L’avevo promesso e mantengo, parliamo finalmente un po’ dell’incontro tra la primavera e il genere maschile e le conseguenze nefaste di questo idillio, dopo due post dedicati alle donne ( Ombelichi e concorrenza… e La vita è bella se non è troppo bassa ).
Ok, amici maschi, fa caldo anche a voi, siete carichi come una lattina di birra dopo una centrifuga e avete più ormoni che che globuli rossi in circolo: questo non giustifica però l’eccesso di sudorazione e l’aumento di produzione salivare che vi caratterizza alla vista di qualche centimetro di pelle femminile scoperta. Calma e sangue freddo. Intanto, anzichè depilarvi le sopracciglia andando in giro con il profilo di una bambola di porcellana cinese, rasatevi sotto le ascelle, non attenterà alla vostra virilità e in compenso migliorerà la vita dei vostri compagni di viaggio in autobus. Poi riflettete cinquanta volte prima di indossare una maglietta aderente: mette in mostra più la pancia che il bicipite. Niente cappellino negli ambienti chiusi, ormai anche il cantante dei Subsonica si è rassegnato a mostrare la pelata, siate dignitosi: siete comunque meglio voi che Baccini e Ron col toupè. Pensate a tener puliti i vostri denti invece di preoccuparvi delle scarpe, che sono fatte per sporcarsi. E curate le mani: le donne le guardano molto. Sì, lo so, guardano anche il vostro sedere, ma per sistemare quello non basta certo una manicure…
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Baccini, è meglio che canti. Lascia stare la Rai…
Al liceo mi insegnarono che la critica può porsi nei confronti dell’arte in modi diversi. Tra i principali approcci c’è quello crociano, secondo il quale l’arte è una monade senza porte né finestre, cioè un universo indipendente che non ha rapporti con la vita reale, per cui occorre immergersi nel testo trascurando il contesto; e quello storicista, secondo il quale invece è importante conoscere l’autore, la sua vita, il momento in cui scrisse le sue opere, tutto ciò che insomma sta intorno, prima e dopo il testo. Io ho sempre amato il primo approccio: mi immergo in una novella di Pirandello e non mi importa che sostenesse il fascismo e che la sua vita ebbe più ombre che luci; riascolto un riff dei Nirvana e trascuro gli eccessi e lo stile di vita distruttivo di Cobain che non condivido. Da una parte l’arte, insomma, dall’altra l’artista: se qualcuno vuole conoscerlo fa bene, ma ciò concerne più la storia, la sociologia, che la letteratura o la musica.
Mi è tornata in mente questa distinzione l’altra sera guardando in tivù Baccini nella Music Farmacia, quella specie di isola dei cantanti dimenticati. Infatti è stato uno di quesi casi in cui conoscere l’artista non ti fa apprezzare di più la sua arte. Anzi. A me Baccini anni fa piaceva e molto, ritrovavo in lui alcuni atteggiamenti ironici e intelligenti dell’irripetibile Rino Gaetano (penso a canzoni come Le donne di Modena o Sono stufo di vedere quelle facce alla tivù) ma anche melodie più intense e riflessive (tra le tante ricordo una dolorosa canzone dedicata a Curcio).
Che l’artista fosse in crisi era evidente, gli ultimi due album non li ho neanche sentiti e il terz’ultimo era bruttino, per non parlare di quell’orribile parrucchino con cui si mostra in giro da qualche anno. Adesso non posso nascondere la mia delusione, è vero che l’arte è una monade, ma se si apre una finestra casualmente facendo zapping e si scopre che l’artista fa scherzi stupidi, bestemmia e dà segni di squilibrio (se fa finta è ancora peggio), be’, un po’ di amaro in bocca resta.
Richiudete la finestra: non serve a vendere nuovi dischi, e fa passare la voglia di riascoltare quelli vecchi.