La chiamarono “benzina verde” semplicemente perché conteneva un po’ meno piombo, e certo non perché profumasse di eucalipto.
Poi ci sono state le marmitte ecologiche, così chiamate non perché amassero l’ambiente ma perché puzzavano meno di altre. E gli “eco-incentivi”, per cambiare macchina e produrre nuovi rifiuti.
Adesso siamo al capolavoro nominalista dei chiacchieroni del marketing industriale: il carbone pulito. Un carbone profumato che non sporca e non lascia odori. Dico davvero, si chiama così. Si tratterebbe di una tecnologia che brucia il caro vecchio carbone come ai tempi degli sfruttati di Dickens, ma il fumo non lascia che inquini il cielo: lo infila sotto terra. Che menti, che hanno i nostri industriali ecologici. Intanto, il buco dentro il quale il gas dovrebbe essere infilato non è mai vicino alla centrale, ma a centinaia di chilometri di distanza. Tanto per garantire un po’ di commesse ai tubifici e alle scavatrici che dovranno martoriare il sottosuolo per infilarci i tubi porta gas. Poi, questo gas dovrebbe rimanere bloccato per un paio di secoli, e poi diventare cristalli puzzoni.
Un altro regalo per i nostri nipoti, che già si troveranno un cielo nero radioattivo e un’aria irrespirabile, quando scaverano nel sottosuolo magari per seppellirsi e farla finita, troveranno i nostri ricordini.
Signori miei, non prendeti in giro: il carbone pulito, chiamiamolo per quello che è: una discarica. Morire sì, ma non da fessi…