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L’insostenibile divergenza con la coppina

Prima o poi sapevo che sarebbe accaduto.

Sono entrato, mi sono guardato intorno, mi sono fatto prendere dallo sconforto. Che ci faccio, qui? Mi sono detto.
E l’ho fatto. Sono uscito.

È vero, abbiamo alle spalle una storia di conoscenza e rispetto, se non affetto, che risale al secolo scorso. È vero, non passerei alla concorrenza dell’imprenditore lombardo un po’ fascio nemmeno se l’alternativa fosse la fame. Al limite posso tradirti con i cugini del Conad. È vero, negli ultimi anni ho cominciato a fare la spesa e a frequentare i discount semplicemente perché sei diventata troppo cara per me. Ma da lì ad arrivare a tanto…

D’altronde il museo archeologico nel reparto sulla destra non si smentisce. La frutta è come quelle principesse egizie dei film d’avventura rinchiuse nelle piramidi: appena usciti dal tempio si polverizza. Il reparto carne ormai è più piccolo di quello dei prodotti per cani e gatti. Ci sono tantissimi piatti pronti per single o anziani soli, ma io al momento non appartengo a nessuna della categorie. Poi vino, tantissimo vino accompagnato da alcolici vari e super alcolici, bello ma inutile per me che sono praticamente astemio e magari vorrei un po’ di pesce che non fosse surgelato. Un esperto di marketing direbbe che sono fuori target.

Insomma, sabato mattina sono entrato nel negozio “In coop” vicino a casa mia, quello che familiarmente chiamo coppina, ho fatto un giro dentro e sono uscito senza comprare niente. Tutto esasperatamente caro e scelta probabilmente adeguata a un giovane, vegano, con qualche problema con l’alcol e cane e gatto viziato al seguito. Insomma niente che mi appartenga.

Chi mi conosce sa che sono un utente dei supermercati Coop da sempre, ma ormai mi diventa sempre più difficile collocarmi come acquirente per mera questione ideologica. La coppina in questione mi è simpatica, si respira un’aria da lotta sociale anni Settanta (dovrebbe chiudere alle venti, ma già alle diciannove e dieci un messaggio in filodiffusione comincia a ricordare che sta per chiudere, sta per chiudere, uscite, presto, fuori di qui dannazione!). Poco spazio anche per servizi quali prestito sociale o telefonia: lo spazio dedicato è praticamente chiuso e incellofanato e il messaggio è chiaro, qui si fa alla vecchia, se vi interessano i fronzoli andate in un ipermercato.

Ahimè, anche l’ipermercato non è qui quello di una volta, dove andremo a finire signora mia: adesso ci sono dei ristorantini di sushi in mezzo alle corsie e spazi per la socializzazione con caffè e merendine. Per un utente funzionalista come me che vuole gli stessi prodotti e in fretta, limitando al massimo l’interazione al buongiorno alla cassiera, è la fine.

Il mondo cambia e io no, è evidente. Alla fine sono andato a fare la spesa nel supermercato Coop un po’ più distante, che difende ancora i valori dei vecchi come me: carne buona (e anche un po’ di pesce), frutta e verdura decente, vino sì ma non da cirrosi, soia, kamut e altre diavolerie da Cosmopolitan poche e non pretenziose.

Ora e sempre resisteremo!

Le cassiere della Coop

Fino a qualche tempo fa, ero un cliente affezionato della Coop, in particolare dei prodotti a marchio Coop. Un mio amico che venne a trovarmi mi disse che a casa mia solo i televisori non avevano il classico ogo rosso. Da qualche tempo non è più così, nel senso che i prezzi sono aumentati e gli stipendi no, con la logica conseguenza che anche per fare la spesa ho dovuto cercare punti vendita meno cari.

Però c’è qualcosa che mi manca, della Coop, e sono le signore della cassa. Hanno fatto di tutto per ridurne il numero. Prima il machiavellico Salvatempo, la pistolina a salve che se non puntata alla perfezione può farti spendere cifre imprevedibili:  eri convinto di aver introdotto il codice del sugo al pomodoro e invece hai beccato lo schermo 43 pollici più dietro. E quando ti tocca il controllo, figlio mio, sono guai. Non perché tu abbia rubato, ma perché saranno loro a rubarti almeno una mezz’oretta.

Poi, come se non bastasse,  è arrivata la cassa fai dai te, quel circuito infernale in cui se vuoi usare i buoni pasto devi chiamare l’addetto, se appoggi male il pane devi chiamare l’addetto, se non vuoi sacchetti (ma perché non vuoi i sacchetti? Se sicuro? Facile sia necessario l’arrivo dell’addetto). Nei centri commerciali portarsi il sacchetto da casa evidentemente è considerata una operazione tipica dei rapinatori e dei serial killer. Ho un sacchetto portato da casa, fate quel che vi dico  e nessuno si farà male.

Però per fortuna loro sopravvivono ai maldestri tentativi di ottimizzazione aziendale
Con quell’aria di mamma stanca che però sorride comunque quando passa la confezione di biscotti in offerta e sospira chiamando la mitica assistenza quando un codice a barre non passa. Da qualche parte nella Coop c’è un uomo o una donna pagata per conoscere a memoria il prezzo di qualunque prodotto: se la cassiera è in difficoltà, interviene lui. Non so darmi altre spiegazioni, se i prezzi fossero online ci sarebbe bisogno del mitico uomo dell’assistenza so-tutto-io. O magari hanno solo una password per accedere al database e ce l’ha lui.

Ad ogni modo, sinceramente non so se la riconoscibilità delle cassiere della Coop sia dovuta a una particolare selezione del personale, oppure se al contrario è il ruolo che in un certo qual modo ti modella come persona.
Tanto per cambiare, hanno sempre una cinquantina d’anni. Se sono più giovani ne mostrano di più, se sono più anziane ne mostrano meno. La divisa è costituita dalla maglietta rossa e dalle meches. Le cassiere della Coop hanno sempre le meches, o quel tocco di colore chimico che è praticamente obbligatorio se si hanno tra i quaranta e i cinquanta anni e si è donne. Ogni tanto c’è qualche uomo, a dire il vero, ma io evito sempre le file degli uomini. Non reggono lo stress, non gestiscono con flessibilità la gestione dei bollini, vanno in tilt se gli chiedi una ricarica. La cassa non è adatta a personalità semplici come quelle maschili, loro vanno bene alla catena di montaggio, il multitasking che richiede il ruolo di cassiera li mette in crisi.

Le cassiere della Coop invece sopportano, contano i venti euro degli anziani in monete da 10 e 5 centesimi (dove diavolo recuperano tante monetine gli anziani? Mica possono prenderle dalle fontane, con i reumatismi che hanno!). Accettano  che si lasci qualche prodotto se i contanti non bastano, ricordano di passare la carta Coop.

Mi mancano un po’, le cassiere della Coop, anche perché le ragazze del posto dove vado adesso nella metà del tempo non solo passano tutti i prodotti ma pesano pure frutta e verdura. Non perché siano più efficienti, ma perché sono più controllate dai datori di lavoro. E in parte io sono complice di questo meccanismo oppressivo.

Se divento ricco, spendo tutto in viaggi, beneficienza, e torno a fare la spesa alla Coop.

Frankie viene a casa con me

vitaminiSono 120 euro e 27 centesimi.Vuole lo sconto punti?

– Nessuno sconto punti.

– Le scarico il ristorno?

– Il ristorno resta dov’è, grazie.

– Uh…va bene. Però devo toglierle 50 centesimi di sconto sul dentifricio, fanno..

– Pago i 120 euro, lei non toglie niente, mi stampi lo scontrino. Pago i 120 euro, mi servono quei dannatissimi 6 bollini per portarmi a casa Frankie Fico quindi lei stampa lo scontrino e va bene così. La commessa, colpita da quel papà esaurito che aveva fatto la spesa mancando solo di 27 centesimi in eccesso l’obiettivo, regalò altri 6 bollini. Di questo passo presto anche Bob Broccolo sarebbe stato arruolato

28 novembre 2014: dopo 5 anni si torna in libreria

Il 28 novembre 2014 sono tornato in libreria: non come lettore, visto che le frequento con una certa costanza, ma come scrittore. La libreria era quella Coop del Centro Lame, un contesto eccellente grazie alla preziosa collaborazione di Ottavia Carli, e devo dire che l’avventura di “Chiamami Legione” non poteva partire meglio.

presentazione_28_11Il testo è stato presentato con profondità e chiarezza dalla giornalista Camilla Ghedini, che in soli due giorni (mea culpa!) è riuscita non solo a leggere il romanzo, ma anzi a coglierne il senso più profondo, mi verrebbe da dire quasi spirituale, che in fin dei conti è un inno alla vita e alla speranza. Oltre che il mio personalissimo ringraziamento all’universo femminile, perché come ho avuto modo di scrivere nei ringraziamenti, altro che Lara Croft e Wonder Woman, sono le donne, mogli, madri, sorelle e figlie, le vere eroine dei giorni d’oggi.

Camilla mi ha fatto alcune domande che sono servite a esplorare le varie sfaccettature di una storia che ha l’ambizione di intrecciare la narrativa poliziesca più tradizionale con il mondo fantasy tradizionalmente legato ai romanzi per ragazzi ma che ultimamente sta vivendo una seconda giovinezza grazie sopratutto alle trasposizioni cinematografiche dei grandi classici,

Con lei c’erano Debora Pometti e Romano Romani (nella foto, eccoci tutti e quattro) che come al solito hanno impreziosito con le loro letture musicate alcuni brani del mio romanzo, che abbandonano le pagine per alcuni minuti e acquisiscono vita propria liberandosi nell’aria ed emozionando, ne sono sicuro, i presenti.

presentazione_28_11_bisE così siamo ripartiti, Non sarà l’unica presentazione, ovviamente. In programma sicuramente un’altra presentazione a Bologna in una delle rassegne che l’anno prossimo organizzeranno l’associazione Libri e Dintorni, e poi a Statte, il mio paese di origine, che torna a essere protagoniste in questa storia.

Se vorrete seguirmi, siete tutti invitati.

Il marketing ai tempi di Peppa Pig

bimbeLa mattinata di sabato scorso è stata piuttosto intensa e abbiamo sfiorato un piccolo dramma familiare, ma se non altro mi è servita per ripassare due o tre concetti di marketing che credevo di aver dimenticato.

  1. Se operi nel commercio, devi analizzare il mercato e orientarti verso la clientela le cui caratteristiche la rendono per te più vantaggiosa. Trascura quelle meno redditizie, se necessario, ma non trascurare i tuoi clienti più affidabili. in un periodo di crisi un papà può rinunciare al giornale e al caffé, ma non rinuncerà ad allietare il fine settimana di sua figlia. Per cui devi avere assolutamente le patatine con la sorpresa.
  2. Non basta; devi avere le antenne sempre alzate e captare le tendenze dell’opinione pubblica. Cioè devi avere assolutamente le patatine di Peppa Pig. Perché se ci sarà in futuro un’etichetta per il secondo decennio del secolo, sara “l’era di Peppa Pig”.
  3. Le scorte vanno riassortite in fretta, e il magazzino gestito con flessibilità e raziocinio. Se avevi le patatine di Peppa Pig la settimana scorsa, ma per qualche motivo non ce n’è più traccia mentre quelle delle tartarughe Ninja sono ancora lì, svegliati! Le tartartughe sono il passato! Devi riempire in fretta la mensola di patatine di Peppa Pig! Se possibile, riempirne un settore intero.
  4. Se hai risposto affermativamente ai punti precedenti, allora devi comunicare alla clientela la tua condizione: hai una killer application, hai le patatine di Giuseppina Maialina, diamine tutti devono saperlo.

Il marketing nel mio quartiere è materia sconosciuta. La piccola Coop non ha mai avuto le patatine in questione, e nemmeno il negozietto di stranieri (magari sono pakistani e non mangiano il maiale, e nemmeno le patatine con l’effige del maialina. Hai visto mai. No, no, non ha senso, i pakistani vendono ettolitri di vinello, se è per questo). La Coop più grande ce le aveva, ma le ha finite. La Conad (siamo arrivati fino alla Conad! Alla fine mia figlia era esausta) ha una varietà di patatine assolutamente fuori dal mercato: Sponge Bob, Monster e Co., Hello Kitty. Sconfitti, abbiamo ripiegato su quest’ultima dopo un peregrinare di oltre un’ora.
Se qualcuno sa dove trovare le maledettissime patatine di Peppa Pig, me lo dica entro sabato prossimo. Fino a 200 km di strada posso farli.

Un papà lo riconosci

alla_coopUn papà lo riconosci perché è quello che si gode il suo impianto surround 5.1 che gli è costato tanti sacrifici per ascoltare i grugniti della famiglia Pig con il ritorno del subwoofer.

Un papà lo riconosci perché è quello che non ricorda dov’è il suo portatile ma ha una mappa mentale della maggior parte dei ciucci disseminati per la casa, compreso quello nascosto per le emergenze.

Un papà lo riconosci perché è quello che da quando qualcuno lo sveglia tre volte a notte ha risolto ogni forma di insonnia da stress professionale.

Un papà lo riconosci perché è quello che cambia canale quando c’è una scena di sesso in tivù e il giorno dopo prova a recuperarla su Youtube.

Un papà lo riconosci perché è quello che alla Coop usa il carrello al contrario (per chi non l’avesse capita, guadate la foto. Ta-da, bravi bravi, adesso tornate a leggere il resto)

Un papà lo riconosci perché l’ultimo numero di telefono in agenda che una donna gli ha passato era di una babysitter.

Un papà lo riconosci perché è quello che magari esce senza cellulare e occhiali ma ha sempre le salviettine e un pannolino d’emergenza.

Un papà lo riconosci perché è quello che ha cancellato Playboy dai preferiti e l’ha sostituito con Bimbibo.

Un papà lo riconosci perché è quello per cui una punizione non è più il tiro a rientrare di Platini ma i cinque minuti in un angolo per la figlia disubbidiente.

Un papà lo riconosci perché se una volta scriveva romanzi, adesso scrive battutine su facebook; se una volta coltivava l’orto, adesso innaffia una piantina sul davanzale; se una volta leggeva giornali, adesso sbircia i titoli del Televideo. [*l’autore di questo post non ha mai coltivato l’orto, ndr]

Un papà lo riconosci perché è quello contento quando piove, perché dentro di sé pensa almeno oggi niente parco.

Un papà lo riconosci perché è quello che è tranquillo quando arriva in ufficio perché sa che lì nessuno gli nasconderà le chiavi.

Un papà lo riconosci perché è quello rannicchiato in fondo allo scivolo con le braccia aperte, in attesa che dieci chili di felicità lo riconoscano e gli si lancino contro, e tutto il resto non conta.