Non c’era stato nemmeno il tempo di seppellire il povero corpo esanime di Abele, che già lo stavano sezionando con cura per l’autopsia disposta dall’inquirenti.
Dio, che stava per proporre a Caino la frase che si era preparata, dov’è tuo fratello, si trattenne perché non si aspettava certo tutta quell’agitazione in un mondo creato di fresco. Ma poi decise comunque di procedere, e che cacchio, era pur sempre il Creatore. E insomma, Caino, dov’è tuo fratello? L’avvocato consigliò Caino di non rispondere, perché ogni cosa avrebbe potuta essere usata contro di lui. Fu l’avvocato stesso a rispondere che dal momento che non esistevano documenti di affido parentale né contratti di custodia in esclusiva, il suo cliente non era tenuto a conoscere la precisa collocazione del fratello.
La faccenda innervosì non poco il Signore, che aveva ancora sotto gli occhi il sangue di Abele: ma solo per un attimo, perché gli uomini della scientifica intervenuti l’avevano raccolto tutto disponendo un’analisi del dna che confermasse fosse davvero appartenuto ad Abele.
I RIS spiegarono che sarebbero stati necessari mesi prima di ottenere un riscontro, anche perché c’erano tracce di dna ovunque e soprattutto mancavano testimoni. Esasperato, Dio scacciò Caino ordinandogli di muoversi ramingo e fuggiasco, ma anche in questo caso la difesa si oppose ritenendo che il confino fosse una procedura che violava i diritti civili e che in ogni caso Caino aveva i diritti di cittadinanza che non poteva essere revocati. E poi, la testimonianza di una divinità non era contemplata dal codice di procedura penale di uno stato laico.
Caino ottenne così gli arresti domiciliari, ma si lamentò anche di questo, perché riteneva di poter essere vittima di ritorsioni, per cui fece causa a Dio per i danni causati alla sua immagine. Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!, tuonò allora il Signore che già pensava di anticipare il diluvio, e impose a Caino un segno perché non fosse colpito da chi l’avesse incontrato. Ma il bracialetto elettronico è pratica abnorme e non giustificata, sostenne il documento dell’efficiente avvocato, e poi mancano i presupposti di necessità e urgenza. Esasperato, Dio esclamò: ma io sono il Giudice Supremo! Sia fatta la mia volontà. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. L’avvocato ricusò il giudice, perché evidentemente c’erano seri pregiudizi per la serenità del giudizio e per l’ottenimento di un equo processo.
Caino emigrò a Nord dove attese la prescrizione dei termini di custodia cautelare.
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No Vasco, io non ci casco
Quando il primo uomo provò ad armeggiare con una pietra levigandone gli angoli per farla scorrere meglio, probabilmente un altro disse che era tutto inutile e che le pietre sarebbero rimaste sempre uguali, un altro si lamentò perché non era stato coinvolto nel progetto, un altro ancora affermò che avrebbe dato volentieri una mano ma aveva da fare. Chiunque si sia impegnato almeno una volta ad organizzare qualcosa, sia una serata in pizzeria o un torneo parrocchiale, sa quanto è difficile e soprattutto quanti sono i chiacchieroni pronti a sparlare senza muovere un dito. Per questa ragione oggi mi sento di schierarmi con Bob Geldof, con la sua ostinazione, il suo coraggio. Si chiacchieri pure di diritti, coinvolgimenti, ritardi, improvvisazione: se per un giorno tutto il mondo ricco si è per un attimo fermato a parlare dell’Africa, il merito è di questo signore irlandese. Poi resta l’emozione di rivedere i Pink Floyd insieme, la gioia di chi ha potuto vivere quel momento dal vero, il dispiacere di aver perso alcuni momenti che – mi dicono – indimenticabili del concerto italiano a causa della contemporaneità televisiva (e ahimè non li rivedremo, i cantanti non hanno ceduto i diritti). Gli assenti hanno sempre torto: anche quel Vasco Rossi sicuramente indiscutibile come artista ma che come uomo ha dimostrato una volta di più di essere più bravo a predicare che a fare. Non ci sono scuse, Vasco. Spero solo che tu ad Ancona abbiamo incassato abbastanza quattrini da giustificare una figuraccia così.