“C’è una fila, signore”.
“Ma io devo spedire solo un pacchetto”
“La fila è unica, signore”.
Le poste mi odiano. Sono arrivato a questa amara considerazione osservando le mutazioni del servizio postale negli ultimi anni. Mi odiano perché io non ho il conto bancoposta, non ho la postamat, non accredito il mio stipendio da loro. Non ho mai comprato un televisore o una lavatrice dai loro cataloghi, né un libro dai loro scaffalini improvvisati. Nemmeno un gratta e vinci, e non mi interessano nemmeno le schede telefoniche a tariffe agevolate.
Io dalle poste voglio una cosa semplice: un buon servizio postale. Voglio poter spedire un libro senza che la spedizione costi il doppio del contenuto, voglio ritirare una raccomandata che non ho potuto ricevere perché me l’hanno consegnata alle 11 (ma chi trova in casa, alle 11, il postino? Persino le ottuagenarie a quell’ora sono al mercatino).
Alcuni giorni fa mi sono recato all’ufficio postale più vicino con questa insulsa pretesa. Dovevo spedire un pacco. C’erano decine di persona in fila: dovevano pagare le tasse, ritirare la pensione, ordinare un bonifico, inviare denaro, ritirare denaro. Attività che in un paese normale si fanno in banca.
Per fortuna, in questi casi, c’è sempre uno sportello, in fondo, un po’ in ombra, dove noi altri vecchi nostalgici possiamo ritrovarci con i nostri francobolli e le nostre buste. Mi sono avviato in quella direzione, e immediatamente una voce mi ha inchiodato di fronte alle mie responsabilità. C’è una fila, signore.
E così ho dovuto mettermi in fondo a quella coda di pensionanti, popolazioni al vaglio di vaglia, ricaricatori di credito telefonico, portatori sani di bollettino, con un’unica colpa: le poste mi odiano. E va bene, mi arrenderò, userò i corrieri. Dovrò rinunciare a mangiare tutti i giorni, considerando quello che costano, ma alla fine mi adeguerò.
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Sempre dietro
Sempre dietro. Sempre in seconda fila. Un destino segnato, il mio, sin dal primo giorno. Un destino ineluttabile, crudele, a cui non posso ribellarmi e a cui, tuttavia, non mi adeguo.
Perchè mi lamento, dici? Perchè? Fai in fretta a parlare, tu. Tu non sai, e neanche immagini, cosa significa stare dietro, sempre. In movimento o da fermi il mio destino è segnato, io sto dietro, senza neanche poter mostrare la mia vera pelle. Sempre dietro, a subire incredibili pressioni, eseguendo il mio lavoro con tutta l’elasticità di cui sono capace. Eppure non ho neanche il diritto di capire che strada sto seguendo, cosa mi appresta di fronte…Compiangimi, forza, già immagino il patetico sorriso che mi rivolgerai, accarezzandomi come le prime volte che mi vedesti. Tanto tu sai che ti starò sempre sotto, che non opporrò resistenza alle tue pretese…Non posso neanche legarti a me, come facevo con il tuo bambino.
Chissà, forse l’hai generato proprio grazie a me quel bambino…Cos’hai da ridere? Sei un uomo senza cuore, anche se, lo devo ammettere, hai un bel sedere… Avanti, chiudi la porta e vattene. Sei un peso di cui voglio liberarmi. Sì, perchè anch’io voglio provare la libertà… Sempre che esista la libertà per un povero sedile posteriore come me.