Chi si occupa di marketing sa benissimo cos’è la fidelizzazione. In parole povere si tratta di rendere il cliente un “fedele” di un prodotto, un acquirente abituale.
Si ottiene ciò curando il post-vendita, con raccolte punti, con pubblicità che devono confermare al cliente di aver fatto la scelta giusta. Se poi si tratta di prodotti così cari da non poter permettere un acquisto reiterato nel tempo (tipo una BMW) allora il cliente fedele è quello così contento da fare comunque pubblicità a colleghi , parenti e amici.
Io per esempio compro quasi tutto di marca Coop (tranne le lamette, lo shampoo e qualcosa che adesso non mi sovviene).
Detto questo, l’altro giorno ho pensato a quanto debba essere frustrante per gli esperti di marketing dei prodotti per l’infanzia la consapevolezza che il loro cliente inevitabilmente uscirà fuori dalle loro griglie per… motivi anagrafici. Fidelizzato o no, prima o poi il bimbo smette di portare il pannolino. E dopo i primi sei mesi lascia il carissimo latte 1 e passa a quello “crescita”, più abbordabile. E anche se fidalizzi i genitori, al massimo riesci a replicare il successo una, due volte.
Sarà per questo che Mellin se ne frega altamente di me in quanto giovane papà e distribuisce il suo latte a casaccio, con prezzi come capita e senza il benché minimo rispetto del cliente? Un altro paio di mesi e li mollo, altro che.
Passo al latte crescita coop…
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Quelli che il codice
In questi giorni sto leggendo il Codice da Vinci.
Lo sto leggendo perché ho voluto che passasse la moda, mi sono documentato su Templari, Santo Graal eccetera per non farmi cogliere impreparato dalla storia, e adesso sono pronto ad affrontarlo criticamente. Non entro nel merito del romanzo, che è tecnicamente fatto benissimo anche se ha una prosa abbastanza mediocre e alcune grossolanità scellerate; lo farò quando l’vrò completato.
Invece mi diverte di più notare l’atteggiamente che c’è intorno al codice. Per alcuni è stata una lettura estiva, una concessione alla leggerezza, divertente ma niente di che. Quasi si vergognano di ammettere di averlo letto, e comunque se lo citano è per evidenziarne gli errori. Altri ne parlano come se averlo letto abbia aperto loro le porte della conoscenza, si eccitano al solo ricordo e puntano il dito contro il complotto che ci avvolge. Altri ancora pontificano di cavalieri del santo sepolcro e Opus Dei vantandosi del fatto che hanno letto il Codice da Vinci, tutto quanto! In fondo alla catena ovviamente ci sono quelli che il libro non l’hanno letto, ma hanno visto il film: chiacchierano molto anche loro.
Finora sono stato alla larga dalle conversazioni, trincerandomi dietro un "non l’ho letto". Devo trovare una valida scusa per continuare a estraniarmi e portare la conversazione su un più agile Harry Potter…
Quo vadiz, baby?
Salvatores torna al cinema di “genere” e questo è un bene per un cinema italiano che si inaridisce nei canoni ritriti della commedia. Il genere stavolta non è rischioso come per Nirvana di qualche anno fa (la fantascienza) ma è comunque impegnativo, il noir psicologico. Come al solito è un maestro nel muovere la cinepresa, nel dirigere gli attori, nel calibrare il linguaggio con toni ora drammatici ora ironici. Come spesso, però, ne è troppo consapevole, induce nella cinefilia, nel gusto della citazione autocompiaciuta, esagerando talvolta sino che scadere in passaggi di lirismo velleitario (soprattutto nelle riprese della defunta protagonista troppo velina per l’88 e quel suo insopportabile “Roma è come una pxxxxna, bla bla) e nella fotografia calligrafica a buon mercato (so benissimo mio malgrado che Bologna è una città piovosa e cupa ma questa sembra la Londra di Jack lo Squartatore).
Tra alti e bassi è soprattutto la sceneggiatura a incespicare: non ho letto il romanzo da cui il film è tratto, ma le coincidenze e i passaggi poco naturali sono troppi per farsi perdonare, e i colpi di scena sono imprevedibili come una pernacchia nei film di Pierino. In sintesi, caro Salvatores, bene la sperimentazione, bene gli attori (tutti bravi, dalla protagonista ai ruoli minori), bene le musiche. Bene anche aver visto tanti film e aver studiato tanto. Però non c’è bisogno di ricordarcelo ad ogni inquadratura…