Secondo la diplomazia americana Berlusconi sarebbe incapace, vanitoso e inefficace come capo di Stato. Il governo italiano risponde: nessuno scandalo, notizie risapute.
Archivi tag: capo
La delicatezza dell’operazione
Le mani sono importanti.
Dalla loro stabilità e fermezza dipende il buon esito dell’operazione.
Un po’ di esercizio non guasterà: per esempio è un buon allenamento andare in bicicletta trasportando sui palmi precedentemente oliati alcuni grossi meloni. In fase di decollo è poi importante il silenzio assoluto, e la capacità di sollevarsi con estrema lentezza. Un qualunque movimento brusco può precludere il buon esito dell’impresa.
Se non siete in grado di sollevare un bilanciere tenenedolo perfettamente in bolla (ci sono degli utili strumenti per muratore per misurare l’inclinazione) non provateci nemmeno.
Lo spostamento è di solito la parte più facile, spceie se breve, anche se un eccesso di fiducia da parte di alcuni avventati ha prodotto sbalzi, smottamenti e conseguenti fallimenti. L’unico aspetto da tenere a mente in questa fase è il cruciale bilanciamento del baricentro, che deve essere sempre perfettamente equilibrato l’atterraggio, al contrario è il momento topico. Qui si misura il valore dell’uomo.
La manovra va preparata in partenza, onde evitare di ritrovarsi dal lato sbagliato della pista. Bene le mappe e gli schemi, ma è necessaria anche un po’ di pratica con una bacinella stracolma di acqua bollente. Altro dettaglio essenziale è la temperatura: una differenza superiore al grado manderà all’aria ogni presunzione di portare a termine la missione. La pista di atterraggio deve necessariamente essere riscaldata in anticipo.
E poi finalmente si scende, piano, con estrema dolcezza, ci si mantiene sospesi a pochi centimetri dal traguardo, poi il contatto, secco, deciso. Ecco fatto. Avete messo il piccolo a letto. Se siete stati bravi, girerà il capo e continuerà a dormire. Se avete sbagliato qualcosa, entre cinque secondi aprirà gli occhi e vi griderà in faccia tutto il suo disappunto.
Avete fallito.
Sfumature multietniche
Ieri ho giocato a calcetto con un gruppo di persone… variopinto.
C’era un peruviano, tutto tocchi di prima, samba e galanteria d’altri tempi. C’era un siciliano, l’ultimo ad arrivare in campo e attento a sedare le risse da lui stesso alimentate.
C’era un colombiano, anche lui passo felpato, eleganza malinconica e poca sostanza.
Un campano, l’organizzatore, amico di tutti.
Uno scozzese, l’unico a fare corretamente il riscaldamento senza lanciarsi subito sulla palla, con consapevolezza nordica.
Un genovese che si è esibito in un turpiloquio da fare arrossire una capo mafia cinese.
Un pugliese capace di segnare un solo di gol di rapina, nel vero senso della parola. Un giocatore dell’altra squadra, appena cominciata la partita, gli passa la palla, convinto che siano compagni. E lui la scaglia fortissimo in porta, avendo pure il coraggio di esultare.
PS. Il pugliese ero io. W l’Italia.
Orgoglio zitello
Ieri non ho fatto gli auguri alle donne. Non è stata una dimenticanza, ma una scelta dovuta al fatto che oggi quando si parla di festa delle donna non si sa di preciso a cosa ci si riferisce. Ci sono le ultrafemministe che la considerano un festeggiamento per i risultati ottenuti: e allora se fai loro gli auguri si incavolano come iene, ti guardano beffarde e ti rispondono che ci sono più parlamentari donne in Italia che in Afghanistan, e che non c’è un piffero da festeggiare, porca miseria. Ci sono le tradizionali che invece dicono che la festa della donna non ha senso, perché non ha senso discutere di diritti e genere (e costoro spesso pensano, anche se non lo dicono, che tutto sommato la vita fatta di stare a casa, accudire la famiglia e dedicarsi agli hobby non era poi così male se paragonata alla vitaccia tutta ufficio asilo e supermercato di oggi). Ci sono le soddisfatte per le quali non serve più festeggiare questa ricorrenza perché ormai uomini e donne sono pari, nella vita sociale come in quella familiare. Di solito tra questo gruppo, minoritario, si annoverano le amanti del capo che hanno fatto carriera: non sempre, ma molto spesso. E poi ci sono loro, quelle che festeggiano davvero: strappano gli slip leopardati ai palestrati in discoteca, urlano frasi oscene uscendo in gruppi femminili e si radunano per parlare male di questi uomini che non le capiscono e, soprattutto, non le vogliono. Sono le esponenti di quello che io definisco l’orgoglio zitello, o Single Pride, se preferite. Ma allora mi domando: c’è bisogno di una festa per ammettere che vi piacciono gli spettacoli discinti un po’ volgarotti, tra bevuti e sberleffi? Noi uomini non abbiamo mai nascosto di apprezzarli, e abbiamo fatto “outing” molto prima di voi. La verità, forse, è che ancora una volta la parità l’abbiamo raggiunta, ma livellandoci verso il basso.
Gli telefono o no? Io non cedo per prima..
Lui le ha detto, dopo averla riaccompagnata a casa: ciao, ci sentiamo domani. Per lui quel “ci sentiamo domani” è rituale, come quando si dice arrivederci ad una persona che sta per partire per la Groenlandia, come quando si saluta con un “buon giorno” anche se diluvia e ci sono i presagi di un terremoto.
Per lei no.
Per lei quel “ci sentiamo domani” significa: “domani ti telefonerò per dimostrarti quanto ti ami, quanto la tua presenza dia conforto nei momenti difficili e risplenda luminosa nelle mie giornate”. Non necessariamente, però; può anche voler dire: “domani verrò a casa tua, so che sei fuori per lavoro ma aspetterò in portone tutto il pomeriggio oppure entrerò a chiacchierare del tempo e di Beautiful con tua nonna (a proposito, Brooke è ancora viva e sfiglia che è un piacere), e aspetterò il tuo arrivo per dirti quanto ti ami, quanto la tua presenza dia conforto nei momenti difficili e risplenda luminosa nelle mie giornate”. Poi succede che lui non le telefona. Non c’entra niente con il conforto, l’illuminazione e tutto il resto: è che c’ha da organizzare la partita di calcetto con gli amici, ha il cellulare che non scarica le suonerie polifoniche e il capo con la luna storta, insomma se ne dimentica. E a lei si gonfia lo stomaco come un pallone di rugby, i muscoli si irrigidiscono in una morsa d’acciaio e tutto, il respiro del collega del piano di sotto, il vento che muove le foglie e le auto per strada diventano insopportabilmente irritabili.
Finché lei non lo richiama, furibonda, offesa, delusa e umiliata dopo due giorni, e già immagina di essere stata tradita con una squadra femminile di sollevamento pesi, alza la cornetta, sta per scaricare 10000 watt di incazzatura, e sente la sua voce. “Ciao bella, come va? Andiamo a vedere Guerre Stellari sabato?”