Ahmed Ismail Jatib aveva 12 anni, e chissà quante speranze davanti a sè. Forse voleva fare il pilota, o forse l’architetto, o il musicista.
Chissà.
Non ci sarà dato saperlo perché Amhed è stato assassinato sabato scorso dall’esercito israeliano. L’unica colpa, quella di giocare con un fucile giocattolo, in una terra dove il gioco, il fare finta che, l’immaginazione e il sogno sono stati banditi da decenni. L’hanno scambiato per un estremista palestinese, bum bum, addio architetto, addio pilota, addio Ahmed. Di bambini ammazzati nell’indifferenza collettiva ce ne sono tanti, troppi: sia che lancino pietre o che giochino alla guerra perché non hanno visto altro in vita loro, troppo spesso trovano un eroico difensore della libertà occidentale pronto a trivellargli le budella.
Ma Ahmed non era un estremista, e neanche i suoi parenti. Hanno deciso di donare gli organi che salveranno alcuni ebrei, visto che il bambino era stato trasferito in una struttura israeliana. Chissà che questo gesto immenso non serva a far riflettere il prossimo eroe che si sente tanto fiero del suo mitra e lo faccia esitare un istante prima di fare di nuovo bum bum contro una creatura innocente.