Il giovane papà dovrà da subito abituarsi ai forti contrasti, perché è di ciò che si riempirà la sua giornata.
La tenerezza di avere il figlio tra le braccia che si addormenta sereno e la prontezza di riflessi di girarsi di scatto prima che l’angioletto provi a cavargli un occhio come fa scientificamente con le bambole.
L’allegria di un pranzo tutto gridolini e smancerie, e il sangue freddo necessario a recuperare ciò che resta di quel pranzo dopo il transito intestinale: ci saranno gridolini anche lì, ma se macchiarsi la camicia di sugo nella fase input è un peccato, macchiarsela dopo nella fase output è una disdetta.
O è bianco e nero, per il giovane papà, i toni di grigi sono scomparsi, evaporati come rugiada al primo sole del mattino, o come piasciatura sul pantalone di velluto dopo la lavanderia.
Archivi tag: bianco e nero
Sin City: quando si dice un fumettone
Frank Miller è un ottimo autore di fumetti americani che, visto il livello medio (Muoviti SuperCiuk, non c’è molto tempo! Dannazione Uomo Gommalacca, stavolta non mi avrai!) si è convinto di essere Dante.
Ha scritto una graphic novel (gli americani chiamano così i fumetti lunghi: allora Tex dovrebbe essere un graphic poem) che non giudico perché non l’ho letta, e ne ha tratto un film che giudico perché l’ho visto, Sin City, la città del peccato.
Non solo, Francuzzo ha pure preteso di intervenire sulla regia. Il risultato è un polpettone indigesto di due ore di squadrismo machista e sgangherato, infarcito di frasi fatte e scene pulp già (teste mozzate che esplodono, amputazioni di genitali, torture). Il direttore della fotografiaja scoperto che in digitale si possono colorare solo alcuni elementi e lasciare in bianco e nero il resto, e ripete entusiasta il trucchetto per due ore, come un ragazzino con la playstation nuova.
Dovrebbe esserci lo zampino di Tarantino, ma non c’è traccia di ironia (a parte due gangster con la fissazione dell’eloquio, completamente fuori contesto). La violenza di Tarantino è catartica, i suoi duri sono una caricatura di certi atteggiamenti da american hero. Qui no, Miller si prende maledettamente sul serio, il suo qualunquismo fracassone centrifuga pedofili e senatori corrotti, poliziotti che sfruttano le prostitute e sicari sadici, con una costruzione ad episodi della storia che, oltre ad essere poco adatta al cinema, alla fine lascia solo una sosddisfazione, quella di vedere sbudellati Vinicio Del Toro, Bruce Willis, Eliah Wood e tutti gli altri interpreti: così imparano a girare filmacci come questo.
…ma la tua festa, c’anco tardi a venir, non ti sia grave
Ieri per molti ragazzi ci sono stati gli esami di scuola media. I primi veri e propri esami, visto che quelli della scuola elementare sono stati cancellati per non “stressare” i pargoli. (come se essere circondati da genitori ossessivi con il senso di colpa e la sindrome dell’amico non fosse uno stress peggiore: ma questa è un’altra storia).
Ho nostalgia degli esami.
Gli esami erano bianco e nero, dentro o fuori. Sapevi il giorno in cui ti toccava, ti preparavi, avevi l’adrenalina a mille ma poi il gioioso svacco di dopo, un piacere difficile da recuperare. Gli esami davano un risultato certo, magari ingiusto, ma c’era. L’opaco grigiore del mondo del lavoro, invece, fatto di valutazioni strategiche, aspettative crescenti, investimenti sulla produttività, ti inaridisce giorno dopo giorno. Come un liceo che non sai quando dureraà: cinque anni, forse sette, forse trenta. Dipende dal mercato, dalla congiuntura economica, dal consiglio di amministrazione. Mai un bel voto, mai uno cattivo: tu pensi di aver superato un esame, ma in realtà bluffavano, quella era solo la prima parte, poi ci sarà la seconda, poi forse una terza.
Ho nostalgia del bianco e nero, del dentro o fuori.
E soprattutto di quello svacco del giorno dopo che ormai non arriva più…
Statale 7 Quater
Statale 7 Quater non è un romanzo spensierato da leggere per rilassarsi sotto l’ombrellone. Non è neanche una storia piacevole da raccontare mentre si aspetta il metro, non è una favola edificante o un noir con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Statale 7 Quater è un romanzo disperato, rassegnato, angosciante. Un romanzo necessario, di quelli che ti invitano a vedere quello che non sei più capace di osservare: storie di degrado urbano, di violenza, di miseria, storie che siamo abituati ad anestetizzare attraverso il tubo catodico. Ma non si può cambiare canale, quelle vite ci sono, quella sofferenza ci riguarda, possiamo disinteressarci ma non negarne l’esistenza. L’autore tratteggia con gusto del dettaglio e mano ferma panorami desolati e drammatici dai quali tuttavia emerge, come una pennellata di colore su un ritratto in bianco e nero, l’umanità di chi non si rassegna. Intorno ad una strada, che congiunge Napoli con Roma, si dipanano le storie di giovani costrette a prostituirsi, di droga, di vendette tra clan rivali, di solitudine e abbandoni, di ordinaria corruzione. Storie brutte, indiscutibilmente, ma preziose per chi considera la letteratura non tanto come evasione quanto come testimonianza. Una volta uno come Mallozzi forse si sarebbe definito un verista, uno scrittore che racconta la realtà senza far sentire la sua presenza, che la osserva in punta di piedi mentre si dispiega davanti ai nostri occhi in un lamento silenzioso.
Statale 7 Quater è un romanzo sgradevole ma necessario, un romanzo crudo che apre una finestra su una realtà degradata che vorremmo non esistesse. Ma c’è, e se ne sappiamo un po’ di più lo dobbiamo anche a questo bel romanzo di Mallozzi.