Che Donadoni sia una persona cortese e perbene nessuno ha dubbi, sia quando era calciatore che dopo ha sempre mostrato classe e sobrietà.
Qualche dubbio sorge invece sulla sua furbizia, perché accettare l’incarico di allenare la nazionale campione del mondo dopo Lippi e senza avere particolare esperienza è stata sicuramente una scelta coraggiosa ma forse avventata. A parte le tre colossali brutte figure che Donadoni ha sinora raccolto, e per le quali non sempre è responsabile (certo che far esordire Semioli a Parigi, perdindirindina…), il problema è che agli occhi di tutti, me compreso, egli incarna l’odioso ruolo di raccomandato.
Un conto è che vinci scudetti, coppe dei campioni, coppe europee prima di arrivare in nazionale, come è successo per Sacchi,Trapattoni e Lippi. C’è un curriculum, ci sono risultati riconosciuti. Un conto è che mostri una lunga carriera "aziendale" come Zoff e Vicini. Ma se ti presenti dopo una stagione di campionato di serie A con una squadra di medio livello in cui per giunta sei stato esonerato, allora il dubbio che la tua amicizia con il vicepresidente della Federcalcio abbia inciso sulle scelte si fa pesante.
Neppure in Rai si è mai arrivati a piazzare un neolaureato con qualche mese di esperienza al Gazzettino di Vattellapesca a dirigere il TG1. Neppure nelle aziende padronali il rampollo di famiglia diviene subito amministratore: qualche anno al marketing o alle pubbliche relazioni gli toccano. Eppure è successo in nazionale. Di solito i raccomandati sono attaccatissimi alle loro porltrone e non vogliono sentire parlare di dimissioni. Vediamo se il ct ci smentisce o ci tocca aspettare un’altra umiliazione dalla Ucraina…
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E bravo Donadoni
Tutti gli appassionati di sport prima o poi sognano di diventare allenatori della nazionale e fare un po’ quello che gli pare, scegliere i giocatori a casaccio, inventarci un modulo, mostrare la nostra fantasia e la nostra genialità. Più o meno è quello che consentono di fare molti videogiochi, con i quali ci si può divertire ad assemblare le formazioni più improbabili e disparate. Donadoni non si è accontentato dei videogiochi, l’ha fatto davvero. Posto di fronte ad una passerella estiva che doveva celebrare il trionfo della nazionale ma si è rilevata piuttosto inutile, ha scelto dei giocatori che gli stavano simpatici senza seguire alcun criterio che non fosse la sua immaginazione (non venite a dirmi che si cercano giovani per rigenerare la squadra maggiore, Liverani e Luccarelli erano giovani dieci anni fa, e poi dell’Under 21 di Gentile non c’era granché). Il risultato è stato l’umiliazione dei colori nei quali ci siamo identificati tutti qualche settimana fa: è non può dire, Donadoni, che va tutto bene, che è soddisfatto, che i ragazzi hanno giocato bene. Ammetta che è stata una bruttissima figura, una partitaccia oeganizzata male, aggravata dal comportamento incomprensibile dei livornesi (ma il genio è stato chi all’ultimo momento ha deciso di spostare la partita da Taranto, dov’era prevista, a Livorno: complimenti). Per carità, lui è in una situazione difficile, fa l’allenatore della nazionale perché nessun altro voleva ricoprire quel ruolo nel dopo Lippi. Libero di fare gli esperimenti che vuole, ma in palestra, in allenamento, in tuta. Quando si va in campo, ci si comporta da professionisti, e se si perde, per piacere, si ammettano i propri errori. Nessuna condanna, ma smettiamola con l’autoassolverci sempre e comunque…
Le strampalerie del Livorno
Sicuramente rallegrarsi, entusiasmarsi e sentirsi felici per un risultato calcistico è infantile. Se poi a vincere non è la propria squadra (il Taranto ha perso anche ieri, stiamo per dare l’ennesimo addio al professionismo, l’anno prossimo si torna a giocare con le squadre rionali) ma una squadra che neanche si conosce bene, come il Livorno, davvero bisogna riflettere. Ma volete mettere la soddisfazione di veder perdere il Milan contro la tifoseria più divertente -la trovata delle bandane è la più spassosa viste finore- d’Italia? Volete mettere il piacere di vedere la fantasia, l’estro e l’inventiva di Donadoni, uno che anche quando era al Milan ha preso le distanze dalle scelte politiche del presidente, contro gli schemi, la quadratezza e la pesantezza di una persona che trasuda servilismo come Ancelotti? Insomma, forza Livorno, la vittoria di ieri è stata la migliore soddisfazione calcicistica di un anno poverissimo. E non ha significati politici: se il Livorno fosse stato l’espressione della sinistra, avrebbe giocato in nove perché in due si sarebbero ritirati, avrebbe segnato un paio di autogol, avrebbe avuto un paio di giocatori indecisi se passare al Milan (così, su due piedi, durante la partita), non avrebbe esultato dopo il gol per senso di responsabilità istituzionale, avrebbe regalato il pareggio alla fine per pacificazione, avrebbe perso la metà del tempo a discutere su chi dovesse battere i calci d’angolo e soprattutto, mai, mai, in nessun caso, avrebbe vinto: gli sarebbe sembrata una strampaleria.