Chi si occupa di marketing sa benissimo cos’è la fidelizzazione. In parole povere si tratta di rendere il cliente un “fedele” di un prodotto, un acquirente abituale.
Si ottiene ciò curando il post-vendita, con raccolte punti, con pubblicità che devono confermare al cliente di aver fatto la scelta giusta. Se poi si tratta di prodotti così cari da non poter permettere un acquisto reiterato nel tempo (tipo una BMW) allora il cliente fedele è quello così contento da fare comunque pubblicità a colleghi , parenti e amici.
Io per esempio compro quasi tutto di marca Coop (tranne le lamette, lo shampoo e qualcosa che adesso non mi sovviene).
Detto questo, l’altro giorno ho pensato a quanto debba essere frustrante per gli esperti di marketing dei prodotti per l’infanzia la consapevolezza che il loro cliente inevitabilmente uscirà fuori dalle loro griglie per… motivi anagrafici. Fidelizzato o no, prima o poi il bimbo smette di portare il pannolino. E dopo i primi sei mesi lascia il carissimo latte 1 e passa a quello “crescita”, più abbordabile. E anche se fidalizzi i genitori, al massimo riesci a replicare il successo una, due volte.
Sarà per questo che Mellin se ne frega altamente di me in quanto giovane papà e distribuisce il suo latte a casaccio, con prezzi come capita e senza il benché minimo rispetto del cliente? Un altro paio di mesi e li mollo, altro che.
Passo al latte crescita coop…
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Lo sfidante e l’imbecille
Avete presente i quiz di Mike Bongiorno?
C’è lui, il giudice imparziale, il campione e lo sfidante. Bene, perché lo sfidante, in italiano, è colui che sfida. Lo sfidante dunque è una persona, al limite un animale che attacca il capobranco per prenderne il posto. Non può essere un progetto, un prodotto o un’idea.
A meno che voi non vi occupiate di marketing e amiate scimmiottare l’inglese (le due cose sono spesso collegate). Allora improvvisamente tutto ciò che occupa lo spazio semantico tra insignificante e irrangiubile diverrà sfidante. Questa è una richiesta sfidante. Questo sì che è un patto sfidante.
Che c’entra l’inglese? In inglese il participio aggettivato challenging (dall’inglese medievale chalengen che a suo volta viene dal normanno chalenger e quindi dal caro latino calumniari) vuol dire sì sfidante, come per gli italiani, ma anche "che pone in una condizione di sfida". In effetti se uno ti calunnia ti sfida a dimostrare il contrario, per difendere la tua dignità: l’etimologia non mente mai. Ma in italiano? In italiano si può usare impegnativo, stimolante, provocatorio, interessante, provocante…Non sfidante.
Anche perché certi esperti di marketing non subiscono una calunnia: se qualcuno li considera degli imbecilli, sta descrivendo un fatto.