Da più parti in questi giorni si stanno sollevando polemiche contro le celebrazioni per i 150anni dell’unità d’Italia, che prevedono (prevederebbero) un giorno di festa. Gli industriali hanno detto che perderanno 4 miliardi di euro per colpa di un giorno di riposo.
Praticamente il nostro pil è legato più al fatto che quest’anno non ci saranno feste per il 25 aprile e il 1° maggio che per le capacità imprenditoriali della cosiddetta classe dirigente. Ma allora osiamo, andiamo oltre.
Quanti miliardi perdiamo per colpa delle inutili soste settimanali della domenica (e addirittura anche del sabato in alcuni casi)? Quanto scaleremmo le classifiche della produttività se portassimo la giornata lavorativa a 15, 16 ore (con eventuali due ore di straordinario), come accade nei paesi più redditizi?
E perché non liberarci di questi assurdi vincoli burocratici legati al novecento che impediscono per esempio di migliorare i rendimenti attraverso lo sfruttamento della mano d’opera infantile? Se i bambini meridionali, per esempio, anziché andare a scuola lavorassero in fabbrica, otterremo un valido taglio alla spesa pubblica e saremmo più competitivi sui mercati nazionali.
Per non parlare della sacrosanta abolizione delle ferie estive, che ingolfano le autostrade e le spiagge d’Italia che invece devono essere libere per incrementare il turismo straniero.
Insomma, le strade per far felici gli industriali sono tante, basta volerlo.