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Quello che gli svedesi non dicono (ma i rivoluzionari tedeschi sì)

montaggioAvete presente quei cilindretti di legno che si infilano nelle mensole delle multinazionali svedesi, francesi e compagnia bella prima di fare il lavoro serio con le viti? Un po’ ruvidi, con una leggera seghettatura, che se non stai attento ti si spezzano e poi sono capperi perché non ce n’è mai uno di riserva e in ogni caso il buco ormai è tappato? Ecco, proprio quelli lì. Credo che sia più corretto chiamarli spinotti, ma insomma.

Li ho sempre considerate un tenero diversivo, buoni solo per tenere ferme le assi prima della martellata decisiva. Ruolo importante, ma, come dire, da comprimari. Qualche tempo fa, montando un mobiletto tedesco, ho scoperto che vanno preventivamente INCOLLATI! E la collaudata precisione teutonica fornisce anche la colla. Ma dico, perché mai gli infidi svedesi mi hanno sempre tenuto nascosto un dettaglio così importante? Guardo le mie librerie Billy prive di colla con calcolato sospetto. Ecco perché abbiamo sentito così forte il terremoto! Carenza di colla. Gran parte dell’arredamento del declinante mondo occidentale si basa su un’unica, insospettabile, imprevedibile carenza di colla. Altro che scie chimiche, è sulla colla dei cilindretti di legno che i potenti assoggettano il popolo ignorante. E qualcosa mi dice che il rivoluzionario tedesco che ha inserito per primo la colla nelle istruzioni di montaggio del suo mobiletto è un ebreo ateo.

So che un giorno o l’altro la Billy mi crollerà addosso mentre sono al computer. Già lo sento sogghignare macabro alle mie spalle, cigolante per l’assenza di colla sugli spinotti. E lo farà mentre guardo il calendario di Belen, cosicché ai miei soccorritori non rimarrà nemmeno un briciolo di reputazione da salvare.  Ma, ora che il popolo ha scoperto l’importanza della colla, la rivoluzione è più vicina.

Da da da…dimenticare

Puntuale come le tasse e l’influenza, ogni anno eravamo pronti a sorbirci i soliti spezzoni dall’archivio Rai a ricordarci che è arrivata l’estate.
Il tuca tuca di Raffaella Carrà, qualche successo di Edoardo Vianello, se andava bene un pezzo di monologo di Troisi o Benigni.
Nell’era della Rai ufficio stampa del grande capo, persino quest’innocuo programma ha dovuto subire un restyling. Per cui adesso gli spezzoni dovrebbero seguire un filo logico (se si è persa la sigla iniziale può essere divertente indovinarlo, anche se è davvero difficile). Una specie di Blob all’acqua di rose, insomma, depotenziato, privato di valenza semiologica. La televisione del non-senso, insomma, perché anche quel montaggio che su Rai Tre diventa veicolo di nuovo messaggio qui si disperde nel nulla, in un pasticcio in cui la canzone dell’estate scorsa si sovrappone a Walter Chiari.
Il prossimo passaggio sarà il ritorno al monocolo, con una scritta al centro: passate al quinto canale.
GIusto nel caso qualcuno non l’avesse ancora capito.

Elizabethtown

Un giovane Yuppie che vive nell’Oregon fa perdere un miliardo di dollari alla sua azienda disegnando una scarpa sportiva che si rivela un fallimento, e decide di ammazzarsi. La premessa è, obiettivamente, avvincente. Un attimo prima di farla finita, una telefonata della sorella cambia i suoi piani: suo padre è morto, a sud, nel Kentucky, dove era andato a trovare i parenti. Comincia così il viaggio del nostro (un Orlando Bloom che quasi non si riconosce senza corazze, armature e orecchie a punta) nel profondo sud americano, che lo porterà a riscoprire se stesso, la voglia di videre e ovviamente a incontrare la sua anima gemella con lieto fine scontato. Non è scontato il film, pieno di battute intelligenti, situazioni divertenti, una regia raffinata, personaggi di sfondo azzeccati. Peccato solo che tenti di strafare, inserisca qualche luogo comune di troppo sui "rebels", qualche momento di comicità fracassona fuori luogo, qualche passaggio un po’ troppo letterario (la voce fuori campo in questi casi è un accessorio di cui si farebbe a meno), si dilunghi in un viaggio finale che sa di videoclip e che cita persino Martin Luther King (che col film non c’entra nulla). Insomma, un bel film, che con qualche taglio in fase di montaggio (20 minuti almeno) avrebbe potuto essere bellissimo.
Però c’è Susan Sarandon, che avrà i suoi anni ma in fatto di charme sovrasta la insipida Kirsten Dunst.
Simpatico il cameo di Alec Balduin.