Uno dei principali errori che molti comici commettono quando provano la strada del cinema è che anziché "tradurre" le gag in un linguaggio diverso, come quello cinematografico, le "travasano", cioè le spostano sperando che il successo sia lo stesso. Se le battute sono talmente tante e talmente buone da poter reggere un’ora e mezza, il trucco può funzionare: si pensi a "Tre uomini e una gamba" di Aldo, Giovanni e Giacomo. Altrimenti la noia finisce per prevalere anche per gli attori migliori (eravamo in quattro in sala a vedere "Uomo di acqua dolce di Antonio Albanese, e ancora ce ne pentiamo).
"Cado dalla nubi" è un film riuscito perché certo, Checcho canta un paio di volte e il suo personaggio è coerente a quello televisivo: ma l’operazione di traduzione, che è un adattamento, c’è eccome. Intanto sono smussati gli angoli, eliminati i riferimenti sessuali un po’ troppo espliciti che possono funzionare su YouTube ma al cinema allontanano le famiglie.
Poi intorno a Checco ci sono tanti personaggi che in alcuni casi gli reggono la scena (come l’indimenticabile zio muratore), in altri quasi gliela rubano, come nel caso di Dino Abbrescia, che pur non rinunciando ad alcuni tratti macchiettistici traccia un personaggio omossessuale credibile e simpatico. Oppure come Marescotti, che finalmente riesce a prendere in giro la casta pura dei leghisti, o ancora un insolito Raul Cremona. Il tutto dà respiro e libera da quel senso di noia tipico dei film in cui il protagonista è sempre in scena. Certo alcune scene sono già viste (chi ricorda Mister Crocodile Dundee che in bagno confonde la cocaina con l’eucalipto, mentre per Checco è gesso? Per non parlare dell’ampolla del Po…) ma il film fa ridere soprattutto quando è "politicamente scorretto" con moderazione (la canzone nel club gay oppure la scena in parrocchia con i ragazzini provenienti da famiglie difficili). Anche la regia aiuta: senza strafare, Nunziante rende Polignano a Mare e Milano due contesti che "partecipano" alla storia. Un po’ da cartolina forse, ma si sa che le film commission pagano se fanno bella figura, per cui pazienza se Milano sembra un villaggio maremmano e la Puglia è sempre (e solo) sole, mare ed orecchiette.
Da vedere.
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Mi fido di te
Già da Zelig si capiva come la comicità di Ale e Franz fosse una comicità fatta di scrittura, di gusto della citazione, di parola. Poche linguacce, poche caricatura, quasi nessuno – e questo è insolito per il cabaret televisivo – nessun tormentone.
Una comicità più adatta al cinema, come conferma “Mi fido di te”, secondo film della coppia, divertente e intelligente.
La storia è quella di un’amicizia tra un piccolo sfruttatore che vive di espedienti e un manager di una multinazionale appena licenziato che uniscono le forze per darsi alle truffe in grande stile. Sullo sfondo una Milano grigia di call center, precariato, lavori umilianti (quella dell’omino dell’acqua è una delle perle del film) e multinazionali di sciacalli che delocalizzano.
Ottimi anche gli attori non protagonisti, tra cui il vigilantes buono Marco Marzotta.
Unica pecca la regia di Venier che ostenta i suoi cliché (canzone di successo di sottofondo e sequenze senz’audio a sottolineare i momenti più intensi, ricorso alla voce fuori campo, macchina da presa diligente ma anonima) ma si conferma uno dei migliori autori quando si tratta di portare i comici televisivi al cinema: i migliori film di Aldo Giovanni e Giacomo portano la sua firma. Andate a vederlo: fidatevi
Al cinema col telecomando
Corrado Guzzanti propone una straordinaria serie di sketch televisivi al cinema; Aldo Giovanni e Giacomo riescono a piazzare un probabile campione di incassi registrando le loro ultime fatiche teatrali. Sarò all’antica, ma io vado al cinema per vedere dei film, di televisione ce n’è già abbastanza…in televisione.
Tu la conosci Claudia?
Un fiasco prima o poi capita anche ai migliori. Solo che Aldo Giovanni e Giacomo c’avevano già regalato un mediocre “La leggenda di Al..” per cui ci si aspettava una ripresa, e invece. Invece Mi presenti Claudia è il più brutto film dei tre comici, ha tutti i difetti dei precedenti (regia artigianale, personaggi macchiettistici, colpo di scena a tutti i costi) senza averne le qualità (brio, ritmo, colonna sonora). I tre sono sempre gli stessi, il pignolo, il grezzo e il timido, ma questo non è un problema: anche Totò interpretava sempre se stesso. Semmai il problema è che mentre Totò viaggiava nel tempo e nello spazio cambiando continuamente contesti, sperimentava senza paura di rischiare, si confrontava con altri attori straordinari, guardava sempre ciò che gli accadeva intorno, i nostri tre si sono rinchiusi nel loro mondo di quarantenni che non hanno volgia di crescere e ci propinano per l’ennesima volta la solita minestra dell’amore conteso. La povera Cortellesi è ridotta a comparsa, fa quel che può nei panni del personaggio più logoro mai visto negli ultimi anni – Vanzina e co. esclusi – ma proprio non funziona, e persino Ottavia Piccolo è ridotta al turpiloquio più inutile (almeno De Sica fa ridere, qui siamo proprio alla parolaccia per mancanza di idee). Tutta la prima parte è una sequenza di stucchevoli sequenze con musica malinconica insopportabile sul mondo difficile dei quarantenni borghesi milanesi, con l’unica eccezione di Aldo che se non altro anima un po’ con il personaggio del tassista (ma che idea! Ma dove li pescano?). Finalmente c’è un po’ di vita quando i tre tornano a fare se stessi nel viaggio (aldo al volante, Giacomo dietro e Giovanni che borbotta accanto): la malinconia per tre uomini e una gamba diventa fortissima, ma questa è solo una sbiadita fotocopia ricca solo di turpiloquio e deja vù, con Aldo che ricorre persino al “miii, non ci posso credere..:” per ricordarci che è sempre lui e non una controfigura. Si arriva così al finale che dovrebbe essere imprevedibile e che invece risulta l’ennesimo buco nell’acqua di una scenggiatura imbrazzante e dilettantesca.
Se non avete ancora visto Mi presenti Claudia, non fatelo: piuttosto noleggiate Chiedimi se sono felice, quello sì che era un film. Se invece volete spendere un’ora e mezza di noia e volgarità con quelli che sono stati tra i milgiori comici italiani, fate pure. A me non resta che sperare che i tre finalmente si affidino ad un regista che sappia valorizzarli e ad uno sceneggiatore che porti qualche idea nuova. Perché questa minestra riscaldata comincia a puzzare di andato a male…