Per anni si è discusso se fosse più opportuno pronunciare il termine latino ma reimportato dall’inglese "media" oppure "midia".
Alla fine ha prevalso quest’ultima versione, rafforzata dal fatto che gli antichi romani quando parlavano di media certo non pensavano ai mezzi di comunicazione di massa (i mass-media, appunto). Però la J ("i lunga", la chiamavamo a scuola) è una lettera che è stata latina millenni prima di diventare inglese.
E che i latini pronunciavano "i": ricordo un compagno di elementari che faceva il tifo per la "Giuventus", ma veniva irriso e preso in giro da tutti quanti.
E con lo stesso malcelato scherno dovremmo irridere quei professionisti, giornalistuocoli o capetti aziendali che hanno cominciato a pronunciare "giunior", all’inglese, il latino junior, o peggio ancora con accento degno di Oxford si definisco "sinior" (pronuncia inglese del latino senior). Anni di corsi serali per cercare di recuperare la loro cronica ignoranza della lingua di Albione li ha portati a imparare questo, un paio di parole pronunciate male.
Che jella. Anzi, che "giella", oh yeah
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Il mondo in fascicoli
Già immagino la scena: disperato, il cliente di una lunga serie interminabile di fascicoli, si rende conto di avere perso il settantatreesimo, che non risulta disponibile nè con gli arretrati nè presso l’edicola. Deve’essere stato a luglio, quella settimana trascorsa al mare!
Quel settantatreesimo numero però conteneva il portiere, e giocare a biliardino senza l’ultimo difensore non è la stessa cosa, tanto che anche gli altri 150 numeri perdono di valore…
Mi sto riferendo, per chi non l’avesse capito, alla mani di alcune case editrici di propinare oggetti per lo più inutili (dal classico galeone al puzzle 3d, dalla macchina telecomandata all’ultima trovata, quella appunto del biliardino) in versione plasticosa smontati in centinaia di pezzi: uno per ogni uscita della raccolta. E se poteva avere un senso il gadget per certe collezioni in fascicoli (per esempio la riproduzione di monete per l’enciclopedia della numismatica, la lenta di ingrandimento per quella filatelica), proprio non si capisce come si possano riempire le pagine di una enciclopedia, con dvd, del biliardino.
Spiegando quante cose divertenti si sarebbero potute fare se non si fosse perso quel settantatreesimo fascicolo…
Di fatto è un’Unione
Il naming è un attività in cui sono spesso coinvolti i professionisti della comunicazione e che consiste appunto nello studio di un prodotto, delle sue caratteristiche, del suo mercato, per attribuirgli un nome adatto. Non pensate quindi a marito e moglie che discutono se chiamare il figlio Guglielmo Federico o Axelmaria: in questo caso i genitori non sanno come sarà il figlio, devono tirare a indovinare, e infatti possono commettere degli errori, se la chiamano Graziella e poi diventa 1,80 non va bene, se lo chiamano Felice e poi cresce malinconico neanche. Invece i professionisti della comunicazione si trovano di fronte ad un prodotto che già c’è, almeno nelle intenzioni, devono studiarlo e analizzarlo bene, prima di dargli il nome. Di esempi divertenti ce ne sono tanti, pensate alla Jetta, un automobile della Wolvkwagen che non vendette mai una vettura a Napoli, o alla Dia, Direzione Investigativa Antimafia che però, fateci caso, è anche un congiuntivo che sembra invitare a pagare senza fare tante storie. Il problema è che i professionisti fanno delle proposte, poi è il committente che sceglie, e spesso sceglie una proposta sua. Perché tutto questo parlare di naming? Perché è la nato finalmente il centro sinistra, e si chiama Unione. Quando i cattolici della Margherita e dell’Udeur lo scopriranno, fuggiranno inorriditi. Perché? Il loro partito di fatto è un unione: quindi, è un unione di fatto. Peccatum est!!!Meglio allora sarebbe stato chiamarla Matrimonio. E cominciare da subito a pensare a che nome dare ai figliocci…