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Cannetobicc

Il lido di Saturo

Quando avevamo quindici anni Saturo voleva dire Cannetobicc, la spiaggia di Leporano alle porte di Taranto raggiungibile con l’autobus.
Ci voleva un’ora e più per arrivarci, ma voleva dire libertà, indipendenza, voleva dire sentirsi grandi.

Il tramonto a Saturo

Ieri sera ho scoperto che Saturo è anche un parco archeologico purtroppo un po’ trascurato (in America con degli scavi così ci avrebbero fatto un’attrazione turistica nazionale). L’insediamento risale al paleolitico di cui però ci sono poche tracce, qualche pietra qua e là, mentre più evidenti sono i resti di una villa romana. La zona doveva essere molto bella fino a quando le incursioni gotiche non la resero poco sicura.

La serata è stata caratterizzata da una visita guidata e da un’osservazione del cielo notturno. Tutto molto suggestivo anche se la cosa più bella che ho visto è la passione dei volontari che preservano la storia e la vita di questo parco e della loro terra.

http://www.parcosaturo.it/

La fine dei giochi, di Luciano Vitali

Capita talvolta leggendo i romanzi di autori esordienti o magari i manoscritti che qualcuno ti propone per chiedere un parere di osservare come a fronte di un?estrema cura nei confronti dello stile, delle scelte lessicali, della parola se vogliamo ad effetto, della frase emblematica non corrisponde altrettanta attenzione nei confronti della struttura narrativa, della trama, del ritmo, dei pesi dei personaggi.
Volendo usare un termine caro alla narratologia, diremmo che c?è più cura alla fabula che all?intreccio, come se ci si trovasse di fronte a tante belle pagine a cui però manca un forte filo conduttore che le tenga assieme. Non è quello che capita a Luciano Vitali Roscini, autore di “Fine dei giochi”: neanche una parola è sprecata, non c?è spazio per i virtuosismi dell?autore e le digressioni filosofiche, qui c?è tanta sostanza, uno stile asciutto, concreto, netto. Tutto ha inizio con una notizia sconcertante, Bianco, un amico di Marco, si è tolto la vita in cella. Marco, che più che un criminale è uno sfaccendato che vive facendosi mantenere dalla madre, non ci sta, non riesce a credere che Bianco si sia tolto la vita, e decide di intraprendere una personale ricerca della verità, anche perché non crede nella volontà delle forze dell?ordine che anzi, sospetta stiano a guardare dietro una guerra di mala che sta facendo fuori molti criminali del Pilastro.
E così cominciano le indagini di cui non voglio svelare troppo, se non anticiparvi che il racconto si muove su due binari paralleli: le indagini di Marco, che avvengono nel presente storico della narrazione, e la vita di Bianco, che è ignota a noi ma anche a Marco stesso. Tra i due piani narrativi ci sono alcuni anni di differenza. L?espediente è molto efficace perché ci troviamo da un lato a scoprire alcuni dettagli insieme al protagonista, dall?altro ci sono alcuni aspetti di Bianco che noi conosciamo, perché il romanzo ce li ha resi evidenti, ma che Marco non conosce. Una via di mezzo insomma tra il giallo classico, quello alla Agata Christie insomma, in cui il finale si svela alla fine, e quello, un po? alla Derrick per intenderci, dove invece noi sappiamo già chi è il cattivo ma ci domandiamo quando e come lo scoprirà il protagonista.
Un?altra piacevole sorpresa è quella di trovarsi di fronte a personaggi che si fa fatica a inquadrare in categorie o prototipi. Il protagonista, Marco, con cui è facile che il lettore si identifichi, è animato da amicizia e lealtà, ma è anche un irresponsabile, un eterno adolescente, qualcuno direbbe un bamboccione. Bianco è un criminale bello e maledetto, però non esita a ricorrere all?omicidio per non perdere l?onorabilità e la fama nel branco; Alce e Negus ispirano simpatia, ma sono dei bestioni che trasudano violenza. Persino Remo, uno dei vecchi, dei capi della malavita, fa quasi tenerezza mentre scruta fuori dal suo negozio spaventato da una guerra che prima o poi lo coinvolgerà.
Unica speranza: le donne, quando non cedono anche loro al fascino del boss.

Cervi a primavera

L’avevo promesso e mantengo, parliamo finalmente un po’ dell’incontro tra la primavera e il genere maschile e le conseguenze nefaste di questo idillio, dopo due post dedicati alle donne ( Ombelichi e concorrenza… e La vita è bella se non è troppo bassa ).
Ok, amici maschi, fa caldo anche a voi, siete carichi come una lattina di birra dopo una centrifuga e avete più ormoni che che globuli rossi in circolo: questo non giustifica però l’eccesso di sudorazione e l’aumento di produzione salivare che vi caratterizza alla vista di qualche centimetro di pelle femminile scoperta. Calma e sangue freddo. Intanto, anzichè depilarvi le sopracciglia andando in giro con il profilo di una bambola di porcellana cinese, rasatevi sotto le ascelle, non attenterà alla vostra virilità e in compenso migliorerà la vita dei vostri compagni di viaggio in autobus. Poi riflettete cinquanta volte prima di indossare una maglietta aderente: mette in mostra più la pancia che il bicipite. Niente cappellino negli ambienti chiusi, ormai anche il cantante dei Subsonica si è rassegnato a mostrare la pelata, siate dignitosi: siete comunque meglio voi che Baccini e Ron col toupè. Pensate a tener puliti i vostri denti invece di preoccuparvi delle scarpe, che sono fatte per sporcarsi. E curate le mani: le donne le guardano molto. Sì, lo so, guardano anche il vostro sedere, ma per sistemare quello non basta certo una manicure…