Il mare è di tutti.
È questo che fa male a Crapulone e ai suoi.
Loro proprio non riescono ad accettare che dopo aver piantato la loro bandierina su castelli, ville, colline e campi, non possano farlo anche con il mare. È mio, dicono dell’oro di cui si sono impossessati, è mio, dicono delle ricchezze di cui hanno privato gli altri, è mio, dicono del cibo di cui si ingozzano e del vino che versano a fiumi.
Ma il mare no.
Del mare non sono ancora riusciti a impossessarsi, e questo dà fastidio a Crapulone e ai suoi, li irrita, di più, li fa imbestialire. Certo si è impadronito delle spiagge migliori, dei porti, delle imbarcazioni. Certo può fare il bagno in atolli lontani dove la plebaglia non può disturbarlo. Eppure non è contento, perché assistere impotente a qualche miserevole lavoratore che si immerge nelle acque del mare, senza nemmeno poter chiamare la polizia e scacciarlo via, è un autentico cruccio.
E allora ha deciso di prendersi anche il mare, Crapulone. Ha cominciato a trivellarlo, piazzando qua e là enormi piattaforme di estrazione. Sono sue, le piattaforme, ovviamente. E anche il gas, anche se un po’ ne lascia, bontà sua, anche per gli altri. Pazienza se sono brutte da vedersi, pazienza se allontano i turisti, pazienza se c’è il rischio che inquinino il mare. Tanto Crapulone e i suoi potranno sempre andarsene all’atollo. L’importante era piantare quella bandierina, perché la trivella altro non è che un enorme monumento all’ego di chi potrà finalmente dire “anche il mare è mio”.
Ci sono tante buone ragioni per votare sì al referendum del 17 aprile, quasi tutte migliori di questa. Più articolate, più scientifiche, più consistenti.
Io voto sì solo perché Crapulone mi sta sulle balle e finché la democrazia mi consente di ostacolarlo, porcaccia di quella miseria, lo farò.