Per anni ci hanno riempito la testa con messaggi che reclamizzavano la presenza di ingredienti magici nei prodotti che acquistavamo. Dalle pro-vitamine all’omega 3, l’elenco fatto di strani nomi che vagamente ricordavano termini scientifici o medici, è sterminato.
Poi evidentemente qualcosa nel meccanismo si è rotto. Noi non ce ne siamo accorti, ma siamo entrati nell’era del senza. Ai primordi di questo passaggio c’è la madre di tutte le privazioni, il senza zucchero: improvvisamente caramelle, gomme da masticare, bevande e dolci perdevano il loro elemento caratterizzante di sempre (e acquistavano l’aspartame sui cui effetti collaterali c’è più di qualche dubbio, ma questa è un’altra storia).
Gli americani, più politically correct, usavano espressioni più ambigue, come "light", leggero: noi no, dritti al cuore del problema, senza zucchero. E anche la benzina che qualcuno ha provato a battezzare verde (uno degli ossimori più divertenti dello scorso decennio) da noi è sempre stata "senza piombo". Adesso, in piena era del senza, ecco i succhi di frutta senza zuccheri aggiunti, gli yogurt senza conservanti, le brioche senza aromi, le vernici senza additivi, i formaggi senza grassi. Quasi sempre è roba buona, per cui ti chiedi perché diavolo ce li mettevano, quegli additivi.
Poi capisci che non è il caso di polemizzare: siamo nell’era del senza.
Il prossimo passo sarà pane senza companatico.
Passo che in tanti purtroppo hanno già fatto e non certo per sentirsi light.
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Per l’Auditel siamo in Cina
La battuta più simpatica sul festival l’ho sentita oggi alla radio e l’ha fatta il comico e musicista Patrucco. Ma se quindici milioni di persone erano davanti alla televisione, e altri venti milioni erano sparsi sugli altri canali, se aggiungiamo i tre o quattro milioni che guardavano Sky, quelli che navigavano su Internet, quelli che sono andati al cinema, al teatro o a farsi una pizza con gli amici, quanti diavolo sono gli italiani?
Miracolo dell’Auditel, per una settimana, a febbraio, siamo più numerosi dei cinesi.
Coppa America
Ma se è una competizione svolta a Valencia, in Spagna, dove le finaliste sono state italiane, svizzere e neozelandesi, perché diavolo si chiama Coppa America?