neppure troppo stretti.

Vista la scarsa credibilità nei confronti delle figlie della sua immagine di intellettuale (e non solo delle figlie, ahimè), il giovane papà ripensa a Papà Pig, se ce l’ha fatta quel grassone perché dovrei fermarmi io, si dota di cemento a presa rapida e risolve la questione. Ta-dah. Sono soddisfazioni.

Per la signora del piano di sotto: se un forte rumore dovesse svegliarla nella notte, non sono i ladri. È il televisore delle mie figlie che ho appeso io.