Una delle parabole evangeliche più incisive da un punto di vista letterario è quella dei talenti: c’è chi ne ha tanti e li sa fa fruttare, chi ne ha di meno, chi ne ha pochi e non valorizza nemmeno quelli.
Ma i talenti da cui partire ci vogliono. Sono essenziali. Noi viviamo in un tempo in cui una certa filosofia pressapochista e superficiale mischiando culture orientali e marketing americano ci ha convinti del fatto che le motivazioni e la volontà possono sopperire al talento. E se n’è convinto anche Lippi, che ieri ha continuato a ripetere che se la nazionale stavolta è andata malissimo è perché non è riuscito a motivarli. Falso. L’allenatore non è un guro carismatico che con la sua forza trasforma un mediocre giocatore in un campione. Certo che le motivazioni sono importanti, certo che ci vuole la volontà e la stima in se stessi. Ma si tratta di "moltiplicatori": se il valore iniziale, il talento, è zero, o uno, non moltiplicheranno un bel niente.
Questo Lippi sembra continuare a negarlo: se nel 2006 ha vinto è perché ha scelto giocatori di talento, e su quella base ha formato il gruppo. Stavolta invece si è portato dietro soldatini obbedienti, ossessionato da questa favola del gruppo, lasciando a casa i giocatori talentuosi ma che potevano oscurare la sua figura di leader della missione. E i risultati si sono visti.
Il problema però non è tanto la nazionale. Abbiamo perso, pazienza. Il vero dramma è la diffusione di questo pensiero sconcio e appiccicoso, questo "se ci credi niente è impossibile" che da un lato ci fa galleggiare tra le illusioni, dall’altro mette in ombra chi il talento ce l’ha, ma è messo all’angolo per non imbarazzare chi detiene il potere. Succede ovunque, nelle aziende, nelle università, in politica.
Chissà se questa batosta aiuterà a riprenderci. A farci capire che talento non si diventa scrittori perché tanto c’è l’editor pieno di idee, non si diventa cantanti perché tanto c’è papà che paga i corsi, non si fa carriera perché si leccano i piedi al capoufficio. Andate a prendere il talento che avete seppellito, se ce l’avete. Se non ce l’avete cambiate obiettivo, o rischiate di finire ultimi del girone umiliati e irrisi da tutto il mondo.
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Soluzioni per tutti
Fateci caso: i maghi del marketing sempre più spesso non parlano più di servizi, prodotti, offerte. Loro propongono soluzioni. Che bello. Non compri una casa di 45 metri quadri con giardino di 20 cm sul davanzale, compri una soluzione abitativa.
Non compri software per la gestione del magazzino, compri soluzioni aziendali per la logicistica. Non compri pubblicità, ma soluzioni pubblicitarie. L’idea era buona, per carità, la soluzione ci fa pensare alla terribile equazione di algebra, o all’ultima pagina del giornale di enigmistica da sbirciare per un aiutino con il cruciverba (quelli seri però pubblicano le soluzioni sul numero successivo).
La soluzione ci fa pensare a qualcuno che risolve i nostri problemi, che è l’essenza del marketing dei servizi.
Ma come sempre, il troppo storpia, e se io voglio comprare qualcosa, non è detto che abbia un problema. Bisognerebbe tornare ad un marketing più attivo, che invece di cercare di risolvere le nostre faccende, si limitasse a farci delle proposte chiare…